La trappola della “precomplicata”

Davide Giacalone – Libero

Siete prediffidati, non crediate alla precompilata. Agli italiani che accetteranno l’oracolo del fisco, apponendo la propria firma in calce a quel che l’erario chiede, rinunciando a ogni modifica e ulteriore detrazione, quindi anche a far valere le spese mediche eventualmente sostenute, si dice che, in quel modo, eviteranno ogni successivo controllo. Non è vero. Fate attenzione, perché delle bugie che racconta il fisco si pente solo con congruo ritardo. E senza pagare le ammende che pretende dai contribuenti.

Definimmo «precomplicata» quella che s’annunciava come precompilata perché il lavoro non lo ha fatto l’Agenzia delle entrate, che ne mena vanto, ma i sostituti d’imposta. Vale a dire i privati cittadini, per loro i commercialisti, le imprese, i datori di lavoro e, per quel che riguarda i pensionati, le rispettive casse. A una settimana dalla scadenza non era ancora disponibile il modello della CU, la certificazione unica, che ha sostituito la CUD, certificazione unica dipendenti. Tanto è vero che molti di noi hanno ricevuto (o inviato) certificazioni provvisorie e non a norma. Pazienza? Un corno, perché con il nuovo sistema si pagano 100 euro di multa per ogni errore. E il cielo non voglia che oltre a essere irregolare sia pure errata, perché, in quel caso, il contribuente risponde anche di quel che non ha fatto, ma ricevuto. Da qui le missive inviate, per dire: scusate, mi pare sia tutto a posto, ma il modello che mi avete inviato non è quello voluto dall’autorità preposta. Anche nel caso in cui s’accetti l’oroscopo fiscale, trovato nel cassetto digitale, questo non significa affatto che saranno esclusi i controlli. A chi lo sostiene si dovrebbe contestare il raggiro collettivo, perché sono sempre passibili di controlli e accertamenti i presupposti della dichiarazione, inviati all’amministrazione. Ed è la dimostrazione che la rivoluzione di cui parla la direttrice dell’Agenzia, Rossella Orlan­ di, altro non è che un assemblamento d’informazioni, fornite dai privati.

Esempio: la tua banca mi ha detto che hai un mutuo e tu mi hai detto che sei residente nella casa cui quel mutuo si riferisce, io fisco ho usato quelle informazioni per precompilarti la dichiarazione, ma non ne rispondo, perché sei tu banca e tu cittadino che me le hai date. Che, in compenso, sono sventolate minacciosamente verso quanti osino cambiarne anche un solo rigo. Magari, come detto, per detrarre le spese mediche. E non solo saranno controllati, ma ne risponderanno personalmente i consulenti che lo aiuteranno a farlo, siano essi commercialisti o Caf. I quali sono professionisti che il fisco s’era abituato ad utilizzare come esattori, il cui costo era ed è a carico del tassato, al punto da non sopportarne la funzione quando tornano a svolgere il loro genuino mestiere: aiutare il contribuente ad adempiere i propri doveri, senza, però, versare nulla più di quel che si ritiene dovuto. Fate pure, dice il fisco, ma se commettete un errore pagate in due: il contribuente e il complice.

È giusto? Secondo me no, ma ammetto che ci potrebbe anche stare, se l’amministrazione fiscale non si distinguesse a sua volta per grossolana demagogia ed enormità degli errori. Leggo che la dottoressa Orlandi prende le distanze dai blitz stile Cortina. «Abbiamo cambiato atteggiamento», dice. Il modo giusto per perseguire l’evasione fiscale è un altro, usando le banche dati. Ma va?! Noi lo sostenevamo allora, ma finimmo sommersi dalla marea retorica e stucchevole del dagli all’evasore, con il direttore dell’Agenzia che magnificava l’operazione. Sostenevamo allora quel che l’Agenzia dice oggi: è roba spettacolare, ma inutile. Solo che noi ci beccammo le accuse di volere proteggere gli evasori, lanciate da un’opinione pubblica da cotanto ufficio diseducata al rispetto dell’onorabilità di ciascuno. Direi che non guasterebbe ricevere le scuse. Se la cosa risulta complicata, possiamo inviarne una bozza, pre­compilata.