Un’agenzia di rating per le Pmi

Gian Luigi Durante – Il Sole 24 Ore

Come allentare la stretta che soffoca le imprese italiane? Ci sono due problemi: la domanda è scarsa e mancano anche i finanziamenti. E purtroppo, data la natura pro-ciclica dell’attività bancaria, le due componenti si alimentano a vicenda. Quando la recessione fa aumentare le sofferenze, spinge le banche a tirare in barca i remi dei prestiti. E nelle temperie di questi anni la reticenza degli istituti bancari ad erogare credito è stata aggravata dalla crisi dei debiti sovrani e anche dalle imposizioni – peraltro strutturalmente, se non congiunturalmente, giuste – di Basilea 2 e 3 volte a innalzare i patrimoni bancari.

La concomitanza di tali fattori ha comportato circa 4 trilioni di euro di deleveraging nell’Eurozona; ciononostante le banche registrano ancora attivi pari a 3,1 volte il Pil (2,7 in Italia) e i prestiti deteriorati sui bilanci delle banche italiane sono aumentati al 15,9% (Banca d’Italia). Dopo la forte contrazione dell’offerta di credito coincisa con la crisi dei debiti sovrani, oggi alla radice dei problemi c’è la scarsa domanda – una questione di economia reale e non di economia finanziaria.

Per la prima volta dal 2007 i criteri di offerta dei prestiti sono divenuti lievemente espansivi, mentre la domanda degli stessi è rimasta debole (Bank Lending Survey, Bce). La ‘pro-ciclicità’ delle banche è specialmente penalizzante per le Pmi (98% delle imprese in Italia e in Europa), che hanno meno potere negoziale nel mondo finanziario e sono più esposte ai venti recessivi del mondo reale. Intanto, le politiche monetarie espansive della Bce hanno fallito nel loro intento di far ripartire il flusso di credito banca-impresa – tutto quello che può aiutare la finanza a rendere più fluido il credito per il settore produttivo è benvenuto.

Facilitare l’accesso al mercato dei capitali è imperativo e occorre farlo nelle forme più svariate: cartolarizzazioni dei prestiti, emissioni obbligazionarie pubbliche, o negoziate su base bilaterale con gli investitori. Un mix bilanciato di prestiti bancari e obbligazionari contribuirebbe non solo a rendere più fluido il mercato del credito, ma anche a proteggere il sistema da futuri shock. Mentre per le imprese più grandi, però, esistono procedure di valutazione del merito di credito che facilitano l’allocazione del capitale finanziario, le agenzie di rating non si occupano delle Pmi. Il problema è specialmente serio in Europa, dove il finanziamento dell’impresa è per il 90% affidato alle banche – contro il 45% negli Usa. Una soluzione potrebbe essere quella di promuovere un’agenzia di rating specializzata nel merito di credito delle Pmi.

Vediamo due casi concreti: nel settembre 2012 è stata costituita in India una agenzia di rating per le Pmi (Smera). Si legge nei documenti costitutivi: «Considerando che le banche utilizzano procedure di rating customizzate prima di erogare credito, i richiedenti si trovano ad investire risorse e tempo per trattare con gli istituti di credito. Smera ha adottato un sistema standardizzato, trasparente ed affidabile per elaborare una valutazione sul rischio di credito intrinseco ad una business unit. Inoltre, Smera è supportata da un gran numero di banche pubbliche e private nella regione».

Le valutazioni di merito di credito che le banche private effettuano sulle imprese loro clienti sono un giacimento immenso da sfruttare e armonizzare. Il secondo esempio concreto è la Credit Benchmark: fondata da due ‘imprenditori seriali’, Mark Faulkner e Donal Smith, ha ottenuto capitali di ventura per iniziare un’attività di raccolta dati nel mercato dell’informazione sul rischio di credito. La società raccoglierà i dati di base dalle analisi del rischio credito in ciascuna banca (una dozzina di banche globali hanno già dato il loro assenso), li aggregherà rendendoli anonimi e potrà così creare ‘giudizi di consenso’ per profili settoriali e per fasce di fatturato.

Un’Agenzia di rating europea per le Pmi, sotto l’egida della Ue e accompagnata da una estensione di forme di garanzia governativa sui relativi prestiti, avrebbe come obiettivo primario quello di migliorare tenuta e struttura dei ‘ponti’ che uniscono le Pmi alle istituzioni finanziarie e ai mercati. L’istituzionalizzazione del rating sbloccherebbe diversi canali di finanziamento ad alto potenziale, come ad esempio le cartolarizzazioni dei prestiti – in grado di sopperire alla mancanza di scala che impedisce alle Pmi di finanziarsi sui mercati dei capitali.

Se assemblati con criteri semplici e trasparenti infatti, i prestiti cartolarizzati delle Pmi potrebbero essere acquistati in parte dalle Banche centrali, come peraltro lasciato recentemente intendere dalla Bce e dalla Bank of England, restituendo nuova linfa al mercato dei prestiti bancari. Le regole che governano questo strumento sono state largamente rivisitate dopo la crisi dei mutui sub-prime negli Stati Uniti, esacerbata dall’effetto amplificatore della cartolarizzazione degli stessi: la necessità di un adeguato reporting su ogni prestito cartolarizzato, così come l’obbligo di mantenere una partecipazione nella stessa operazione da parte dell’istituto emittente, dovrebbero favorirne l’adozione. Inoltre, un sistema di rating delle Pmi consentirebbe la sua diffusione anche alle istituzioni non bancarie, le quali non hanno accesso a un vasto ammontare di dati sul mercato dei prestiti, esclusiva degli istituti bancari.

Certamente, si porrà il problema che segna tutte le agenzie di rating: come finanziare le analisi senza creare conflitti di interessi? Una soluzione può essere quella di far pagare il funzionamento ai vari protagonisti del mercato: dalle banche ai fondi di investimento, con contributi anche dalla Ue e dalle Associazioni di Pmi. Tra i vari traguardi di medio termine sono anche fondamentali la banking e fiscal union, per finire con la capital markets union: obiettivo del neo-eletto Presidente della Commissione Europea Juncker. Un grande lavoro di armonizzazione sarebbe necessario anche sotto il profilo legale, al momento, infatti, il diverso trattamento della base di investitori in un’emissione obbligazionaria nei vari paesi dell’eurozona determina inefficienze nell’allocazione del capitale in eccesso.