giustizia

Renzi, l’economia e la storia della costruzione dei volenterosi

Renzi, l’economia e la storia della costruzione dei volenterosi

Mario Sechi – Il Foglio

Splende il Sole, arriva l’alluvione. E’ venerdì 29 agosto, alle dieci in punto l’Istat apre la diga per far defluire gli ultimi dati sull’economia italiana. E’ il gong che segnala l’apertura dell’Armageddon contabile. Mezz’ora dopo il botto del cannone del Gianicolo (alle 12 in punto, sparo a salve dell’obice progettato nel 1914 dalla Skoda per l’Imperial Regio Esercito Austro-Ungarico dal Palazzo del Quirinale) decolla un comunicato: “Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricevuto questa mattina al Quirinale il ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan”. Routine? Sì e no. Sì perché è imminente il Consiglio dei ministri; no perché pochi minuti dopo (ore 12 e 55) compare un altro dispaccio che fa lampeggiare le spie del sub-sonar: “Il Presidente Napolitano ha avuto con il Ministro dell’Economia uno scambio di vedute sulle prossime occasioni di chiarimento e di intesa a livello europeo (ad esempio in occasione della prossima seduta dell’Ecofin) per il rilancio della crescita dovunque in Europa. Nella ricognizione si sono considerate attentamente le importanti indicazioni contenute nel discorso pronunciato dal Presidente della Bce, Mario Draghi, a Jackson Hole”.Letto bene? Ecofin. Crescita. Draghi. Politica. Problema. Soluzione. E’ il segno che la situazione italiana si sta deteriorando? Sì, ma il nocciolo della faccenda è l’ormai religiosa fiducia riposta in Draghi, quello che nella copertina ice-cream dell’Economist tira via l’acqua a secchiate dalla barca europea. Basterà? Vedremo. Sul taccuino restano gli scampoli di un pazzo agosto, con tratti d’imprudenza psichedelica: Renzi mercoledì 27 agosto ci casca con il tweet del mattino, ore 6 e 20: “Non male questo fine settimana: giustizia, sblocca Italia, nomine europee, poi scuola e #millegiorni #italiariparte #ciaovacanze”’: Acme anticipatorio deluso quando la scuola sparisce da Twitter il venerdi alle ore 6 e 52: “Oggi giustizia e sblocca Italia. Domani vertice europeo. Lunedì la presentazione ufficiale #millegiorni con obiettivi e sito #italiariparte”. Missing in action, come il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini. 

Sembra tutto più semplice sabato 23 agosto quando Renzi sventaglia al settimanale Tempi una raffica di ultimatum: “E’ l’Italia che aiuta l’Europa, non l’Europa che aiuta noi. Togliamo il Paese ai soliti che vanno nei salotti buoni. All’Italia serve lo spirito del maratoneta”. Gajardo. E poi? La settimana è andata avanti con altro passo e spasso. Lunedì (25 agosto) Renzi inaugura l’hashtag #ciaovacanze con tanto di foto di Palazzo Chigi all’alba: “Buon lavoro a chi torna oggi in ufficio #ciaovacanze“ e il ministro dell’Economia Padoan si presenta alle 17 per conferire con il premier. Alle 18 e 26 esce da Piazza Colonna e si capisce che non c’e un euro da spendere o quasi. E poi ci sono le crisi internazionali e Renzi all’ora dei tg parla con il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, chiacchierata di modesta entità che spazia “dall’Africa al Medio Oriente”, così informano i bollettini d’agenzia ai quali ormai manca solo un tocco poetico, un sobrio “Dall’Alpi alle Piramidi/dal Manzanarre al Reno”. Martedì 26 agosto alle 10 in punto il cambio della bicicletta governativa s’inceppa nella lingua di Francesco Paolo Sisto, deputato di Forza Italia che dà una martellata sulla prescrizione: “Il processo deve avere una durata ragionevole. Una paralisi della prescrizione al primo grado comporterebbe in Italia un processo di secondo grado e di Cassazione infinito”. Non ha tutti i torti, chi tocca i fili della giustizia resta fulminato. In fase post-prandiale sul Moleskine resta impresso lo scatto d’orgoglio del militante. Festa dell’Unità, lettera del segretario Renzi: “Le priorità sono chiare. Non accettiamo lezioni”. Sempre tosto. Ma alle 17 e 26 una velina di Palazzo Chigi fa suonare i sistemi d’allarme: “Le bozze dello Sblocca-Italia che stanno circolando sono scadute”. Ultima pagina del taccuino, nota a margine: “Yogurt legislativo”. Sto per chiudere il pezzo, è venerdì pomeriggio, il Consiglio dei ministri è riunito, sul telefonino lampeggia un tweet che mi ha inviato il banchiere d’affari Guido Roberto Vitale: “Urge sostenere Renzi nella sua lotta per le riforme”. Siamo alla coalizione dei volenterosi.

Lavoro, giustizia e competitività. Senza le riforme non ci sarà crescita

Lavoro, giustizia e competitività. Senza le riforme non ci sarà crescita

Alan Friedman – Corriere della Sera

Ora che l’Italia è ufficialmente di nuovo in recessione, per la terza volta in soli sei anni, sarebbe utile capire perché il nostro Paese sia il fanalino di coda in Europa per quanto riguarda la crescita.

A mio avviso la causa di questa situazione non è la moneta unica, e nemmeno il ciclo della congiuntura dell’economia europea. Non è neppure soltanto il fatto che la Germania cresca meno e acquisti in maniera meno massiccia le nostre merci, anche se questo è certamente vero.

Il motivo principale per cui l’economia italiana continua a essere così anemica è la mancanza di modernizzazione attraverso le riforme – del mercato del lavoro, del fisco, della burocrazia e del welfare. In altre parole, l’Italia non crescerà finché non avrà fatto le stesse riforme che altri Paesi hanno fatto dieci o venti anni fa.

Finché non saremo competitivi nei confronti dei nostri partner principali in Europa – in termini di una giustizia con delle regole chiare, di un costo del lavoro ragionevole, di una vera flessibilità del mercato dell’occupazione e di una migliorata produttività, equiparabile ad altri Paesi – l’Italia non potrà progredire. Le riforme non sono un optional. Sono necessarie. Servono a farci uscire dalla crisi. Sono una base per la crescita, non la soluzione magica.

Per un politico è difficile ammettere che l’impatto forte, salutare e visibile delle riforme non si otterrà in sei o dodici mesi, ma piuttosto in un periodo di almeno due o tre anni. Ma è così. Fare le riforme economiche in modo che il mercato italiano sia paragonabile a quelli tedesco, inglese o olandese significa intraprendere un percorso molto – ma molto! – ambizioso, e tutto questo in un Parlamento non proprio di leoni. Eppure il gioco varrebbe la candela, perché renderebbe l’Italia più forte.

La realtà è che viviamo da tempo in un Paese a crescita più o meno zero. Siamo da tempo in una fase di stagnazione nazionale, in cui l’economia non genera posti di lavoro, mancano investimenti pubblici e privati, manca una politica industriale, il tasso di disoccupazione aumenta, la burocrazia ci strangola, il denaro non gira, e la classe dirigente (compresa la politica) non sembra in grado di esercitare una leadership o una visione adeguata a portarci fuori dalla crisi. Ora c’è Renzi, che prova a spingere l’acceleratore sulle riforme ma inciampa ogni tanto a causa dei gattopardi della sinistra del suo partito, o delle resistenze da parte di Sel o dei cinquestelle. Renzi ha un consenso elettorale che non deve sprecare: deve spenderlo per fare una riforma coraggiosa dell’economia italiana. Deve, se necessario, «battere la testa contro il muro» per insistere su questo punto, e proporre anche qualche cambiamento strutturale che non farà piacere a Susanna Camusso.

La mia preoccupazione, in sintesi, è questa: se si facessero davvero tutte le riforme necessarie per rimettere l’Italia sul binario della crescita e dell’occupazione, i franchi tiratori sarebbero sempre lì, pronti ad affossare ogni singola proposta? La guerra potrebbe essere lunga. Ora Renzi ha bisogno di Berlusconi per portare a termine alcune modifiche istituzionali e la nuova legge elettorale. Bene. Ma si può fare in Italia una riforma radicale del mercato del lavoro, come hanno fatto i governi di centrosinistra in America durante l’Amministrazione Clinton, in Germania negli anni di Schröder o in Gran Bretagna con Blair? Laddove quelle modifiche sono state fatte, laddove c’è più flessibilità nel mercato, il tasso di disoccupazione è la metà di quello italiano.

È inutile girare intorno al problema. L’Italia non avrà nessun futuro di crescita ragionevole nel medio e lungo periodo se non fa subito le riforme strutturali che altri Paesi hanno già portato a termine. È ovvio. Questi cambiamenti devono rappresentare un vero e autentico ammodernamento di una macchina che non funziona più, di un sistema sclerotico e vecchio. Se l’Italia riesce a fare ora, nei prossimi mesi, quelle riforme che altri Paesi hanno già fatto dieci anni fa, ci potrebbe essere la speranza di una ripresa ragionevole verso la fine del 2015. Se invece vengono bloccate nel sottobosco romano, in Parlamento e dintorni, saremo qui a scrivere di un’economia senza crescita.