Edicola – Opinioni

QE, passata la sbornia dell’annuncio restano i problemi

QE, passata la sbornia dell’annuncio restano i problemi

Davide Giacalone – Libero

Dopo un crescendo rossiniano di effetti positivi e preventivi, il Quantitative easing della Banca centrale europea ha debuttato vedendo scendere le Borse e salire gli spread. La spiegazione si trova passando dalla musica alla poesia, perché abbiamo assistito a un leopardiano “sabato dei mercati”: l’attesa della festa rallegrava i cuori, mentre al suo giungere la mente torna al “lavoro usato”, in questo caso al debito e alla crescita. È la Grecia a innescare il fenomeno, ma sarebbe successo comunque, perché quella (benedetta) operazione affronta il problema della crescita continentale, senza risolvere quello degli squilibri nazionali.

I mitici “mercati”, quell’insieme di operatori sempre pronti a evitare i rischi e cogliere le opportunità, curando il proprio conto economico e fregandosene del resto (come è naturale che sia), sanno bene che la Grecia rappresenta la mancata soluzione della eccessiva disomogeneità interna all’eurozona. Se cedi sovranità monetaria, ma fingi di conservare sovranità politica, prima o dopo le contraddizioni scoppiano. Il governo greco sbaglia, perché crede che sia importante rispettare le promesse (impossibili) fatte agli elettori, laddove, invece, conta il risultato finale, la sicurezza del Paese. Sbagliando incorre nella totale illogicità, pensando di sottoporre a referendum le misure necessarie a fronteggiare la crisi (escludendo un referendum sull’euro). Il giorno in cui si votasse quel referendum non si saprebbe più perché s’è eletto un Parlamento.

La piaga greca si chiuderà. Hanno urgente bisogno di soldi, quindi devono correre a stabilire se accettare le condizioni di chi li presta o suicidarsi nell’uscita dall’eurozona. In entrambi i casi (meglio il primo, per quanto amaro) la mattina dopo i mercati rivolgeranno l’attenzione ad altri  dati.

Ecco quello che ci riguarda: quanto cresce ciascun Paese, investito dall’ondata di liquidità? Se sale più della marea allora è in grado di stabilizzare gli effetti positivi ed erodere il debito. Se sale meno, o solo pari, non appena la marea scenderà sarà nuovamente arenato. La Bce non aiuta chi è in difficoltà, ma tutti gli stati membri. Non può fare diversamente. Aiuta noi e gli spagnoli quanto i tedeschi. Anzi, di più i tedeschi, perché detengono una quota maggiore di capitale Bce.

Ciascuna banca centrale nazionale è autorizzata ad acquistare titoli. In Italia arrivano 140 miliardi, ma solo l’8% è garantito dalla Bce. Il problema non è il rischio default, che non corriamo, ma quello dell’anemia, della reattività solo apparente. Se con quei soldi la Germania crescerà più degli altri, alla fine della cura la distanza sarà aumentata. Ecco perché è da incoscienti festeggiare il ritorno del segno positivo, davanti al prodotto interno lordo, facendo finta di non sapere che siamo a meno della metà dell’ eurozona. E quando i greci avranno finito d’essere la principale attrazione della festa, ci si occuperà di cosa la cura ha portato a ciascuno. Da qui a quel giorno tocca a noi fare quel che non stiamo facendo.

L’insostenibile leggerezza della pubblica amministrazione

L’insostenibile leggerezza della pubblica amministrazione

Giuseppe Pennisi – Formiche

Sono stato un public servant per 45 anni. Quindici presso la Banca Mondiale. Nove presso organizzazioni specializzate delle Nazioni Unite e presso istituzioni europee. Il resto in due Ministeri italiani con il grado di dirigente generale e presso la Presidenza del Consiglio/Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, dove per dieci anni ho coordinato i programmi di formazione in economia e finanza.Sulla base di questa esperienza sono molto preoccupato dalle notizie di stampa che leggo sulla riforma in cantiere. Mi auguro che siano false e tendenziose e che il Ministro competente le smentisca al più presto.

Se è vero quel che si legge, la riforma è modellata non sul sistema di spoil system americano, dove il Presidente degli Stati Uniti ha titolo di effettuare 6000 nomine (che vengono peraltro vagliate dal Congresso) su circa cinque milioni di dipendenti, ma su quello del Venezuela e del Paraguay dove ad ogni cambio di Governo, vengono sostituiti anche gli uscieri.

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Inps, cosa richiedono le pensioni flessibili alla  Tito Boeri

Inps, cosa richiedono le pensioni flessibili alla Tito Boeri

Giuseppe Pennisi – Formiche

Una premessa: sono totalmente d’accordo con la “puntura di spillo” di Giuliano Cazzola del 3 marzo secondo cui, a ragione  dell’invecchiamento della popolazione (e di restare in pensione tra i 22 ed i 25 anni), saranno pochi coloro che chiederanno un pensionamento anticipato tale comunque da comportare una riduzione delle spettanze e delle prestazioni. Quindi, trovo davvero di lana caprina i commenti dei cosiddetti tecnici della Commissione Europea secondo cui la misura, se attuata, aggraverà la spesa pubblica almeno nel breve periodo (ma la ridurrebbe nel medio e lungo) facendo addirittura ‘saltare’ i conti dell’Italia.

Comunque, le dichiarazioni del Presidente dell’INPS, Tito Boeri, le aperture spesso fatte dal Ministro del Lavoro e degli Affari Sociali, Giuliano Poletti, e le richieste dei sindacati (soprattutto della CISL), in questo senso suggeriscono che si sta andando verso una previdenza pubblica ‘flessibile’, anche sotto il profilo legislativo ed operativo. Occorre sottolineare “pubblica” o “statale” perché gran parte della previdenza privata (i fondi pensione) ha già forti elementi di “flessibilità” in entrata. I fondi pensione di nuova generazione sono collegati, in larga misura, alla previdenza pubblica in uscita; quindi, sotto questo profilo, il loro futuro è legato a quello delle pensioni INPS.

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Tasse, I numeri che “invitano” gli italiani a evaderle

Tasse, I numeri che “invitano” gli italiani a evaderle

Giuseppe Pennisi – IlSussidiario.net

Il Parlamento sta per esaminare la nuova normativa sul fisco. Grande attenzione mediatica è stata posta all’evasione tributaria, la cui riduzione è mostrata come un elemento fondante della manovra di finanza pubblica. Secondo i dati della Corte dei conti e secondo le stime del Parlamento europeo, in Italia l’evasione fiscale vale circa il 30% del Prodotto interno lordo. Per ogni 100 euro fatturati o comunque dichiarati circolano (tra il 2010 e il 2013) tra i 34 e i 38 euro di pagamenti nascosti al Fisco.

Nell’insieme degli Stati dell’Ue, l’evasione vale attorno ai 1.000 miliardi l’anno (fonte Ue), circa 180 miliardi (pari a 350 miliardi di imponibile nascosto), un quinto del totale, sono frutto del malaffare italiano, con un rapporto tra il nero e il Pil pari a circa il 27%, il più alto tra i Paesi occidentali dell’Unione (tolti quindi gli ex socialisti). Secondo le stesse fonti, in Germania l’evasione è pari al 16% del Pil, in Francia al 15%, in Spagna e in Belgio al 22%, e in Gran Bretagna al 12%.

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Molla il tesoretto

Molla il tesoretto

Davide Giacalone – Libero

Debito e tesoretto, disastro perfetto. La Banca centrale europea vara il Quantitative easing con stile e tempistica eccellenti. Sarà un successo, perché è già un successo. Ma mentre l’operazione s’appresta a partire, avendo già dispiegato parte dei suoi benefici effetti, il presidente del Consiglio parla di “tesoretto”, ovvero di una provvidenziale quantità d’imprevista ricchezza, sulla quale potere contare. Basta ciò per passare dal trionfo al tonfo.

Mario Draghi ha detto e ridetto che le politiche espansive della Bce, da sole, non bastano. Che servono riforme profonde, sia sui fronti nazionali che sul comune fronte europeo. Che la ripresa sarà illusoria, se quelle riforme non incideranno nel profondo degli equilibri istituzionali, monetari e produttivi. Più è grande il successo della Bce più si deve essere veloci e precisi nell’operare i cambiamenti che l’accompagnino, moltiplichino e stabilizzino. Se, invece, si pensa al tesoretto, se si crede che bastino quei 60 miliardi al mese per risparmiarci dolori e fatiche, allora vuol dire che non s’è capito nulla, ma proprio nulla di come stanno le cose.

A novembre le stime di crescita dell’eurozona, elaborate dalla Commissione europea, vedevano un +1% del pil nel 2015. A gennaio è diventato 1,3. All’inizio di marzo è stimato 1,5. Per l’Italia era +0,6 a novembre. È rimasto 0,6 a gennaio, Ora Matteo Renzi dice che il governo ha fatto i conti prevedendo 0,5. Talché il di più è tesoretto. Ma è una ragionamento sconclusionato: il dato rilevante è la distanza dalla crescita dell’eurozona. Il nostro svantaggio è tale da mettere nelle vele solo una parte del vento Bce, quindi ogni sforzo deve essere fatto per dispiegarle al meglio e per liberarsi il più possibile della zavorra del debito. Invece qui s’avverte la ciurma che, galleggiando la barca, ci si potrà dividere il frutto della bravura e delle politiche altrui.

Capisco tutto, nella polemica politica. Ma tanto è demenziale supporre che siano colpe del governo Renzi le lentezze inquietanti con cui l’Italia prende coscienza e reagisce alla condizione in cui si trova, quanto lo è abbandonarsi a questo giochino della crescita, dicendo: prima colavamo a picco, ora c’è il segno più, prima lo spread era alto, ora e basso. Lo dobbiamo alle scelte europee e a quegli italiani, imprenditori e lavoratori, che massacriamo di tasse e martirizziamo con la burocrazia. Le cose andranno meglio, grazie a loro, ma la circostanza fortunata deve essere sfruttata per riassorbire disoccupazione e rilanciare la produttività. Il che comporta non politiche di redistribuzione, magari con il tesoretto dirottato a pagare il costo di 120mila insegnanti da assumere, condannando la scuola a restare identica, quindi inadatta, ma comporta politiche di alleggerimento fiscale.

Non c’è nessun tesoretto, perché il migliorare dei conti pubblici, derivato da meno interessi sul debito e maggior gettito indotto dalla ripresa, è estraneo alle scelte politiche interne. Se lo scrivano sulla testa, le persone responsabili. Che siano al governo o all’opposizione, a destra o a sinistra, sopra o sotto. Perché se prevale l’eterno partito unico della spesa pubblica, a questo giro ci condanniamo a subire una botta micidiale, quando gli antidolorifici e gli stimolanti Bce saranno finiti. Se Draghi continua a dire che non bastano non è perché vuol fare il modesto, ma perché si rende conto di quanto modesta sia la caratura di certi interlocutori.

Piano Juncker, come verranno scelti i  progetti?

Piano Juncker, come verranno scelti i progetti?

Giuseppe Pennisi – Formiche

Sembra un problema giuridico di lana caprina. Tutti gli addetti ai lavori sanno che un Comitato per gli Investimenti di otto esperti di alto livello farà proposte di finanziamento sulla base di istruttorie ed analisi di valutazione effettuate in sostanza dal personale Bei. Al momento della stesura di questo articolo, il regolamento del Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici (Feis) è ancora al vaglio del Parlamento Europeo e le procedure di nomina e di incarico dei componenti del Comitato per gli Investimenti sono ancora in fase negoziale nell’ambito dell’Ecofin. Un negoziato non certo facile, anche perché Francia e Germania sostengono di avere messo il cappello su due degli otto seggi.

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Sinistra in confusione totale anche sulla banda larga

Sinistra in confusione totale anche sulla banda larga

Davide Giacalone – Libero

A perdere la memoria si rischia di far sempre gli stessi errori. Cosa che, nel campo delle telecomunicazioni, sta avvenendo. Ronald Reagan non perse lo spirito, quando gli fu diagnosticato l’Alzheimer, e disse che si trattava di una malattia promettente: ogni giorno incontri un sacco di persone nuove. Ma qui siamo all’epidemia, visto che al governo sembra non conoscano il passato e giocano a mosca cieca con il presente. Prima fanno girare l’ipotesi di un decreto legge che stabilisce la data di decesso del solo asset di valore che si trova nel patrimonio di Telecom italia, la rete fissa e le sue terminazioni in rame. Poi smentiscono con risolutezza. Quindi il decreto diventa un «piano», nel quale si leggono quali sono le mete da raggiungere. Che poi sono quelle già stabilite in sede europea, rispetto alle quali siamo indietro.

Come si recupera? a. Il governo non farà scelte tecnologiche, che competono al mercato; b. Investiremo 6 miliardi nelle reti. E che ci comprate? Perché se investite una scelta dovrete pur farla, e, nel caso in cui l’amnesia si sia fatta strada, ricordo a tutti che il governo, per il tramite della Cassa depositi e prestiti, è proprietario di una società (Metroweb) che investe nella rete in fibra ottica. Alla faccia delle scelte che spettano al mercato! Restiamo alle amnesie. Yoram Gutgeld scrive, su Il Foglio, una cosa giusta: se l’ltalia è indietro ciò lo si deve anche al fatto che non abbiamo la televisione via cavo, ovvero reti tv che potrebbero far concorrenza a quelle tlc. Vero. Ma deve essersi dimenticato il perché: non le abbiamo perché fu protetto il mercato della Rai, violando il diritto ad operare di imprenditori privati. Che esistevano, eccome. Nel 1973 Ugo La Malfa ci fece cadere un governo Andreotti, proprio perché il ministro Giovanni Gioia difendeva un monopolio già allora anacronistico.

Che fare? L’Italia è molto indietro, nella penetrazione della larga banda, ma quella che esiste è occupata solo in parte. Vogliamo la casa più grande, ma già viviamo nel tinello di quella piccola. Come si spiega? Capita perché, in questi giorni, faccio avanti e indietro con il portone d’ufficio per ritirare le CU (certificazioni uniche), e mi va anche bene, perché se sono fuori, essendo raccomandate con ricevuta di ritorno, mi tocca andarle a prendere all’ufficio postale. Per essere in regola con un adempimento fiscale, relativo a soldi già incassati e ritenute già pagate, accumulo carta. Tale carta andrà al commercialista, ma già si sa che è in parte irregolare, perché il governo ha reso noto il modello da utilizzare solo il 23 febbraio, talché molti non si sono adeguati. Il commercialista trasmetterà tutto al fisco, il quale ci darà una dichiarazione non pre­compilata, ma pre­complicata, che butteremo nel cestino, giacché non contiene la detrazione delle spese. Ecco come si spiega: un’amministrazione pubblica che non lavora in digitale.

Non a caso Gutgeld, che fa il consigliere a Palazzo Chigi, neanche sa che tutte le scuole sono già connesse in rete, mentre crede che scarseggino. E non lo sa perché le scuole ci fanno solo l’amministrazione del personale. Ecco, è lì che il governo deve lavorare, spingendo l’offerta digitale, creando interesse alla capillarizzazione delle reti e adottando i pagamenti elettronici presso le sedi proprie. Senza giocare al piccolo comunicatore. E senza coltivare sospette amnesie.

L’Inps pensa alla tassa per dare uno stipendio a chi non lavora

L’Inps pensa alla tassa per dare uno stipendio a chi non lavora

Davide Giacalone – Libero

L’Italia ha bisogno di chiamare molte più persone al lavoro, non di inventare un reddito per chi non lavora. Finché coltiveremo l’illusione che il reddito sia un diritto e la produzione una eventualità continueremo a perdere competitività, impoverendoci. Nella sua prima intervista da presidente dell’Inps il prof. Tito Boeri dice, da par suo, almeno quattro cose interessanti. La prima, però, merita subito che la precisi e chiarisca: «Bisognerebbe spendere meglio le risorse pubbliche, prevedendo ad esempio un reddito minimo per contrastare le situazioni di povertà, finanziato dalla fiscalità generale». Se per reddito minimo s’intende una retribuzione base per chiunque lavori, è un conto. Da fare. Se s’intende quello che in politichese chiamano «reddito di cittadinanza» è tutt’altro, e va malissimo.

Con la partenza (positiva, se parte) del contratto di lavoro a tutele crescenti, per cui si cancella la non licenziabilità e si acquistano diritti con il passare del tempo, è naturale che cambino gli ammortizzatori sociali e sparisca la cassa integrazione. Ciò comporta disponibilità di fondi adeguati. E già sappiamo che sulla carta ci sono fino all’anno prossimo, mentre dal 2017 scarseggiano e la copertura, in caso di disoccupazione diminuisce. Male, perché son nozze con i fichi secchi. Può starci che si fissi un reddito minimo, che sia tale di nome e di fatto. Come è successo in Germania. Se, invece, andiamo al reddito di cittadinanza, cioè ai soldi elargiti per il solo fatto di esistere, allora ricorderemo i forestali della Calabria come preclaro esempio di sana amministrazione e lodevole dedizione al lavoro. Se si accedesse a una follia di quel tipo, restando ignoto dove mai si possano prendere i soldi, rivaluteremmo le pensioni regalate. Voglio credere che Boeri non abbia sostenuto nulla di simile, ma sarà bene lo spieghi anche agli altri. Mi domando, altrimenti, perché mai un giovane, o anche un maturo, debba andare a faticare per incassare 100 o 200 euro in più di quelli che riceverebbe stando con le mani in mano. O, meglio, usandole per fare lavori in nero. Senza contare la fucina delle truffe, per cui un solo posto di lavoro genera un pensionato, un disoccupato e un occupato, dove uno è pagato dall’impresa e gli altri mantenuti dal contribuente.

Giusta l’idea di rendere flessibile l’età pensionabile, nel senso che ciascuno ha diritto di ritirarsi quando vuole, salvo il fatto che riscuoterà solo in ragione di quel che ha versato. E bene la trasparenza dei dati, che è la sola cosa che manca per avere ciascuno piena contezza di quanto prenderà di pensione. Non è questione di buste gialle o di pin, di carta o d’informatica, perché ci sono centinaia di società private che rendono disponibili, ai loro clienti, quelle previsioni. È la cosa più facile del mondo. Ma a una condizione: che siano chiari e trasparenti i dati. Questo è il problema dell’Inps. Sono sicuro che Boeri farà un buon lavoro, diradando le nebbie. Fatte queste due cose, resi noti i dati e flessibile l’età di uscita, però, ciascuno scoprirà d’essere povero. Le pensioni del futuro saranno più povere. Quelle giuste cose, quindi, hanno un senso non se servono a diffondere la depressione, ma se incentivano al risparmio integrativo. La qual cosa è possibile solo se cala la pressione fiscale. Il che è l’opposto del regalare redditi a chi non lavora. Per tornare da dove siamo partiti.

Boeri, infine, assicura di volere intervenire anche sulle pensioni in essere, laddove la distanza fra il capitale versato e il reddito che se ne ricava è eccessivo. Non illegale, perché tutto discende da leggi dissennate (modello reddito di cittadinanza), ma eccessivo. Così attacca il totem dei diritti acquisiti. Ha ragione e fa bene. Pronti a sostenerlo. Ma qui mi si consenta di avere meno sicurezze, giacché gli sarà difficile trovare qualcuno disposto a fare quel che è necessario. Non dimentichiamoci che la destra alzò le pensioni minime e la sinistra ha regalato gli 80 euro. Il partito della spesa pubblica è piuttosto ben attrezzato.

Assurdo combattere l’Europa, non ci sarà ripresa senza Bce

Assurdo combattere l’Europa, non ci sarà ripresa senza Bce

Davide Giacalone – Libero

Fra quanti sostengono il governo, specie all’interno del Partito democratico, ve ne sono non pochi che si rifiutano di riconoscere meriti all’azione dell’esecutivo, cominciando a non sopportarne più i (ai loro occhi) demeriti. Singolare, quindi, che fra chi si oppone al governo, specie leghisti e ortotteri, ci sia chi s’affanna nell’attribuirgli meriti che non ha. Perché la ripresa c’è, la dobbiamo alle politiche espansive della Banca centrale europea e ne approfitteremo, per nostre colpe, solo a metà. Accusare il governo d’essere «servo dell’Europa», o proporre come risolutiva l’uscita dall’euro, significa non accorgersi dell’evidenza: la ripresa viene da lì, mentre le arretratezze stanno qui.

Come è possibile un simile abbaglio? Una fregnaccia s’aggira per l’Europa: l’idea che le democrazie non contino più, che gli elettori siano superflui, che le regole dell’economia e dei bilanci abbiano usurpato le sovranità nazionali, a loro volta viste come fonte d’identità e ricchezza, in una cancellazione totale della memoria. La leggenda è bella e accattivante, perché consente ai ricchi di far la parte dei depredati e ai viziati di far quella degli oppressi. Tale confusione porta certi slogan ad essere, a seconda dei casi e delle nazionalità, sulla bocca dell’estrema destra o dell’estrema sinistra. Infatti la destra francese o italiana ha guardato con trasporto alla sinistra greca, incassando la delusione per i «cedimenti». Ma può un popolo votare contro i propri debiti? Quella non è democrazia, è surrealismo.

In passato i nazionalismi hanno fatto valere la forza del sangue e la voglia di espandersi territorialmente, provocando guerre e spargimenti di sangue. Quel che ieri erano confini territoriali oggi lo sono finanziari: non si cancellano senza dolore. Noi europei, tutti assieme, siamo il 7 per cento della popolazione mondiale (noi italiani siamo lo 0,8 per cento, i tedeschi l’1,1 per cento, microscopici), produciamo il 25 per cento della ricchezza globale, ne deteniamo il 30 per cento e consumiamo il 50 per cento della spesa sociale. A far la parte dei poveri non siamo credibili e per giunta viviamo al di sopra delle nostre possibilità. Semmai c’è un problema di giustizia sociale.

Avendo usato la prima metà del secolo scorso per massacrarci, abbiamo pensato bene d’istituzionalizzare la convivenza pacifica. Quando la guerra fredda s’è scongelata, aprendosi le frontiere e partendo la globalizzazione, ci siamo accorti che, pur forti e ricchi, non lo eravamo abbastanza per bilanciare la forza dei mercati e della finanza. Sapete qual è il bello? Che l’Unione europea era il rimedio, così come l’euro era l’antidoto alla supremazia interna tedesca. Se le cose sono andate diversamente non è colpa né del destino né dei tedeschi, ma di classi dirigenti che hanno perpetuato la loro inutile sopravvivenza mettendola in conto alla spesa pubblica improduttiva. Così siamo arrivati a un sistema che effettivamente non funziona, ma non per eccesso di tecnocrazia, bensì per deficit di democrazia. Giacché gli europei non eleggono quel che conta (un governo europeo), ma votano per quel che non sapendo cos’altro dire va cianciando delle colpe europee. Che sono nazionali.

Vale per tutto il continente. Francia e Italia sono i due giganti schiacciati dalle proprie bubbole. Che oggi concimano il terreno alle forze anti sistema, i quali scoprono la comoda via d’identificarlo con l’Europa. E chi se ne frega se le sole politiche espansive esistenti sono quelle della Banca centrale europea, si ripudi la bandiera blu per ripudiare gli obblighi derivanti dai debiti. Che la mattina dopo sarebbero insostenibili, difatti i greci, che sono demagoghi ma non fessi, se ne guardano bene. Occhio alla fregnaccia, perché ha la grande forza delle banalità che sembrano sgominare le complessità. Forza che, sommata ai difetti strutturali della costruzione europea, può produrre effetti molto dolorosi.

Il grande equivoco sul “tesoretto” dell’Italia

Il grande equivoco sul “tesoretto” dell’Italia

Giuseppe Pennisi – IlSussidiario.net

Nel fine settimana appena trascorso, editorialisti grandi e piccoli, uomini politici grandi e piccoli e intellettuali grandi e piccoli hanno stappato bottiglie di champagne a proposito di due notizie: l’approvazione da parte del Parlamento tedesco del Programma greco di riassetto strutturale; le stime Istat secondo cui nel primo trimestre 2015 il Pil potrebbe segnare un aumento dello 0,1% e la fine della recessione. Le due notizie sembrano, a una lettura veloce, distinte e distanti. Sono invece strettamente connesse. L’esultanza al fatto che Berlino abbia dato la fiducia (per così dire) ad Alexis Tsipras e al suo Governo vuol dire che ormai la democrazia (non solo quella parlamentare ma ogni forma di democrazia) appartiene al passato.

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