La finta tassa salutista che fa male al mercato

di Massimo Blasoni – Il Giornale

Il fumo fa male ma ancor più male – all’economia e quindi a noi tutti – fanno i governi che ciclicamente (anche in occasione dell’ultima manovra) ricorrono all’ennesimo aumento delle accise del tabacco nel tentativo di raddrizzare i nostri conti pubblici. Si tratta di una misura ormai quasi pavloviana, che nasconde l’assenza di una vera strategia politica sul fronte del contenimento della spesa pubblica (a quando una vera spending review?) e che tradisce diverse ipocrisie.

La prima è quella di varare un inasprimento della tassazione indiretta per poter poi meglio raccontare che la manovra è stata all’insegna del mancato aumento delle tasse: peccato che il fatto che vengano prelevate in maniera “occulta” non riduce per nulla il loro impatto nelle tasche dei contribuenti. Non solo. Si è deciso di operare un aumento disomogeneo delle accise a seconda del tipo di sigarette e tabacchi posti in vendita (colpendo soprattutto la fascia di mercato più bassa, perché più diffusa): una scelta che produce la distorsione di un mercato già in crisi e la cui filiera (produzione agricola, aziende di prima trasformazione, manifattura, distribuzione e dettaglio), soprattutto per effetto del taglio dei contributi comunitari, ha in questi anni perso un numero rilevante di addetti.

Sulla politica in materia di tabacco registro poi una contraddizione, questa sì insanabile: lo Stato da un lato ha assoluto bisogno dei tabagisti per incassare ogni anno anno una quota rilevante di gettito (9,4 miliardi di euro solo nel 2016), dall’altro sostiene di aumentare le accise con l’obiettivo “salutista” di costringere a smettere di fumare il maggior numero di persone, in ossequio ai reiterati inviti in tal senso formulati dall’Oms. Un approccio “etico”, volto a colpire con le tasse un comportamento ritenuto sbagliato e che un liberale come me non può non criticare. Soprattutto perché alla prova dei fatti si è rivelato l’ennesimo pretesto per tartassare i cittadini. Se infatti la nostra salute sta così a cuore a questo Stato paternalista, perché poi si è subito attivato per frenare la diffusione del nuovo mercato delle sigarette elettroniche? Sono uno strumento tecnologico efficace per ridurre il danno nonché per aiutare a smettere di fumare e l’anno scorso l’autorevole Royal College of Physicians ha stabilito essere meno dannose almeno del 95% rispetto alle sigarette tradizionali.

Sta di fatto che al boom della moda dello “svapo”, esplosa tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013, si è subito reagito – primi tra tutti i Paesi europei – con una tassazione scriteriata che andava a colpire sia le ricariche dei liquidi sia tutti quanti gli accessori (carica batterie, resistenze, addirittura i laccetti per portarle al collo…) e che infatti è stata poi bocciata dalla Corte costituzionale. Ciononostante su questo prodotto resta in vigore una tassa specifica a un tasso punitivo di 0,38 euro per millilitro (pari a 5 euro su un prodotto messo in vendita a 9-10 euro), che va a colpire anche le ricariche prive di nicotina e sulla quale pende tuttora un nuovo pronunciamento della Consulta… Tutto, insomma, pur di nuocere alla salute di un nuovo settore di mercato.