Troppi ostacoli per chi fa impresa

Massimo Blasoni – Il Giornale

Resta difficile fare impresa in Italia. Lo evidenziano tutti gli indicatori economici ma ancor più, lo dico da imprenditore, l’esperienza concreta. Lo studio annuale della Banca Mondiale ci pone agli ultimi posti tra i paesi in cui è più facile fare affari ed il peso complessivo delle imposte, la cosiddetta total tax rate, sulle imprese sfiora il 70%, ponendo il nostro sistema produttivo tra i più tassati del mondo. Burocrazia, tempi della giustizia, cuneo fiscale, tutto sembra concorrere a frenare il rilancio di un paese, il nostro, in cui il Pil reale di oggi è inferiore a quello di 15 anni fa: unico caso tra i principali paesi europei. Non sono poche le critiche che si potrebbero muovere al governo Renzi, assai meno rapido nelle decisioni di quanto voglia dirsi. Concentriamoci su tre aspetti.
Primo: il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione verso le imprese. Si è lungamente dibattuto, con tanto di promesse del premier di raggiungere a piedi Monte Senario se i debiti non fossero stati onorati, sino all’happy end. Obiettivo raggiunto per il “debito patologico” del 2013. Pochi ricordano però che, rimasti inalterati i 170 giorni medi con cui lo stato paga i fornitori, il debito nel corso del 2014 si è obbiettivamente riformato.
Con il Centro Studi ImpresaLavoro, stimiamo in 74 miliardi lo stock complessivo che si è rigenerato, rendendo di fatto vano l’intervento del governo. Un vero problema per le imprese costrette ad anticipare quei crediti in banca, con costi stimabili in sei miliardi l’anno. Un esborso quattro volte superiore rispetto a quello delle imprese francesi e sette volte maggiore di quello dei colleghi tedeschi che si vedono pagati i crediti verso lo stato mediamente in 27 giorni.
Alto tema il Jobs Act. I decreti attuativi approvati dal Consiglio dei Ministri confermano una tendenza tipica del Governo Renzi: la montagna degli annunci ha partorito il topolino dei fatti. La narrazione renziana suggerisce l’idea di un’Italia piena di aziende, anche straniere, pronte ad assumere ed investire dopo aver letto i provvedimenti del governo. In realtà alla ben nota contrapposizione tra lavoratori garantiti e precari si aggiunge oggi quella tra nuovi e vecchi assunti, mentre viene ignorato il tema della produttività e dell’impossibilità di rendere maggiormente efficiente il pubblico impiego, anche attraverso una normale disciplina dei licenziamenti.
In una economia sempre più tecnologica e dei servizi e sempre meno del tradizionale manifatturiero i tempi del lavoro non sono dati dalla catena di montaggio: aver eluso con ipocrisia il tema della efficienza (il licenziamento per scarso rendimento) certo non aiuta. Siamo, peraltro, tra i paesi con bassi indici di produttività anche per la difficoltà di correlare merito e retribuzione, ed il problema resta.
Terzo: il debito pubblico continua imperiosamente a crescere. Più di 80 miliardi nel 2014 e questo malgrado l’aumento delle imposte, evidenti o mascherate: 20 miliardi in più solo quelle sulla casa nel periodo Monti-Letta-Renzi. E se è vero che la legge di stabilità presuppone la decontribuzione dell’Irap (vedremo) già incombe, per l’assenza di coperture, il rischio di un nuovo aumento dell’Iva.
Renzi continua ad annunciare molto e a produrre risultati modesti. Con gli annunci, anche se fatti in inglese, l’economia non riparte: servono riforme vere. Meglio se liberali.
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