Il calo del Pil abbatte le future pensioni

Vitaliano D’Angerio e Matteo Prioschi – Il Sole 24 Ore

Effetto Pil sulle pensioni. Perla prima volta dalla riforma Dini (1995), quanto messo da parte per la pensione non sarà rivalutato. Anzi. Dal “salvadanaio previdenziale” verranno invece tolti dei soldi. Il motivo è tutto in una percentuale: -0,1927 per cento. È il tasso di capitalizzazione 2014 per la rivalutazione dei montanti contributivi che viene calcolato ogni anno dall’Istat sulla base della serie storica del Pil (ultimi 5 anni). Quest’ultimo non cresce dal secondo trimestre 2011 e soprattutto sconta ancora il -5,5% registrato nel 2009. Il 27 ottobre scorso, ministero del Lavoro e Istat hanno inviato a ministero dell’Economia, Inps e Casse di previdenza un documento che sancisce il coefficiente negativo. «Si sottolinea che per la prima volta dall’entrata in vigore della legge sopra citata – si legge nel documento Istat – il coefficiente di rivalutazione risulta inferiore all’unità, a causa della dinamica negativa del Pil nominale nel periodo considerato».

Il «taglio»
La gravità del momento emerge anche dal testo della lettera. Ma che significa nel concreto?
Esempio: i 10mila euro versati fino a oggi nel corso della vita lavorativa andranno moltiplicati per 0,998073. Risultato? 9.980,73 euro. Senza dimenticare che in termini reali, e quindi al netto dell’inflazione, le pensioni contributive avevano già perso potere d’acquisto. «Decurtare una parte del montante contributivo è un fatto scandaloso – dichiara Giuseppe Romano, responsabile ufficio studi Consultique ed esperto di previdenza -. Tanto più che si arriva a tale decisione dopo l’inasprimento fiscale sulla previdenza integrativa».

Vale per tutti
Inoltre va ricordato che l’applicazione del tasso negativo riguarda tutti e non solo coloro che hanno cominciato a lavorare dopo il 1995, post legge Dini: la riforma Monti-Fornero del 2011 ha infatti stabilito il metodo contributivo pure per le persone che hanno iniziato un’attività lavorativa prima del 1995, in relazione ai contributi versati a partire dal 2012. Per questo motivo, diventa sempre più urgente la “busta arancione” ovvero l’estratto Inps con le stime della pensione attesa dal varo della riforma Dini. Il direttore generale Inps, Mauro Nori, ne ha garantito l’invio entro dicembre nella recente audizione alla commissione bicamerale di vigilanza.

Casse in movimento
Ci sono poi alcune Casse di previdenza che, in virtù della loro autonomia, hanno chiesto ai ministeri competenti di utilizzare un altro tasso di rivalutazione. È il caso dei consulenti del lavoro (Enpacl) e degli ingegneri (Inarcassa). «L’assemblea ha approvato questa modifica – spiega Alessandro Visparelli, presidente Enpacl -. Attendiamo la risposta. Agganceremo la rivalutazione al gettito contributivo complessivo della categoria. È previsto un rendimento minimo dell’1,5%». Stesso discorso per ingegneri e architetti che, dopo il via libera dei ministeri, legheranno la rivalutazione alla variazione media quinquennale del monte redditi degli iscritti. Anche qui vi è un rendimento minimo dell’1,5 per cento. A tale modifica infine vi sta lavorando pure l’Enpap, l’ente di previdenza degli psicologi: «Sì, stiamo pensando anche noi di individuare un diverso tasso di rivalutazione con la garanzia di un rendimento minimo», afferma Federico Zanon, vicepresidente di Enpap.

Fondi pensione e Tfr
Un valore minimo per il tasso di rivalutazione “generale”, invece, per il momento non è previsto da alcuna norma. A fronte del recente andamento dell’economia e delle previsioni per i prossimi anni, sarebbe opportuno un intervento legislativo che escluda la possibilità di applicare un tasso negativo, impedendo così l’erosione del montante accumulato, oppure consenta un’erosione “controllata” che nella peggiore delle ipotesi annulli le rivalutazioni degli anni precedenti ma non intacchi il capitale versato. L’applicazione di un indice negativo a un singolo anno non incide in modo consistente sulla pensione però si deve tener conto che ciò potrebbe ripetersi in futuro e che l’importo complessivo dell’assegno su cui potranno contare i lavoratori potrebbe ridursi ulteriormente quale effetto di due provvedimenti contenuti nel disegno di legge di Stabilità: l’opzione, per tre anni, di incassare subito il Tfr e l’aumento della tassazione sui fondi di previdenza complementare e le Casse dei professionisti.