E’ ora che lo stato torni a investire

Alessandro Zeli – Il Sole 24 Ore

Gli squilibri generati sui mercati esteri e quindi i disavanzi del settore privato si scaricano infatti, con l’acuirsi della crisi, sul bilancio pubblico. I canali attraverso i quali si innesca la crisi del debito sono da una parte la diminuzione delle entrate dovuta al calo delle attività e dall’altra l’aumento per la spesa per il sostegno alla disoccupazione e alle perdite bancarie. Il debito raggiunge via via traguardi sempre maggiori accelerando negli ultimi anni anche a causa della politica pro-ciclica dei tagli alla spesa e di aumento delle entrate raggiungendo e superando la soglia dei 2000 miliardi di euro. La crescita del debito deriva, naturalmente, dall’aumento dell’indebitamento (grafico 1) che nonostante le politiche deflattive del governo Monti tende a crescere anche negli ultimi anni a causa soprattutto della componente legata alla spesa per interessi.

Se si analizzano più in dettaglio le varie componenti delle uscite, escludendo dall’indebitamento le spese per interessi, le tendenze possono sottolineare aspetti diversi (grafico 2). Come si può notare dal grafico ormai il bilancio dello Stato si trova stabilmente in una situazione di avanzo primario con l’eccezione del 2009 dovuta all’approfondirsi della prima fase della crisi. Le politiche di contenimento della spesa sono, pertanto, sempre più finalizzate al servizio del debito creando un circuito redistributivo che va dal contribuente (o dal beneficiario dei trasferimenti statali) verso i creditori (nazionali ed esteri) dello Stato, ossia il sistema finanziario. È interessante notare come il governo Monti abbia garantito i creditori esteri facendo scendere la percentuale di titoli del debito in loro possesso da circa la metà a circa un terzo del totale.

Le dinamiche comparate della spesa primaria e della spesa per interessi mettono ancor più in evidenza il divaricamento in favore di queste ultime. La spesa primaria e, quindi, tutte le spese dello Stato per la sua organizzazione e le spese per i trasferimenti alle famiglie (pensioni, sanità, welfare) per la prima volta, negli ultimi tre anni diminuiscono. Questo testimonia, ulteriormente, che la crescita del debito primario è stata messa sotto controllo. Gli interessi passivi registrano, invece, una dinamica accelerata rispetto al resto della spesa con una tendenza ad un’ulteriore crescita proprio negli anni del rigore montiano per effetto della manovre di tagli pro-ciclici che hanno diminuito la spesa e quindi anche il gettito creando una situazione di “sovraggiustamento”.

Il peso del servizio del debito tende ad aumentare per via della diminuita credibilità del Paese a restituirlo, tuttavia la credibilità è una medaglia che presenta due facce in sé contradditorie. Da un lato, in un’ottica di breve che si può definire finanziaria-speculativa, si esigono sempre maggiori tagli alla spesa primaria per poter avere maggiori disponibilità per il pagamento degli interessi con effetti depressivi sulla domanda interna, dall’altra, con un’ottica di lungo che si può definire di economia reale, lo spread, e quindi il livello tendenziale dei tassi sul debito, tende ad aumentare in assenza di prospettive di crescita, quest’ultima depressa, appunto, dal calo di domanda.

Il Paese si trova, pertanto, stretto tra le due braccia di una tenaglia: la prima data dalla perdita di capacità produttiva e quindi in prospettiva di piena ripresa e pieno utilizzo dei fattori produttivi dovuta alla perdita di competitività all’interno dell’area Euro e, l’altra, dal drenaggio di risorse sempre più cospicue verso i finanziatori del debito: interni ed esteri.

In conclusione manca un mix di politica economica a livello europeo tale da poter risolvere i reali problemi di competitività della nostra economia. La politica monetaria guidata dalla Bce ha svolto il compito di fermare la crescita dello spread (almeno per il momento) e di tenere i tassi a livelli molto bassi. La politica fiscale, da parte sua, non può avere come scopo solo i tagli di spesa (cui peraltro il nostro Paese ha ottemperato meglio e prima di altri, in possesso di ranking e credibilità anche superiore al nostro). È arrivato il momento di ricostituire un programma di investimenti pubblici per indirizzarli sia verso un reale recupero della competitività, sia verso un sostegno della domanda interna e della capacità di spesa di imprese e famiglie.