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Sangalli (Confcommercio): “Tagliare le tasse strada obbligata, serve coraggio”

Sangalli (Confcommercio): “Tagliare le tasse strada obbligata, serve coraggio”

Carlo Sangalli*

“Bisogna certamente tagliare le tasse, è la condicio sine qua non: la strada è obbligata ed è quella di ridurre con più coraggio e determinazione la spesa pubblica improduttiva, di recuperare evasione ed elusione per avere così delle risorse importanti per arrivare ad una riduzione generalizzata delle aliquote Irpef”.

“Mettere più soldi in tasca alle famiglie significa rilanciare i consumi e con questo si esce definitamente da questa situazione di incertezza che ancora ci preoccupa”.

* Presidente di Confcommercio

Confcommercio: la ripresa resta debole

Confcommercio: la ripresa resta debole

Il peggioramento rilevato a febbraio sul versante dell’occupazione (-97mila rispetto a gennaio) e della disoccupazione (+7mila) è l’ennesima conferma della debolezza della ripresa. Il confronto su base annua indica un miglioramento della situazione del mercato del lavoro (+96 mila occupati, -136mila disoccupati), ma i ritmi registrati dall’occupazione a partire dallo scorso mese di settembre non consentono facili ottimismi.Saranno molto lunghi i tempi di recupero degli occupati persi durante la crisi, ad oggi ancora oltre le 700mila unità rispetto al massimo di aprile 2008. Infine, occorre ricordare che i dati mensili sono provvisori e soggetti a forti revisioni che, talvolta, modificano radicalmente verso e intensità della variazione degli occupati osservata in un primo tempo.

E ora spunta lo spettro dell’aumento dell’Iva

E ora spunta lo spettro dell’aumento dell’Iva

Il Giornale

Nuova batosta in arrivo. I conti non tornano. E così per il pareggio di bilancio nel 2017 il governo ha previsto la clausola di salvaguardia da introdurre nella legge di stabilità che ipotizza l’aumento dell’Iva. Che cosa significa? «Una perdita di Pil pari a 0,7 punti percentuali a fine periodo dovuta a una contrazione complessiva dei consumi e degli investimenti per 1,3 punti percentuali e un aumento del deflatore del Pil di pari importo», recita la Nota di aggiornamento al Def trasmessa dal governo al Parlamento. La legge di stabilità, riporta il documento, «conterrà una clausola di salvaguardia automatica con la quale il governo si impegna ad assicurare la correzione necessaria a garantire il raggiungimento del saldo strutturale di bilancio in pareggio a partire dal 2017». In particolare, «è ipotizzata una clausola sulle aliquote Iva e sulle altre imposte indirette per garantire il raggiungimento dell’obiettivo di medio termine per un ammontare di 12,4 miliardi nel 2016, 17,8 miliardi e 21,4 miliardi nel 2017 e nel 2018».

Insomma, la stangata sui consumi è assicurata. Ed è subito rivolta tra le associazioni di categoria, da Confcommercio a Confesercenti. «Un eventuale nuovo inasprimento della pressione fiscale, già a livelli da record mondiale, attraverso l’ennesimo aumento delle aliquote Iva e delle imposte indirette, acuirebbe la crisi strutturale che caratterizza il sistema Italia», ha affermato il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli. «In Italia è stato commesso l’errore di aumentare la pressione fiscale in un contesto già depresso. I margini delle imprese – ha sottolineato – sono al limite della sopravvivenza, i redditi e la ricchezza delle famiglie hanno subito una riduzione di entità senza precedenti nella nostra storia economica». «Mantenere il raggiungimento del pareggio di bilancio è un obbligo – ha aggiunto Sangalli -, ma è altrettanto evidente che per raggiungere questo obiettivo la via da seguire è tagliare la spesa pubblica improduttiva, visto che ci sono circa 80-100 miliardi di spesa ritenuti aggredibili».

Il ricorso alla clausola di salvaguardia è stato bocciato senza mezzi termini anche dalla Confesercenti. «Sarebbe una mossa sbagliata, non è questa la strada», ha detto il presidente Marco Venturi, che ricorda come la categoria si sia già lamentata per i due precedenti aumenti dell’Iva al 21% e al 22%. «In una situazione di crisi, con i consumi che vanno male e il commercio in fortissima difficoltà, se l’Iva dovesse aumentare, le famiglie sarebbero indotte a stringere ancora di più i cordoni della spesa. E se non ci sono i consumi si potrebbe verificare un’ulteriore frenata della crescita». Occorre piuttosto, secondo Venturi, «creare condizioni di fiducia, altrimenti si rischiano ripercussioni anche sul mercato del lavoro e dell’occupazione». Quanto alla possibile disponibilità del Tfr in busta paga Venturi commenta «non so a cosa possa servire se non a pagare più Iva».

Fortemente critici anche gli esponenti di Forza Italia e Ncd. «La clausola sull’Iva salvaguarda la Ue, salvaguarda il governo, ma non le tasche dei cittadini», ha scritto su Twitter il deputato di Fi Luca Squeri. Sulla stessa lunghezza d’onda Raffaello Vignali, responsabile Sviluppo economico del Ncd: «L’Ue smetta di guardare solo ai bilanci pubblici. L’ipotesi di una clausola di salvaguardia da inserire nel Def resta un’eventualità preoccupante, un clamoroso autogol per il Paese».

Se non ci riesce lei…

Se non ci riesce lei…

Paolo Giacomin – QuotidianoNet

Rossella Orlandi, nuova direttrice dell’Agenzia delle Entrate fresca di nomina, ha messo un’ironica pietra tombale sulle tasse in Italia. Con queste parole: «Io che sono una esperta, ho perso un pomeriggio per cercare di capire che cavolo dovevo fare con l’Imu di casa mia». C’è poco da aggiungere e quel pizzico sono i conti sulla pressione fiscale secondo Confcommercio: il 53,2% al netto del sommerso. Una spremuta record per la zona Ocse resa ancora più aspra dalle difficoltà che da anni cittadini e imprese devono affrontare per pagare quanto lo Stato chiede per i propri bisogni di cassa. Ostacoli impietosamente fotografati dal rapporto “Paying Taxes 2014” elaborato da Pwc e Banca Mondiale: dal confronto tra i sistemi fiscali di 189 Paesi risulta, per esempio, che un’impresa in Italia impiega mediamente 269 ore all’anno per pagare le tasse, contro una media europea di 179 ore. A fronte di un’imposizione fiscale complessiva sulle aziende pari al 65,8% (contro il 41% del Vecchio Continente e peggio di quanto misurato da Confcommercio) spalmata in 20,3% sui profitti, 43,4% sul lavoro e 2% in altri balzelli. Vista la pessima situazione di partenza, far meglio non dovrebbe essere impossibile.

La riforma annunciata da Renzi ha offerto alla Orlandi la ribalta per spiegare novità che dovrebbero rendere l’Erario più civile e gentile con il contribuente. Liquidare le buone intenzioni sarebbe prematuro (e un po’ ingiusto), dubitare del buon esito della rivoluzione fiscale è lecito viste le scottature passate, sperare che sia la volta buona è dolorosa necessità perché è dalle strade del Fisco che passano le possibilità di ripresa: riportando la pressione fiscale a livelli più equi (un taglio di cinque punti in cinque anni?), lasciando un po’ di soldi in più in tasca alle persone sperando si riversino almeno in parte sui consumi. E rendendo il pagamento dei tributi meno incerto e imprevedibile. Perché evadere è reato, pagare il Fisco è un dovere, ma non è tollerabile che in Italia persino il proverbio «Nella vita vi sono solo due certezze: la morte e le tasse» ormai si limiti solo all’unica ipotesi inevitabile: sperando che almeno su quella non arrivino altri balzelli.

Tagli sbagliati se c’è la crisi

Tagli sbagliati se c’è la crisi

Alberto Bagnai – Il Tempo

L’allarme di Confcommercio sulla pressione fiscale merita più di un commento. Certo, in Italia la pressione fiscale è elevata, e lo è anche perché ci sono molti evasori, che commettono reato e vanno perseguiti. Detta questa cosa, sacrosanta, forse banale ma ovvia, evitiamo due errori ideologici. Il primo consiste nel credere che la nostra sia una crisi di debito pubblico, causata dagli evasori, che non pagando le tasse avrebbero fatto lievitare il debito. Le cose non stanno così: i dati mostrano che prima della crisi il debito italiano diminuiva costantemente (-10 punti di Pil dal 1999 al 2007) eppure l’evasione c’era. Il vicepresidente della Bce ha ricordato nel maggio scorso che la crisi è stata causata dall’imprudenza delle banche private, che ora devono essere salvate coi soldi dei contribuenti. La crociata contro il barista che non fa lo scontrino è una delle tante armi di distrazione di massa che i governi stanno usando per nascondere le cause della crisi (un’altra è la «riforma» del Senato).

Il secondo errore consiste nell’affermare che i problemi si risolverebbero tagliando la spesa per tagliare le tasse. Intanto, la spesa pubblica italiana in proporzione al Pil storicamente è in media con quella europea: gli sprechi vanno combattuti, ma non c’è alcuna evidenza seria di spesa «eccessiva». Poi, la spesa pubblica si rivolge comunque all’acquisto di beni privati, quindi è reddito privato. Qualsiasi manuale di economia spiega che in recessione i tagli, pur se accompagnati da diminuzioni di tasse, sono nefasti, perché riducono il denaro in circolazione. Insomma, chiedendo di tagliare la spesa pubblica, Sangalli di Confcommercio chiede anche di ridurre gli incassi dei commercianti. Gli auguriamo di fare sul tema una riflessione più approfondita, prima che la facciano i suoi associati.

Abbiamo le tasse più alte del mondo

Abbiamo le tasse più alte del mondo

Gian Maria De Francesco – Il Giornale

Un record mondiale imbarazzante per l’Italia e del quale la maggior parte della classe politica (soprattutto di governo) non prova nessuna vergogna. È quello della pressione fiscale effettiva che vede il nostro Paese in cima alla classifica Ocse con il 53,2% del prodotto interno lordo. È quanto emerge da un’elaborazione dell’Ufficio studi di Confcommercio sui dati del 2013.

Come si giunga a questa performance da guinness è presto detto. Se si considera la pressione fiscale apparente, cioè il gettito in relazione al reddito prodotto, l’Italia si trova al quarto posto tra i Paesi più industrializzati con il 44,1%, superata da Danimarca (50,1%), Belgio (48,7%), Francia (47,8%) e Svezia (45%) che, effettivamente, tassano a più non posso ma, in generale, restituiscono servizi pubblici di buona qualità. L’Italia, però, detiene un altro record ed è quello dell’economia sommersa che produce il 17,3% del reddito nazionale. Il combinato disposto delle due realtà è che in Italia su ogni euro dichiarato si pagano 53,2 centesimi di imposte.
Al danno delle stangate si aggiunge la beffa della depressione. L’Italia, infatti, è uno dei Paesi che maggiormente ha subito gli effetti negativi della recessione: lo sbilancio dei conti pubblici è stato, infatti, curato da quasi tutti i governi con nuove tasse che hanno ucciso la competitività e la produttività della nostra economia. Nel periodo 2000-2013 la pressione fiscale italiana è aumentata del 5% mentre il Pil reale pro capite è diminuito del 7 per cento. Non è questione di «euro sì» contro «euro no»: sia la Germania, regina di Eurolandia, sia la Svezia, che s’è tenuta la corona, sono cresciute nello stesso periodo rispettivamente del 15 e del 21% solo perché hanno ridotto la pressione fiscale (del 6% Berlino e del 14% Stoccolma). La situazione è talmente triste che, propone Confcommercio, con l’inclusione di traffico di droga, prostituzione e contrabbando nei metodi internazionali di calcolo del Pil si possono sbloccare 1,68 miliardi di risorse con cui si potrebbero destinare 250-300 euro a testa per ciascuno dei sei milioni di italiani poveri assoluti.
Il peggio deve ancora venire. L’Ufficio studi di Confcommercio ha, infatti, tagliato le stime di crescita per il 2014 dallo 0,5 allo 0,3% a causa del crollo degli investimenti (-0,9%). Ecco perché il presidente della confederazione, Carlo Sangalli, ha ribadito la sua ricetta anti-declino: «Per far ripartire l’economia bisogna realizzare subito una poderosa operazione: meno tasse e meno spesa pubblica, più riforme e più lavoro». La propensione al consumo è in calo e il «mix esplosivo Tasi-Imu-Tari» sta complicando la vita di famiglie e imprese. «Tenere i conti in ordine non può ostacolare la crescita» perché, altrimenti, i problemi si acuiscono e «non si può escludere a ottobre una manovra correttiva», ha concluso. «Serve un’operazione-verità», ha chiosato il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta, intervenuto al convegno, aggiungendo che «gli ultimi due trimestri 2014 di crescita piatta o negativa trascineranno i loro effetti anche nel 2015», rischiando di compromettere anche la mini-ripresa. Di qui la mano tesa a Renzi. «Il governo faccia una vera riforma fiscale sfruttando la delega e abbassando le tasse e, allo stesso tempo, riformi seriamente il mercato del lavoro», ha detto Brunetta promettendo collaborazione. Il viceministro dell’Economia, Enrico Morando, però, ha replicato che «non c’è bisogno di una manovra correttiva». Se, però, non si attuerà una vera spending review, Renzi rischia di perdere la faccia.