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La crisi frena gli immigrati. Mandano meno soldi a casa

La crisi frena gli immigrati. Mandano meno soldi a casa

La Gazzetta dello Sport

Crisi per tutti, pure per ciò che chiamiamo «rimesse». Il frutto di lavoro e sacrifici, le somme che i lavoratori stranieri in Italia spediscono verso i Paesi di origine spesso attraversi piccole finanziarie: negli ultimi dieci anni hanno raggiunto la vertigine di 60 miliardi di euro. Eppure, a leggere un’analisi del Centro Studi «ImpresaLavoro» su elaborazione di dati Bankitalia, si scopre che anche questo settore è in sofferenza.

Nel dettaglio, esplorando la ripartizione anno per anno, ecco che le difficoltà complessive del sistema Italia portano a ridurre le rimesse spedite da questi lavoratori alle loro famiglie di origine: dai 7,394 miliardi del 2011 ai 6,833 miliardi del 2012 (-7,6%) e giù fino ai 5,533 miliardi del 2014 (-38%), il livello più basso dal 2007. Utile anche allargare il campo alla geografia dell’immigrazione in Italia: gli immigranti che hanno trasferito più risorse in patria li trovi in Lombardia (un miliardo e 119,4 milioni), poi ci si trasferisce nel Lazio (985,1 milioni) prima di risalire al nord: Toscana (587,1 milioni), Emilia-Romagna (459,7 milioni), Veneto (426,3 milioni).

«ImpresaLavoro» ha dovuto navigare in un mare magnum di dati e numeri: nello studio elaborato, contempla cittadini di 176 nazionalità differenti venuti da queste parti per lavorare. Quanto alle diverse nazionalità, si scopre che il flusso maggiore di denaro è partito dall’Italia direzione Romania: 876 milioni guadagnati qui e spediti in patria. E dopo i lavoratori romeni, immancabili, i cinesi (819 milioni). Più distanziate, le comunità del Bangladesh (360), delle Filippine (324), del Marocco (250), del Senegal (245), dell’India (225), del Perù (193), dello Sri Lanka (173) e dell’Ucraina (144).

Immigrazione, ecco chi invia più soldi ai Paesi di origine

Immigrazione, ecco chi invia più soldi ai Paesi di origine

Simona Sotgiu – Formiche

Il naufragio del peschereccio partito dalla costa libica con a bordo 950 migranti – numero riferito dai superstiti messi in salvo dalla Marina Militare e sbarcati a Catania – ha riaperto per l’Italia e l’Europa il dibattito su cosa sia necessario fare per impedire il ripetersi di tragedie di questa natura. La realtà, però, si scontra con il cordoglio, l’indignazione: un barcone con 200 migranti è naufragato, infatti, davanti alla costa orientale di Rodi, in Grecia, il 20 aprile.

E mentre si dibatte su quali interventi dovrebbero attuare Europa e Italia per limitare le stragi in mare, il Centro Studi Impresa Lavoro ha elaborato le cifre delle rimesse che i lavoratori stranieri inviano nei rispettivi Paesi di origine. Pochi quelli africani nelle classifiche.

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Lavoratori stranieri in Italia

Lavoratori stranieri in Italia

NOTA

Dal 2005 al 2014 le rimesse dei lavoratori stranieri in Italia ai loro Paesi di origine hanno raggiunto la cifra considerevole di quasi 60 miliardi di euro (per la precisione 59 miliardi e 266 milioni). Lo rivela un’analisi del Centro Studi “ImpresaLavoro” su elaborazione di dati Bankitalia.
Osservando la ripartizione per anno, si osserva come la crisi economica italiana abbia comportato negli ultimi anni una significativa contrazione delle somme inviate da questi lavoratori alle loro famiglie di origine: dai 7,394 miliardi del 2011 ai 6,833 miliardi del 2012 (-7,6%) fino ai 5,533 miliardi del 2014 (-38%).

Anno

Limitatamente a quest’ultimo anno, si osserva inoltre come i lavoratori stranieri che hanno trasferito in patria il maggior quantitativo di denaro siano stati quelli residenti in Lombardia (1 miliardo e 119,4 milioni), nel Lazio (985,1 milioni), in Toscana (587,1 milioni), in Emilia-Romagna (459,7 milioni), in Veneto (426,3 milioni) e in Campania (306,7 milioni).

Regioni

Quanto alle diverse nazionalità, nella classifica stilata dal Centro Studi “ImpresaLavoro” (che contempla cittadini di 176 nazionalità differenti) risulta che nel 2014 i lavoratori stranieri in Italia che hanno trasferito in patria il maggior quantitativo di denaro sono quelli romeni (876 milioni) e cinesi (819 milioni). A seguire, fortemente distanziati, si collocano quelli provenienti dal Bangladesh (360 milioni), dalle Filippine (324 milioni), dal Marocco (250 milioni), dal Senegal (245 milioni), dall’India (225 milioni), dal Perù (193 milioni), dallo Sri Lanka (173 milioni) e dall’Ucraina (144 milioni).

Nazioni

Decisamente più contenute risultano invece le somme di denaro che i lavoratori provenienti dai principali Paesi dell’Unione europea hanno trasferito in patria nell’ultimo anno: al primo posto della classifica risultano gli spagnoli (42,9 milioni), seguiti dai francesi (29,4 milioni), dai tedeschi (27,8 milioni), dai britannici (21,5 milioni) e infine dai greci (12,2).

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Gli italiani in fuga: 82mila emigranti

Gli italiani in fuga: 82mila emigranti

Il Sole 24 Ore

Nel 2013 gli italiani emigrati all’estero sono stati 82mila, il numero più alto degli ultimi dieci anni, il 20,7% in più rispetto all’anno precedente. È uno dei dati che emerge dall’ultimo report Istat su «Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente». Un rapporto che evidenzia anche come l’Italia attragga meno gli immigrati. Nel 2013 gli arrivi dall’estero sono stati 307 mila, 43 mila in meno rispetto all’anno precedente (-12,3%).

Italiani in fuga dal Paese, mai così tanti
Il numero di emigrati italiani è stato nel 2013 pari a 82mila unità, il più alto degli ultimi dieci anni. Migrano soprattutto le persone tra i 20 e i 45 anni. Le principali mete di destinazione dei nostri connazionali sono il Regno Unito (13mila emigrati), la Germania (oltre 11mila), la Svizzera (10mila) e la Francia (8mila). Paesi che accolgono oltre la metà dei flussi in uscita: a lasciare il Belpaese sono soprattutto persone tra i 20 e i 45 anni, e oltre il 30% di loro è in possesso di una laurea. La meta preferita dai laureati (3.300) è sempre la Gran Bretagna.

In pochi tornano in Italia
I connazionali che decidono di tornare in Italia sono in numero molto inferiore a quello degli emigranti: nel 2013 i rientri sono 4mila dalla Germania, quasi 3mila dalla Svizzera e circa 2mila dal Regno Unito e dagli Usa. Il saldo migratorio per gli italiani è negativo per 54mila unità, quasi il 40% in più di quello del 2012 nel quale era risultato pari a -38 mila. Tra il 2007 e il 2013 le emigrazioni complessive sono più che raddoppiate, passando da 51mila a 126mila.

Italia attrae meno immigrati: -12,3%
Non solo. Sempre da quanto emerge dall’ultimo report dell’Istat sulle migrazioni internazionali, l’Italia attrae meno gli immigrati. Nel 2013 gli arrivi dall’estero sono stati 307mila, 43mila in meno rispetto all’anno precedente (-12,3%). Sebbene in calo rispetto agli anni precedenti, l’Italia rimane, tuttavia, meta di consistenti flussi migratori dall’estero. La comunità straniera più rappresentata tra gli immigrati è quella rumena che conta 58 mila iscrizioni. Seguono le comunità del Marocco (20 mila), della Cina (17 mila) e dell’Ucraina (13 mila). Gli italiani di rientro dall’estero sono 28 mila, mille in meno rispetto al 2012.

Legge magnaccia

Legge magnaccia

Davide Giacalone – Libero

Nello stato di diritto tutti siamo subordinati alla legge e nessun potere può essere esercitato con arbitrio. La legge può essere modificata, naturalmente, ma finché vige va rispettata. Nello stato storto, il nostro, la legge è irrilevante e solo i fessi vi sottostanno. Cambiare le leggi può essere divertente, ma inutile, perché si fa prima a interpretarle a proprio piacimento. Questa grottesca e inquietante storia romana, che riempie le cronache e svuota gli animi, ha due facce della medaglia, entrambe intitolate all’irrilevanza della legge: a. per concorrere agli appalti pubblici le aziende per bene producono montagne di carte, come la legge prevede, ma poi lavori e soldi possono essere affidati a cooperative di malfattori; b. una legge proibisce di ritrarre cittadini in manette, così che si è inventato il pallino bianco da mettere su fotografie e filmati, in compenso si può vedere in rete il cinema di persone arrestate con i mitra spianati sul muso. Questa è la medaglia di un Paese che non ha orrore di sé.

Quando provi a divenire fornitore della pubblica amministrazione devi presentare un numero impressionante di documenti, attestanti l’onestà tua e dei tuoi familiari, nonché progetti e/o programmi che spieghino come intendi utilizzare il denaro che riceverai. Che poi nemmeno lo ricevi, perché il verbo continua a essere coniugato al futuro. È capitato che gare per importi rilevantissimi, assegnate regolarmente, siano poi state invalidate perché si scopre che l’affidatario ha una cartella esattoriale non pagata, magari per importo ridicolo, magari avendo anche ragione e, comunque, neanche sapendolo al momento in cui presentò la documentazione. Tanta maniacalità burocratica ha tratti di follia, ma, almeno, speri che serva ad evitare che i soldi pubblici finiscano in mani sbagliate. Poi scopri che una cooperativa può ricevere soldi pubblici pur essendo comporta da assassini, terroristi e criminali di varia caratura. Che i soldi che prendono li spendono solo in parte minimale per il servizio, mentre il resto s’imbuca altrove. Che la grana arriva in anticipo ed aumenta a saldo. Che a Castel Romano ha 986 dipendenti per servire 1400 nomadi (che non sono nomadi, dato stanno lì), un addetto e mezzo a testa. Concorrendo con Buckingham Palace, salvo il fatto che domina il degrado (è un discorso diverso, ma quei 1400 potrebbero anche lavorare …). Insomma, scopri che le regole ferree cui devono attenersi gli onesti diventano lattee con i disonesti.

Già, si potrà obiettare, ma quella era proprio una cooperativa di ex detenuti, quindi è ovvio che sia composta da chi fu ospitato, con una qualche ragione, nelle patrie galere. Un momento: conosco il lavoro della solidarietà e lo sforzo per favorire il reinserimento di chi ha vissuto esperienze negative, ma non consiste mica nel ciucciare denari pubblici, bensì nell’imparare a fare qualche cosa e metterci serietà e impegno di cui non si è stati capaci nel passato. Altrimenti, anziché reinserire gli ex galeotti, varrebbe la pena andare tutti in galera, così ti danno appalti a botte di tre milioni. Inoltre: non ha senso che il riassorbimento della devianza sia praticato nell’assistenza alla devianza, perché non ci vuol molto a immaginare quali possono essere le conseguenze.

Né sembra avere un gran valore neanche il dettato costituzionale, ove si legge che si è innocenti fino a sentenza definitiva. Non faccio che ascoltare intercettazioni, oramai corredate da immagini, tratte da indagini neanche ancora completate. Poi arriva la ciliegina dell’arresto in armi. Tutti documenti utili per riunire il tribunale del popolo ed emettere sentenza al bar. Con il che, però, il diritto è morto. Leggo che uno degli intercettati avrebbe detto: “meno male che è finita bene, sennò chissà come andava a finire”. Ci vedo il reato di lesa lingua italiana, ma mi preoccupo per il giornalismo che sugge questo nettare e per il procuratore che glielo segnala. E il cielo non voglia che le risultanze processuali, fra qualche lustro (è in partenza il processo per il sangue infetto, risalente a ventuno anni fa), dimostrino che l’accusa d’associazione mafiosa era un tantino esagerata (intanto ci vedo il reato d’offesa alla cultura sicula), perché non vorrei dover pagare, con i soldi presi dalle mie tasse, un qualche risarcimento alla compagnia dei magnaccioni.

I 3,9 miliardi che i migranti danno all’economia italiana

I 3,9 miliardi che i migranti danno all’economia italiana

Gian Antonio Stella – Corriere della Sera

Ha ragione papa Francesco: gli immigrati sono una ricchezza. Lo dicono i numeri. Fatti i conti costi-benefici, spiega un dossier della fondazione Moressa, noi italiani ci guadagniamo 3,9 miliardi l’anno. E la crisi, senza i nuovi arrivati che hanno fondato quasi mezzo milione di aziende, sarebbe ancora più dura. Certo, è facile in questi tempi di pesanti difficoltà titillare i rancori, le paure, le angosce di tanti disoccupati, esodati, sfrattati ormai allo stremo. Soprattutto in certe periferie urbane abbruttite dal degrado e da troppo tempo vergognosamente abbandonate dalle pubbliche istituzioni. Ma può passar l’idea che il problema siano «gli altri»?

Non c’è massacro contro i nostri nonni emigrati, da Tandil in Argentina a Kalgoorlie in Australia, da Aigues Mortes in Francia a Tallulah negli Stati Uniti, che non sia nato dallo scoppio di odio dei «padroni di casa» contro gli italiani che «rubavano il lavoro». Basti ricordare il linciaggio di New Orleans del 15 marzo 1891, dove tra i più assatanati nella caccia ai nostri nonni c’erano migliaia di neri, rimpiazzati nei campi di cotone da immigrati siciliani, campani, lucani. Eppure quei nostri nonni contribuirono ad arricchire le loro nuove patrie («la patria è là dove si prospera», dice Aristofane) proprio come ricorda Francesco: «I Paesi che accolgono traggono vantaggi dall’impiego di immigrati per le necessità della produzione e del benessere nazionale». Creano anche un mucchio di problemi? Sì. Portano a volte malattie che da noi erano ormai sconfitte? Sì. Affollano le nostre carceri soprattutto per alcuni tipi di reati? Sì. Vanno ad arroccarsi in fortini etnici facendo esplodere vere e proprie guerre di quartiere? Sì. E questi problemi vanno presi di petto. Con fermezza. C’è dell’altro, però . E non possiamo ignorarlo.

Due rapporti della Fondazione Leone Moressa e Andrea Stuppini,collaboratore de «lavoce.info», spiegano che non solo le imprese create da immigrati sono 497 mila (l’8,2% del totale: a dispetto della crisi) per un valore aggiunto di 85 miliardi di euro, ma che nei calcoli dare-avere chi ci guadagna siamo anche noi. Nel 2012 i contribuenti nati all’estero sono stati poco più di 3,5 milioni e «hanno dichiarato redditi per 44,7 miliardi di euro (mediamente 12.930 euro a persona) su un totale di 800 miliardi di euro, incidendo per il 5,6% sull’intera ricchezza prodotta». L’imposta netta versata «ammonta in media a 2.099 euro, per un totale complessivo pari a 4,9 miliardi». Con disparità enorme: 4.918 euro pro capite di Irpef pagata nel 2013 in provincia di Milano, 1.499 in quella di Ragusa.

A questa voce, però, ne vanno aggiunte altre. Ad esempio l’Iva: «Una recente indagine della Banca d’Italia ha evidenziato come la propensione al consumo delle famiglie straniere (ovvero il rapporto tra consumo e reddito) sia pari al 105,8%: vale a dire che le famiglie straniere tendono a non risparmiare nulla, anzi ad indebitarsi o ad attingere a vecchi risparmi. Ipotizzando che il reddito delle famiglie straniere sia speso in consumi soggetti ad Iva per il 90% (escludendo rimesse, affitti, mutui e altre voci non soggette a Iva), il valore complessivo dell’imposta indiretta sui consumi arriva a 1,4 miliardi di euro». Più il gettito dalle imposte sui carburanti (840 milioni circa), i soldi per lotto e lotterie (210 milioni) e rinnovi dei permessi di soggiorno (1.741.501 nel 2012 per 340 milioni) e così via: «Sommando le diverse voci, si ottiene un gettito fiscale di 7,6 miliardi». Poi c’è il contributo previdenziale: «Considerando che secondo l’ultimo dato ufficiale Inps (2009) i contributi versati dagli stranieri rappresentano il 4,2% del totale, si può stimare un gettito contributivo di 8,9 miliardi». Cosicché «sommando gettito fiscale e contributivo, le entrate riconducibili alla presenza straniera raggiungono i 16,6 miliardi».

Ma se questo è quanto danno, quanto ricevono poi gli immigrati? «Considerando che dopo le pensioni la sanità è la voce di gran lunga più importante e che all’interno di questa circa l’80% della spesa è assorbita dalle persone ultrasessantacinquenni», risponde lo studio, l’impatto dei nati all’estero (nettamente più giovani e meno acciaccati degli italiani) è decisamente minore sul peso sia delle pensioni sia della sanità, dai ricoveri all’uso di farmaci. Certo, è maggiore nella scuola «dove l’incidenza degli alunni con cittadinanza non italiana ha raggiunto l’8,4%», ma qui «la parte preponderante della spesa è fissa». E i costi per la giustizia? «Una stima dei costi si aggira su 1,75 miliardi di euro annui». E le altre spese? Contate tutte, rispondono Stuppini e la Fondazione. Anche quelle per i Centri di Identificazione ed Espulsione: «Per il 2012 il costo complessivo si può calcolare in 170 milioni».

In ogni caso, prosegue il dossier, «si è considerata la spesa pubblica utilizzando il metodo dei costi standard, stimando la spesa pubblica complessiva per l’immigrazione in 12,6 miliardi di euro, pari all’1,57% della spesa pubblica nazionale. Ripartendo il volume di spesa per la popolazione straniera nel 2012 (4,39 milioni), si ottiene un valore pro capite di 2.870 euro». Risultato: confrontando entrate e uscite, «emerge come il saldo finale sia in attivo di 3,9 miliardi». Per capirci: quasi quanto il peso dell’Imu sulla prima casa. Poi, per carità, restano tutti i problemi, i disagi e le emergenze che abbiamo detto. Che vanno affrontati, quando serve, anche con estrema durezza. Ma si può sostenere, davanti a questi dati, che mantenere l’estensione della social card ai cittadini nati all’estero ma col permesso di soggiorno è «un’istigazione al razzismo»?

Per non dire dell’apporto dei «nuovi italiani» su altri fronti. Dice uno studio dell’Istituto Ricerca Sociale che ci sono in Italia 830 mila badanti, quasi tutte straniere, che accudiscono circa un milione di non autosufficienti. Il quadruplo dei ricoverati nelle strutture pubbliche. Se dovesse occuparsene lo Stato, ciao: un posto letto, dall’acquisto del terreno alla costruzione della struttura, dai mobili alle lenzuola, costa 150 mila euro. Per un milione di degenti dovremmo scucire 150 miliardi. E poi assumere (otto persone ogni dieci posti letto) 800 mila addetti per una spesa complessiva annuale (26mila euro l’uno) di quasi 21 miliardi l’anno. Più spese varie. Con un investimento complessivo nei primi cinque anni di oltre 250 miliardi.

Raddoppiano i contratti a termine tra gli immigrati

Raddoppiano i contratti a termine tra gli immigrati

Rossella Cadeo – Il Sole 24 Ore

Hanno un tasso di occupazione superiore rispetto agli autoctoni, ma frequentemente svolgono attività disagevoli, e sono pronti ad accettare orari “asociali”. Inoltre, nonostante siano disposti ad accettare una retribuzione sotto la media, si dichiarano poco propensi a spostarsi in altre città o ad abbandonare l’Italia per trovare un impiego. E, comunque, anche gli stranieri in Italia – contrariamente a quel che si tende a credere – risentono di un generale peggioramento del quadro generale rispetto a sette anni fa, prima dell’inizio della grande crisi.

A grandi linee è questa la fotografia che emerge dalla ricerca realizzata dalla Fondazione Leone Moressa su «Come è cambiato il lavoro negli anni della crisi» che, sulla base dei dati Istat, ha messo a confronto la situazione lavorativa attuale degli stranieri e degli italiani nel 2013, rapportandola anche ai dati relativi al 2007, ultimo anno positivo prima dell’ingresso nel tunnel della crisi. «La crisi ha inciso profondamente sugli indici occupazionali dei lavoratori nel nostro Paese – osserva Stefano Solari, direttore scientifico della Fondazione Leone Moressa -. A rimetterci maggiormente sono stati gli immigrati, in quanto prevalentemente occupati nei settori più esposti alla crisi. Tra gli effetti di questa difficoltà troviamo la crescita dei contratti a tempo determinato e l’aumento della disoccupazione di lunga durata. Tuttavia, i cittadini stranieri dimostrano una adattabilità maggiore rispetto agli italiani, come conferma la disponibilità a lavorare negli orari più scomodi».

Gli indicatori ci dicono prima di tutto che il tasso di occupazione degli immigrati è molto più alto rispetto a quello degli italiani (57,1 contro 41,8%). Questo fatto però si spiega facilmente se si pensa che si tratta di soggetti mediamente più giovani rispetto alla popolazione autoctona (dove c’è un’elevata componente di pensionati) e che per rinnovare il permesso di soggiorno devono dimostrare di avere un lavoro. Dal 2007 a oggi però la crisi ha colpito più duramente gli immigrati: infatti per loro il tasso di disoccupazione è peggiorato di 9 punti, mentre “soltanto” di 5,6 per gli italiani.E se è vero che oltre un occupato su dieci oggi è straniero (quando nel 2007 erano circa il 6%) è anche vero che dall’inizio della crisi è raddoppiata la percentuale di immigrati assunti con un contratto a tempo determinato (sono il 13% dei lavoratori stranieri, sei punti in più rispetto al 2007, contro il 9,5% degli italiani) ed è ferma al 13% la quota di chi riesce a mantenersi cimentandosi in un’attività autonoma o da collaboratore.

L’obiettivo “permesso di soggiorno” spiega anche la maggiore disponibilità degli stranieri ad accettare i lavori meno qualificati, ma soprattutto posti con minori tutele, orari disagevoli e retribuzioni sotto la media. Elaborando le rilevazioni delle forze di lavoro dell’Istat, la ricerca di Fondazione Moressa mette in luce la forte presenza di stranieri in imprese piccole e medie, ossia in realtà dove non trova applicazione l’articolo 18: tra i dipendenti nel settore privato quelli che possono ricorrere alla protezione dello Statuto dei lavoratori in caso di licenziamento senza giusta causa sono solo meno di un terzo tra gli stranieri (contro una media complessiva del 55%).

Quanto al maggior grado di adattabilità, lo si evince dalla percentuale di immigrati che accettano di lavorare in orari asociali, nei fine settimana, di sera o di notte: il 53% (contro il 46,6% tra gli italiani), un dato peraltro in aumento su entrambi i segmenti di lavoratori e chiaro sintomo della crisi in atto. Anche sulla busta paga lo straniero è disponibile a fare più di un passo indietro: al mese la media si aggira sui 960 euro contro i 1.250 di un lavoratore italiano, circa un quarto di differenza. Una volta arrivato in Italia, comunque, chi viene da un Paese straniero non sembra trovarsi poi tanto male: pur di avere un impiego, quasi un disoccupato italiano su tre sarebbe disposto a trasferirsi in un’altra città nella penisola (17%) o all’estero (13%). Invece, tra gli stranieri, meno del 20% si muoverebbe di nuovo per un’altra destinazione in Italia (10%) o all’estero (8,5 per cento).

Rimesse dei lavoratori stranieri in Italia

Rimesse dei lavoratori stranieri in Italia

Ho letto con un certo timore i dati diffusi da “ImpresaLavoro” sulle rimesse degli immigrati in Italia verso i loro paesi d’origine, quindi verso le loro famiglie rimaste a casa. Il timore deriva dal fatto che contemporaneamente un mio libro, “Senza Paura”, arrivava in libreria e vi sono molte pagine dedicate all’immigrazione e a quelle rimesse. Chi ragiona con i dati vuole sempre quelli più aggiornati e vive nel timore che i nuovi smentiscano i ragionamenti fatti sulla base dei vecchi. Mi è andata bene: vi ho trovato delle conferme.
Il libro parte dall’osservazione di diversi fatti e aspetti della nostra vita collettiva, cercando di capire il perché quel che potrebbe essere visto positivamente finisce con lo scatenare delle paure. Avendoci lavorato a lungo, non trovo sportivo riassumerlo in poche parole. Ma per quel che riguarda l’immigrazione la sintesi è questa: potrebbe essere e in effetti è una risorsa positiva, capace di aiutare la crescita economica, senza per questo rubare il lavoro ad altri, ma l’incapacità di gestire il fenomeno, l’inettitudine nel fronteggiare la clandestinità, il prevalere di letture ottuse e ideologiche, vuoi che sia il buonismo dell’accoglienza o il cattivismo della chiusura, tutto questo lascia che siano non governati fenomeni di sicurezza ed ordine pubblico. E siccome il disagio si scarica sui quartieri più disagiati, mentre i vantaggi si sentono in quelli più ricchi, va a finire che le sirene d’allarme suonano più forte delle campane a festa. Ed ecco che quel che dovrebbe portare bene porta, invece, paura.
A questo si aggiunga il perdurare di scene inaccettabili nei mari a sud della Sicilia. Entrano più clandestini dalle frontiere nord dell’Europa che non da quelle di mare, ma la differenza è sostanziale: in quelle di terra si può contrastare il fenomeno, anche in modo ruvido, senza che nessuno si faccia del male; in quelle di mare non solo non si può respingere nessuno, ma spesso lo si deve salvare. E’ una trappola, che noi abbiamo perfezionato annunciando che la Marina Militare è pronta a prendere a bordo tutti, con il risultato che i barconi dovevano prima almeno arrivare ad una costa, ora è sufficiente che superino le acque territoriali da dove sono partiti. Detta in modo brutale: ci siamo messi a collaborare con i delinquenti, allargando il loro lurido traffico alle spalle di disperati. Rimediare è possibile, conciliando umanità e sovranità, soccorso e fermezza. La soluzione c’è. Ma per quella vi rimando al libro.
Link alla scheda del libro
Lavoratori stranieri in Italia: dal 2005 al 2013 le rimesse ai paesi d’origine hanno sfiorato i 54 miliardi di euro

Lavoratori stranieri in Italia: dal 2005 al 2013 le rimesse ai paesi d’origine hanno sfiorato i 54 miliardi di euro

Dal 2005 al 2013 le rimesse dei lavoratori stranieri in Italia ai loro Paesi di origine hanno raggiunto la cifra considerevole (e per certi versi sorprendente) di quasi 54 miliardi: per la precisione 53.893.978.000 euro.
Osservando la ripartizione per anno, si osserva come la crisi economica italiana abbia comportato negli ultimi anni una significativa contrazione delle somme inviate da questi lavoratori alle loro famiglie di origine: dai circa 7,3 miliardi del 2011 ai circa 6,8 miliardi del 2012 (-7,6%) fino ai circa 5,5 miliardi del 2013 (-19,4%). Quanto al 2014 le rimesse finora effettuate da gennaio a giugno ammontano a circa 2,6 miliardi di euro (per la precisione a 2.596.987.998 euro).

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Limitatamente al 2013, si osserva inoltre come i lavoratori stranieri che hanno trasferito il maggior quantitativo di denaro siano stati quelli residenti in Lombardia (1.178.434.000 euro trasferiti nei rispettivi Paesi d’origine), nel Lazio (1.058.866.000 euro), in Toscana (603.734.000 euro), in Emilia-Romagna (443.460.000) e in Campania (330.618.000 euro).
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Quanto alle diverse nazionalità, nella classifica stilata dal Centro Studi “ImpresaLavoro” (che contempla cittadini di 197 nazionalità differenti) risulta che nei primi sei mesi del 2014 i lavoratori stranieri in Italia che hanno trasferito in patria il maggior quantitativo di denaro sono quelli romeni (72.772.334 euro) e cinesi (69.681.999 euro). A seguire, fortemente distanziati, si collocano quelli provenienti dal Bangladesh (27.489.667 euro), dalle Filippine (26.827.167 euro), dal Marocco (19.988.166 euro), dal Senegal (17.873.667 euro), dall’India (17.629.667 euro), dal Perù (15.540.333 euro), dallo Sri Lanka (14.483.167 euro) e dall’Ucraina (12.933.667 euro).
Decisamente più contenute risultano invece le somme di denaro che i lavoratori provenienti dai principali Paesi dell’Unione europea hanno trasferito in patria da gennaio a giugno scorso: al primo posto della classifica risultano gli spagnoli (3.475.333 euro), seguiti da francesi (2.332.000 euro), tedeschi (2.256.333 euro), britannici (1.739.667 euro) e greci (1.038.333 euro). Osservando nel dettaglio questa classifica, si osserva infine come i lavoratori provenienti dalla Federazione russa si collochino al 24° posto (con 3.359.500 euro trasferiti in patria) subito prima di quelli provenienti dagli Stati Uniti d’America (con 2.733.833 euro).

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