debiti PA

Debiti PA: lo stock complessivo del debito resta invariato

Debiti PA: lo stock complessivo del debito resta invariato

NOTA

Sbaglia chi pensa che in questi giorni la pubblica amministrazione stia finalmente riducendo in tutto o in gran parte i suoi cospicui debiti nei confronti delle imprese creditrici. I debiti commerciali si rigenerano con frequenza, dal momento che i beni e servizi vengono forniti in un processo di produzione continuo e ripetitivo. Ogni giorno infatti, le imprese che lavorano con la PA consegnano i beni ed erogano i servizi richiesti; ogni giorno, le imprese incassano i crediti per le forniture chiuse in passato.
Lo stock di debito commerciale si modifica così continuamente, dal momento che ogni giorno vengono liquidati debiti pregressi e al tempo stesso ne sorgono di nuovi. Liquidare i debiti pregressi di per sé non riduce pertanto lo stock complessivo dei debiti commerciali: questo può avvenire soltanto nel caso in cui i nuovi debiti creatisi nel frattempo risultano inferiori a quelli oggetto di liquidazione. Una condizione che non potrà crearsi fino a quando il livello di spesa della pubblica amministrazione e i suoi tempi medi di pagamento (che al momento sono di 170 giorni) non subiranno una drastica diminuzione.
Nel caso concreto, stimiamo che dall’inizio del 2014 a oggi siano già stati consegnati alla Pubblica amministrazione italiana beni e servizi per un valore di circa 113,5 miliardi di euro e che di questi, in forza dei tempi medi di pagamento della nostra PA, ne sarebbero stati pagati soltanto 40 miliardi. Con la logica conseguenza che, nonostante le promesse del governo Renzi, lo stock complessivo del debito della PA rimane invariato nel suo livello e cioè pari a 74 miliardi di euro circa.
Vanno ricordati in particolare due aspetti: i debiti di cui parla Renzi sono quelli maturati entro il 31 dicembre 2013. Solo per questi, infatti, è possibile per le imprese chiedere la certificazione e la relativa liquidazione di quanto dovuto.
Già su questa cifra occorre dire che ImpresaLavoro, incrociando il dato della spesa per beni e servizi e quello dei tempi di pagamento, aveva stimato uno stock di debiti di 74 miliardi di euro. Siccome ne sono stati rimborsati “solo” 32,3 (su uno stanziamento complessivo di 40, fonte: http://www.mef.gov.it/primo-piano/article_0118.html), possiamo senza dubbio affermare che la promessa di Renzi non è stata mantenuta.
Non solo: mentre questo processo era in corso, come detto, la PA continuava ad accumulare debito. Nessun indicatore oggi a disposizione ci permette di dire che vi è una diminuzione dei tempi di pagamento. Ciò significa che lo stock complessivo del debito è ad oggi invariato a 74 miliardi circa e che l’intervento del governo, pur meritorio, è servito soltanto ad impedire che lo stock aumentasse ulteriormente.

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Rassegna Stampa:
Il Tempo
La Notizia
Debiti con le imprese, pagati 32,5 miliardi. «Il grosso degli arretrati è degli Enti Locali»

Debiti con le imprese, pagati 32,5 miliardi. «Il grosso degli arretrati è degli Enti Locali»

Francesco Di Frischia – Corriere della Sera

Per saldare ivecchi debiti della pubblica amministrazione il governo ha già erogato 40,1 miliardi tra ministeri, organi nazionali dello Stato e enti locali. Ai creditori, però, fino al 30 ottobre scorso sono stati effettivamente pagati 32,5 miliardi. Un aggiornamento viene dal ministero dell’Economia, dopo la promessa fatta dal premier Matteo Renzi: in Parlamento e in tv, a «Porta a Porta», il presidente del Consiglio aveva detto che sarebbero stati saldati i debiti arretrati «entro il 21 settembre», giorno del suo onomastico. Pena una passeggiata di 23 chilometri per l’ex sindaco da Firenze al santuario di Monte Senario. A prescindere da come è finita la scommessa con Bruno Vespa (Renzi sostiene di non aver perso), il meccanismo pianificato dall’esecutivo si basava sull’accordo tra governo, banche e Cassa depositi e prestiti (che faceva da garante): un imprenditore doveva solo registrarsi sul sito del ministero dell’Economia e, dopo avere ottenuto la certificazione del proprio credito, poteva andare in una banca o in una finanziaria a riscuotere (il costo dell’operazione di cessione del credito era dell’1,6% e per gli importi inferiori ai 50mila euro saliva all’1,9%). Molti imprenditori, però, si sono visti voltare le spalle da finanziarie e istituti di credito perché l’accordo non prevedeva alcun obbligo.

Comunque «il governo ha provveduto a mettere a disposizione degli enti debitori oltre 56 miliardi per smaltire il debito patologico», precisa il Tesoro. Di questi, quelli effettivamente assegnati agli enti sono 40 miliardi, ma quelli effettivamente erogati non superano appunto i 32,491 miliardi. Le amministrazioni centrali dello Stato sono responsabili di una quota del «debito patologico stimata nel 5-10% – aggiungono dal ministero -.La gran parte del debito è responsabilità di Regioni, Province, Comuni», Asl, enti e società delle autonomie locali. Insomma, dice l’Economia, la responsabilità dei mancati pagamenti è di Regioni ed enti locali.

Ieri il ministro Pier Carlo Padoan era a Bruxelles per la riunione dell’Ecofin, dove ha parlato anche del problema del budget Ue. La commissione ha chiesto finanziamenti aggiuntivi al Regno Unito e all’Italia. «È un argomento difficile, ma oggi (ieri ndr) non c’è stato alcun negoziato sulle quote che i Paesi devono pagare all’Europa. In questa fase è troppo presto per dire che cosa faremo». Secondo le cifre della Commissione, sono circa 340 i milioni che l’Italia deve versare per il ricalcolo di fine anno, 2,1 miliardi il Regno Unito. Per quanto riguarda la legge di Stabilità, Padoan ribadisce che finora «nessun Paese ha ricevuto bocciature». Nel frattempo prosegue il cammino della manovra alla Camera: sono stati presentati 3.707 emendamenti (oltre un migliaio solo dal Pd), compreso quello con il quale l’esecutivo ha modificato il testo dopo le richieste dell’Ue. Martedì è prevista la verifica di ammissibilità ma un numero così alto di emendamenti è molto probabile che spingerà il governo a chiedere la fiducia.

Sui soldi alle imprese Renzi è peggio di Letta

Sui soldi alle imprese Renzi è peggio di Letta

Franco Bechis – Libero

Quei poverelli delle piccole e medie imprese italiane ce l’hanno ancora lì che campeggia sul loro portale web: facciona di Matteo Renzi e titolo «Debiti PA, Renzi shock: 60 miliardi in 15 giorni». La data era quella del 26 febbraio scorso. Le povere imprese che da lunghi mesi attendevano dallo Stato i pagamenti loro dovuti, ci avevano creduto. E si capisce: il nuovo presidente del Consiglio nel suo discorso per ottenere la fiducia alle Camere aveva detto: «Il primo impegno è lo sblocco totale dei debiti della pubblica amministrazione». Poi era apparso a Ballarò, intervistato all’epoca da Giovanni Floris, e lì aveva annunciato il famoso intervento shock: «La Spagna l’ha fatto da 50 miliardi di euro. Io penso di più: 60». In quanto tempo? «Il tempo di preparare un emendamento: Diciamo due settimane».

Non è andata così, e lo sanno bene i creditori dello Stato. Quella promessa resterà la più famosa, anche perché è la prima e più clamorosa tradita da Renzi premier. In corsa ha tentato di correggere la rotta, e da Bruno Vespa aveva allungato i termini di quelle due settimane, spostate al «21 settembre giorno di San Matteo. Se mantengo la promes-sa, lei Vespa che è scettico andrà a piedi in pellegrinaggio da Firenze a Monte Senario. Se non la mantengo, so dove mi mandano gli italiani». La promessa non è stata mantenuta, ma il 21 settembre Renzi ha sostenuto il contrario, poggiandosi sulla lentezza dei conteggi della pubblica amministrazione, che erano fermi a metà luglio. Ora sono usciti i dati aggiomati al 22 settembre scorso, e il bluff del premier è stato tragicamente svelato a chiunque voglia andarselo a leggere sul sito Internet del ministero dell’Economia e delle Finanze. Con una possibilità in più: i dati sono relativi ai primi otto mesi esatti del govemo Renzi. E sono perfettamente comparabili con quelli degli ultimi otto mesi del governo guidato da Enrico Letta, perché è proprio in quel periodo che sono iniziati i primi pagamenti della pubblica amministrazione alle imprese. E il raffronto che Libero oggi è in grado di offrire ai suoi lettori è impietoso per il governo attuale. Perché Letta è stato due volte e mezzo più veloce e più efficace di
Renzi.

Ecco i numeri. Ad oggi nel bilancio dello Stato – grazie all’emissione di nuovi titoli di Stato dedicati – sono stati stanziati per pagare i crediti delle imprese con la pubblica amministrazione 56,839 miliardi di euro. Una cifra comunque inferiore ai 60 miliardi promessi da Renzi, ma non di molto. Solo che l’83,63% di questa somma, pari a 47,539 miliardi di euro, era già stata stanziata da Enrico Letta prima del ribaltone a palazzo Chigi. Quei soldi erano già tutti quando Renzi ha fatto le sue promesse in Parlamento e a Ballarò. Quindi non potevano fare parte dei 60 miliardi promessi, che avrebbero dovuto essere nuovi pagamenti. In otto mesi Renzi ha stanziato invece solo 9,3 miliardi di euro, pari al 16,37% dello stanziamento totale. Avere stanziato soldi non basta, però. Oltre a metterli in bilancio aumentando il debito pubblico italiano, bisogna anche metterli a disposizione di ministeri ed enti locali che sono poi quelli che materialmente debbono saldare i debiti che hanno con le imprese italiane per le commesse ricevute in passato. Di quei 56,839 miliardi stanziati solo 38,4 miliardi sono stati messi a disposizione degli enti pubblici che dovevano pagare entro il 22 settembre scorso.

Ma anche questa cifra racconta solo in parte. Perché i debiti effettivamente saldati sono ancora meno: a quella data, dopo 16 mesi (8 di Letta e 8 di Renzi) i pagamenti effettivamente avvenuti ammontavano a 31,3 miliardi di euro. Di questi Letta ne ha effettuati durante il suo governo 22,430 miliardi, e cioè il 71,67% (quasi i tre quarti) dei pagamenti totali avvenuti. In otto mesi i soldi arrivati alle imprese grazie a Renzi sono appena 8,87 miliardi di euro, pari al 28,33% dei pagamenti totali. In media il governo Letta ha pagato debiti alle imprese per 2,8 miliardi al mese. Il governo Renzi per 1,1 miliardi al mese, quindi a velocità due volte e mezza inferiore al predecessore. Dei due è Matteo il premier lumaca, Letta al suo confronto sembrava Usain Bolt, il primatista mondiale dei 100 e 200 metri…

Debiti PA, i sindaci pagano a singhiozzo

Debiti PA, i sindaci pagano a singhiozzo

Valeria Uva – Il Sole 24 Ore

C’è un «tesoretto» da un miliardo e 700 milioni di euro destinato a saldare le imprese in arretrato, ma fermo nei cassetti. In parte perché alcuni enti locali si sono decisi a chiedere anticipazioni di liquidità per pagare i debiti solo negli ultimi mesi, in parte (ma la cifra non è quantificabile) perché si tratta di fondi che i Comuni hanno in realtà già pagato, ma che scontano problemi nella rendicontazione. Il risultato è che a oggi, secondo i dati diffusi dal ministero dell’Economia il 23 settembre, almeno il 21% delle risorse erogate ai Comuni non risulta ancora pagato ai privati (in linea, con la media nazionale del 19%). Dei 57 miliardi stanziati per l’operazione “sblocca debiti” ai Comuni sono già andati 8,2 miliardi, attraverso il canale dell’allentamento del patto di stabilità e quello delle anticipazioni di liquidità erogate in quattro tranche (si veda la cartina a fianco). Ne risultano, però, pagati solo 6,5 miliardi, con un buco di 1,7 miliardi. Una liquidità preziosa per i fornitori in attesa da anni. E che invece arriva con il contagocce.

I flussi di cassa
Sul fronte dell’allentamento del patto di stabilità 2013 mancano all’appello 524 milioni; il resto è rappresentato dalle anticipazioni di liquidità, veri e propri prestiti ricevuti da Cdp su cui i Comuni, peraltro, stanno già versando interessi. Che gli enti locali abbiano rallentato i flussi di cassa lo scrive anche il Mef nel comunicato stampa che fa il punto sull’operazione: «Negli ultimi mesi – si legge – le somme messe a disposizione degli enti vengono richieste e assorbite più lentamente, presumibilmente perché la quota maggiore di debito patologico è stata rimossa grazie ai primi finanziamenti». L’Economia cita il caso della terza tranche di finanziamento ai Comuni che «è stata da questi assorbita solo parzialmente: 1,3 su 1,8 miliardi disponibili». L’arretrato maggiore (circa 900 milioni) si riscontra nella ultima tranche erogata soltanto a partire da questa estate. Non stupisce, quindi, che in questo caso solo il 31% dei Comuni sia già riuscito a esaurire anche queste risorse. Ma colpisce, invece, un altro dato: esistono 89 Comuni con debiti 2013 – che hanno «chiesto aiuto» allo Stato solo con questa tranche e solo nell’estate scorsa. Enti anche grandi (Catania da sola ha chiesto quasi 200 milioni, Catanzaro 18 oltre agli otto del Patto di stabilità). Particolarmente critica la situazione nella città etnea che dichiara un tempo medio di pagamenti delle imprese nel 2013 di ben 469 giorni. Tra i Comuni capoluogo più indebitati risulta in affanno anche Reggio Calabria: è pari al 53% lo stato di avanzamento rendicontato. Il Comune attraversa una gravissima crisi di liquidità.

La rendicontazione
Alcune lentezze non sono riconducibili agli enti locali. Per Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige, ad esempio, due aree formalmente a zero nei pagamenti, il nodo è tecnico: la rendicontazione fatta su base regionale non specifica le spese sostenute da ogni ente. Conferma l’assessore al bilancio di Aosta, Carlo Marzi: «I tre milioni che avevamo chiesto sono stati tutti utilizzati». Non sempre, però, la registrazione sulla piattaforma della Ragioneria per il monitoraggio del Patto va a buon fine. Ma il problema è più ampio. Parte di quel 20% di enti in affanno potrebbe in realtà aver già saldato ed essere “vittima” di un ritardo nel caricamento dei dati (soprattutto per l’ultima tranche). È il caso, ad esempio, di Torino, che secondo il Mef sarebbe al 90% mentre al «Sole 24 Ore» dichiara un adempimento totale, concluso negli ultimi giorni. O di Salerno, che vanta un 100% di pagamenti (contro il 65% “ufficiale”): «Abbiamo saldato tutto e rendicontato il 21 agosto – spiega l’assessore al Bilancio, Alfonso Buonaiuto – e con l’ultima tranche non abbiamo più debiti arretrati al 2013». Poi c’è Nuoro, che per il Mef risulterebbe ancora a zero. «E invece abbiamo già speso tutti gli spazi finanziari ricevuti e abbiamo rendicontato ad aprile scorso» dichiara l’assessore al bilancio, Salvatore Daga. Come Nuoro sono oltre 600 i Comuni, grandi e piccoli, che nell’ultimo aggiornamento risultano a zero. In controtendenza, infine, ci sono anche i super-adempienti: una manciata di enti che risultano aver pagato più del 100% di quanto ricevuto. Ma il mistero è più facile da svelare: qualche Comune è riuscito a dedicare all’operazione “sblocca-debiti” anche risorse proprie oltre a quelle assegnate dello Stato.

Se lo Stato cattivo debitore ti fa licenziare 70 persone

Se lo Stato cattivo debitore ti fa licenziare 70 persone

Chiara Merico – Avvenire

«La mia azienda è in liquidazione, anche se vanta un credito verso lo Stato di 4,7 milioni di euro: per questo chiedo al presidente del Consiglio di sederci intorno a un tavolo e trovare una soluzione». Alberto Ricciardi rivolge il suo appello al premier Matteo Renzi, attraverso una petizione lanciata sulla piattaforma Change.org: l’imprenditore toscano è titolare dal 1982 della Fermet, azienda che si occupa della lavorazione di rottami in ferro e della fornitura di materiali metallici per le più grandi acciaierie d’Italia, come l’Ilva o la Lucchini.

«Noi siamo il tramite tra le acciaierie e i piccoli fornitori di questi materiali: lavoriamo con oltre 2mila subfornitori perché in Italia, a differenza di Francia e Germania, il mercato è molto frammentato», spiega l’imprenditore. «Nel 2011 è emerso che alcuni di questi subfornitori avevano acquistato materiale in nero: la Guardia di Finanza è venuta da noi e ha emesso un verbale da 30 milioni di euro, di cui 18 di tasse». La vicenda è stata poi chiarita: già nel 2012, spiega Ricciardi, «l’Agenzia delle Entrate ha emesso una circolare in cui si stabiliva che non spettava a noi il compito di controllare che i subfornitori acquistassero il materiale con regolare fattura». Una seconda procedura di accertamento del Fisco è stata anch’essa ritirata: attualmente la Fermet deve all’erario 200mila euro di sanzioni, che comunque, sottolinea il titolare, «decadranno perché nel relativo procedimento penale lo stesso Pm ha chiesto l’assoluzione, perché il fatto non costituisce reato».

Nel frattempo, però, l’azienda di Ricciardi ha accumulato un credito Iva di 4,7 milioni di euro. «Il blocco dei rimborsi Iva ci ha ucciso: la nostra azienda fatturava circa 250 milioni di euro all’anno, ma nel settore dell’acciaio la marginalità e minima, nell’ordine del 2-3%. Il blocco dei rimborsi, unito all’investimento di 13 milioni che avevamo sostenuto nello stesso anno per costruire un nuovo stabilimento, ci è stato fatale». Così la Fermet ha dovuto chiedere la procedura di concordato. Ma il titolare non ci sta: «Se avessimo incassato quei 4,7 milioni, avrei potuto continuare l’attività: ma non posso ottenerli, perché lo Stato chiede di garantire l’incasso dei rimborsi Iva superiori a 500mila euro con una fidejussione bancaria. Ma quale banca è disposta a garantire un’azienda in liquidazione?» Cosi Ricciardi si è rivolto al presidente del Consiglio – che aveva promesso entro il 21 settembre il saldo dei debiti della Pubblica amministrazione nei confronti delle imprese – chiedendo che venga eliminato l’obbligo della garanzia bancaria per ricevere i rimborsi. «Serve una proposta di legge in questo senso. Per quale motivo devo tenere l’azienda chiusa, e 70 famiglie senza lavoro, senza contare l’indotto?», si chiede l’imprenditore. «Uno Stato serio deve affrontare il problema».

Debiti PA, si riapre la compensazione

Debiti PA, si riapre la compensazione

Carmine Fotina – Il Sole 24 Ore

Si aggiunge un nuovo tassello all’operazione pagamenti della Pa. Stavolta a intervenire è un decreto attuativo atteso ormai da diversi mesi: era previsto dal decreto legge Destinazione Italia del dicembre 2013. Il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi ha infatti controfirmato nei giorni scorsi il decreto del ministero dell’Economia che sblocca per il 2014 la compensazione di cartelle esattoriali, ovvero gli atti di accertamento, a favore di imprese titolari di crediti commerciali nei confronti di tutte le Pubbliche amministrazioni. La compensazione sarà possibile per cartelle esattoriali notificate fino al 31 marzo 2014. Si riapre, in sostanza, una possibilità che era stata riattualizzata dal decreto 35/2013 del governo Monti, ma con un preciso limite temporale: solo per cartelle notificate entro il 31 dicembre 2012.

Il decreto Padoan-Guidi consente ora la compensazione, «nell’anno 2014, delle cartelle esattoriali notificate entro il 31 marzo 2014, in favore delle imprese titolari di crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, per somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali» maturati nei confronti della Pa. Ci sono alcune condizioni da rispettare, ovvero i crediti devono essere certificati e la somma iscritta a ruolo deve essere inferiore o pari al credito vantato. I crediti che hanno queste caratteristiche possono essere portati in compensazione secondo le modalità previste da precedenti decreti ministeriali del 2012. In sostanza, il titolare del credito, acquisita la certificazione, la presenta all’agente della riscossione competente. Se la regione, l’ente locale o l’ente del Servizio sanitario nazionale non versa all’agente della riscossione l’importo oggetto della certificazione entro 60 giorni dal termine indicato, l’agente può procedere, sulla base del ruolo emesso, alla riscossione coattiva nei confronti dell’ente.

Sul tema della compensazione restano in campo anche altre proposte, spesso di complessa praticabilità. Dalla compensazione universale – per tutte le tipologie di debiti con la Pa senza distinzioni – (un’idea da sempre sostenuta da Rete Imprese), alla recente proposta di legge Ncd portata avanti da Nunzia De Girolamo. In quest’ultimo caso (l’esame in Aula della Camera non è stato ancora fissato) si punta a corrispondere all’imprenditore il 50% di quanto dovuto dall’amministrazione pubblica a fronte dell’impegno di chiedere la rateizzazione del debito fiscale. Superata questa procedura verrebbe liquidato l’altro 50%.

Il buco nero dei debiti dello Stato? E’ nella sanità

Il buco nero dei debiti dello Stato? E’ nella sanità

Paolo Baroni – La Stampa

I debiti arretrati della Pa? Al 23 settembre fa sapere finalmente il Tesoro, aggiornando i suoi dati, sono stati pagati 31,3 miliardi su 38,4 già erogati e le risorse stanziate (57 miliardi) «sono più che sufficienti a smaltire il debito patologico». In realtà, sul fronte dei pagamenti, restano molti buchi neri, a cominciare dalla sanità.

Tra gennaio e luglio infatti, secondo i dati elaborati da Assobiomedica, la federazione di Confindustria che raggruppa i fornitori di apparecchiature, una Asl su tre, ovvero 69 aziende su 226, i tempi li ha addirittura allungati. Il record spetta all’Azienda Sanitaria Mater Domini di Catanzaro, che a gennaio pagava in 1301 giorni e a luglio era arrivata a 1401 (+100) conquistandosi così il primato nazionale di peggior pagatore nel campo della sanità. Alle sue spalle si piazzano l’Azienda provinciale di Cosenza che paga in 1025 giorni, l’Azienda pugliese Ciaccio (907), l’Azienda regionale di Campobasso (833) e l’Asl Napoli 1 che paga in 855, ma che però da inizio anno è riuscita a tagliare ben 234 giorni. Meglio ha fatto solo l’Ospedale San Sebastiano di Caserta che di giorni ne ha recuperati addirittura 314 ed è sceso a quota 443. In tutto sono 20 le aziende che in questi ultimi mesi hanno ridotto i tempi di pagamento in maniera significativa (da 3 a 8 mesi), tra queste 4 aziende della capitale (Roma B, Roma E, Gemelli e Sant’Andrea), il Cardarelli di Napoli e l’ospedale di Careggi. Anche l’Asl di Rimini è riuscita a «buttar giù» 90 giorni, passando da 133 a 42 giorni e stabilendo così il miglior risultato assoluto. Le situazioni più pesanti riguardano le regioni commissariate, col Molise che ha una media di 862 giorni, la Calabria di 841, la Campania di 341. Al Nord la Lombardia paga invece in 92 giorni, l’Emilia in 152, il Piemonte in 243.

Nel campo della sanità il meccanismo della certificazione dei crediti avviato dal Tesoro serve, ma non risolve. Perché, ad esempio, ben 1,39 miliardi di crediti sui 3 che in totale spettano alle imprese che producono i dispositivi medici non possono essere certificati perché i debiti delle Regioni commissariate sono esclusi dal meccanismo. «È assurdo che questo che rappresenta il pregresso più antico, debba essere saldato chissà quando», protesta Stefano Rimondi presidente di Assobiomedica. Che segnala pure problemi col sistema bancario, con istituti «che impongono tassi anche superiori» all’l,6% fissato dal Tesoro.

Secondo Luigi Boggio, amministratore delegato della filiale italiana della B Braun, una multinazionale tedesca del settore da 5,1 miliardi di fatturato, la piattaforma informatica del Tesoro «non è uno strumento utile». «È complicato – spiega – non consente un caricamento massivo delle fatture, ma bisogna inserirle una per volta e ad ogni anomalia la fattura viene sospesa. Molto meglio fare da soli: noi sul recupero crediti investiamo molto di nostro, abbiamo 8 persone che girano l’Italia, visitano i clienti, e ci consentono di sbloccare molte situazioni». In questo modo la «B Braun» riesce a incassare in 158 giorni contro una media nazionale di 201. «Ma la Romania per pagarci impiega 70 giorni in meno, l’Ungheria 50, la Bulgaria 40, Spagna e Russia 30. Perché? Perché – risponde Boggio – da noi c’è tutto un sistema informatico-amministrativo che non funziona. Senza contare che in certe regioni del Sud se non chiedi le fatture se le tengono nel cassetto ed è come se non esistessero».

Pagamenti a quota 31 miliardi

Pagamenti a quota 31 miliardi

Carmine Fotina – Il Sole 24 Ore

L’obiettivo di pagare tutti i debiti della Pa entro il 21 settembre, il fatidico giorno di San Matteo, non è stato centrato. Lo confermano gli ultimi dati pubblicati ieri dal ministero dell’Economia, sebbene si sottolinei come l’ammontare accumulato a fine 2013 sia inferiore alle precedenti stime (50 miliardi anziché i 60 miliardi più volte citati) e nonostante si ricordi che le imprese possono cedere i loro crediti alle banche secondo le regole del decreto 66/2014.

I numeri, alla fine, dicono che su poco meno di 57 miliardi stanziati sono stati erogati 38,4 miliardi agli enti debitori e di questi solo 31,3 miliardi sono finiti nelle casse dei creditori (il 55% delle risorse effettivamente disponibili). In particolare, 17,9 miliardi sono stati pagati ad imprese e professionisti che vantavano crediti nei confronti di Regioni e Province autonome; 7,7 miliardi sono andati a fornitori di Province e Comuni e 5,7 miliardi a quelli dello Stato (ma in questo caso, per 5,2 miliardi , si parla di rimborsi fiscali e non di crediti commerciali).

Il Mef mette comunque in evidenza il forte incremento dell’erogazione (+27%) e dei pagamenti (+20%) rispetto alla precedente rilevazione del 21 luglio scorso e ridimensiona l’intero fenomeno. Limitandosi al debito “patologico”, dunque scaduto e non oggetto di contenzioso, la massa da aggredire si ridurrebbe a 50 miliardi e dunque «le risorse fin qui stanziate sembrano essere più che sufficienti». È vero, ammette il Mef, che non è stato già pagato l’intero importo stanziato ma le ragioni vanno ricercate a livello locale. Molti Comuni hanno rallentato la richiesta di risorse perché hanno smaltito la gran parte degli arretrati mentre le Regioni sono fermate dal patto di stabilità interno, hanno problemi di contabilizzazione nei bilanci o non riescono a predisporre piani di pagamento dettagliati. Tra settembre e novembre, comunque, dovrebbero essere erogati dal Tesoro agli enti debitori altri 9 miliardi.

Un’analisi completa dell’argomento pagamenti della Pa richiede però una distinzione tra spese correnti e spese in conto capitale. Mentre sulle prime il governo può procedere senza remore, nel secondo caso – relativo agli investimenti – restano grosse criticità per il rischio di sforare i vincoli dell’indebitamento netto (per il governo sarebbero incagliati solo 2-3 miliardi, per i costruttori dell’Ance le cifre sarebbero sensibilmente superiori). E non è l’unico aspetto meritevole di approfondimento. Dal mondo sanitario, altro grande universo dei creditori della Pa, giungono diverse obiezioni. Assobiomedica sottolinea che, su oltre 3 miliardi di scoperto, 1,4 miliardi «non possono essere restituiti perché i debiti delle Regioni commissariate sono esclusi dal sistema di certificazione del ministero dell’Economia».

Il punto di soddisfazione reciproca, tra governo e imprese, appare dunque ancora lontano. Continuano ad esempio le segnalazioni su ritardi di pagamento relativi ai nuovi contratti. Su questo punto però il governo rilancia, promettendo «la riduzione generalizzata a 30 giorni» grazie all’introduzione della fatturazione elettronica e alle nuove regole di contabilità per le pubbliche amministrazioni.

Lo stato deve ancora pagare 73,5 miliardi alle imprese

Lo stato deve ancora pagare 73,5 miliardi alle imprese

Gian Maria De Francesco – Il Giornale

Alla fine il premier Matteo Renzi ha ceduto: l’impegno sul pagamento dei debiti al 31 dicembre 2013 delle pubbliche amministrazioni non è rispettato e, come anticipato da Bruno Vespa (ispiratore della scommessa), si è detto disponibile a percorrere la ventina di chilometri che separa Firenze dal santuario del Monte Senario. Il presidente del Consiglio ha chiesto di essere accompagnato non solo dal giornalista, ma anche dal ministro dell’economia Padoan, dal presidente della Cassa depositi e prestiti Bassanini e da quelli di Confindustria e Rete Imprese, Squinzi e Merletti.
Al di là delle trovate estemporanee, la confusione sul tema è tale che, a tutt’oggi, non si ha ancora la misura esatta di quanto lo Stato debba corrispondere alle aziende creditrici e, pertanto, a quanto ammonti il saldo finale. Una situazione che ha irritato non poco il vicepresidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, artefice della direttiva che impone agli Stati Ue di onorare in tempi certi i propri debiti estrapolando l’80% del pregresso dal computo del Patto di Stabilità.
Ieri, durante la conferenza stampa di presentazione del convegno «L’Europa e l’Italia che vogliamo» (il 26 e il 27 settembre a Perugia), ha anticipato i contenuti di tre interrogazioni presentate all’esecutivo di Bruxelles. Nella prima si chiede di stilare un primo bilancio dell’applicazione della direttiva comunitario sui tempi di pagamento e le ricadute sulle pmi. Nella seconda si interpella la Commissione sulle risposte fornite dall’Italia in merito alla propria esposizione nei confronti dei fornitori della pa. L’ultima, invece, si domanda se Bruxelles intenda comminare sanzioni all’Italia visto che lo Stato continua a non rispettare la direttiva, sforando sistematicamente il termine fissato di 60 giorni.
Nell’occasione Tajani ha riproposto il proprio atto d’accusa. «Oltre ai 60 miliardi che l’amministrazione pubblica deve ancora pagare, si sono accumulati altri debiti per gli interessi di mora per 8-10 miliardi», ha sottolineato. Secondo l’esponente di Forza Italia, però, occorrerebbe riformare il patto di stabilità interno (quello che impone anche alle amministrazioni locali il tetto del 3%) perché in contrasto con la normativa Ue sul pagamento dei debiti.
E mentre il ministro Graziano Delrio continua a sostenere le tesi del premier sostenendo che restano da pagare una trentina di miliardi visto che dei 60 complessivi lo Stato ha già onorato la metà, ieri è stato il centro studi ImpresaLavoro a sbugiardare Palazzo Chigi. «Nonostante le promesse, lo stock complessivo del debito rimane invariato nel suo livello e cioè pari a 73,5 miliardi di euro», sostiene il presidente Massimo Blasoni ricordando che «i debiti commerciali si rigenerano con frequenza». Per quanto riguarda il 2014, «stimiamo che siano già stati consegnati beni e servizi per circa 113,5 miliardi di euro e di questi ne sarebbero stati pagati soltanto 40». Senza contare il saldo delle spese in conto capitale legate al settore edilizia, bloccato dal Patto di Stabilità e del quale l’Ance lamenta la mancata corresponsione. Secondo ImpresaLavoro, il ritardo nei pagamenti costa alle imprese circa 6 miliardi l’anno di oneri di finanziamento con cui sopperire alle entrate mancanti. Nel periodo 2009-2013, oltre a pagare tasse sempre più esose, le aziende sono state «costrette» a devolvere alle banche circa 30 miliardi.
Non bisogna lamentarsi, poi, se molti imprenditori hanno deciso di trasferirsi in Svizzera. Da ieri avranno un motivo in più: la Confederazione ha deciso di anticipare la riforma fiscale applicando il trattamento vantaggioso degli utili conseguiti in Svizzera a quelli ricavati all’estero. Perché restare in Italia, allora?

Delrio sconfessa Renzi: debiti con le aziende pagati a metà

Delrio sconfessa Renzi: debiti con le aziende pagati a metà

Filippo Caleri – Il Tempo

Alla fine la verità sta nel mezzo. Anche nel caso dei debiti della pubblica amministrazione che negli ultimi giorni sono stati al centro di un’autentica lotteria. Gli artigiani della Cgia di Mestre hanno sostenuto che Renzi non ha mantenuto la promessa di saldarli tutti entro il 21 settembre, il premier sceso in campo per precisare che era già tutto in pagamento. Così ieri il sottosegretario alla presidenza del Consiglio ha confermato che in realtà i soldi a disposizione delle imprese sono 55-60 miliardi, ma quelli effettivamente pagati sono 31-32 a causa di ritardi prevalentemente dovuti alla comprensione da parte delle aziende del nuovo sistema per liquidare i loro crediti verso la pubblica amministrazione. «Posso garantire che il meccanismo che abbiamo messo in piedi è assolutamente certo ed esigibile» ha detto Delrio a margine di un’audizione al Parlamento Ue, sottolineando che «sul fatto che ogni imprenditore può andare a riscuotere quello che gli è dovuto non c’è alcun dubbio». Quindi Delrio ha spiegato che «il fatto che da 60 o 55 (miliardi), come presumibilmente saranno alla fine quelli reali, si sia arrivati a 31-32, dipende dai meccanismi di velocizzazione che le imprese hanno avuto nel rendersi conto del nuovo sistema». Delrio ha aggiunto al riguardo che «a volte alcuni enti locali non hanno pagato le loro partecipate», precisando che in questi casi «c’è anche qualche ritardo un po’ colpevole, tra virgolette». Dunque alla fine se i soldi ci sono ma non sono stati erogati è come se non ci fossero. Secondo questa tesi Renzi dovrebbe pagare la penitenza di andare a piedi al santuario del Monte Senario come annunciato nella puntata di Porta a Porta nel caso non avesse assolto l’impegno. A rincarare la dose è stato ieri il vicepresidente vicario dell’Europarlamento Antonio Tajani: «Mancano ancora all’appello circa 60 miliardi dallo Stato per i pagamenti dei debiti della pa». Dati alla mano, «la Banca d’Italia ha stimato i debiti della Pa al 31 dicembre 2012 a circa 90 miliardi», ha spiegato Tajani. «Da parte sua il governo ha stanziato 56,8 miliardi di questi sono stati erogati alle pubbliche amministrazioni 30, ma la Pa ne ha pagati 26,1. Dunque in totale mancano intorno ai 60 miliardi: 30 miliardi di quelli che sono stati stanziati e altri 30 circa ancora da stanziare». Infine Massimo Blasoni, presidente del centro studi “ImpresaLavoro” ha detto che «liquidare i debiti pregressi di per sé non riduce pertanto lo stock complessivo: questo può avvenire soltanto nel caso in cui i nuovi debiti creatisi nel frattempo risultano inferiori a quelli oggetto di liquidazione».