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Crisi, nessun settore sta pagando quanto l’edilizia

Crisi, nessun settore sta pagando quanto l’edilizia

Giovanna Tomaselli – La Notizia

La crisi economica ha avuto sul settore dell’edilizia un impatto che non ha eguali in altri settori economici: lo dimostra il fatto che i permessi rilasciati nel Paese nel 2012 per la costruzione di nuovi edifici residenziali sono stati praticamente la metà di quelli del 2007, ultimo anno pre-crisi. Lo rivela uno studio di “ImpresaLavoro”, elaborato sulla base di dati Istat. Dal punto di vista geografico, il danno più contenuto l’ha fatto registrare il Trentino Alto Adige con un calo di “appena” il 18,3%. Molto negativi, al contrario, sono i dati registrati in Lombardia (-52,6%), nel Lazio (-53,9%), in Toscana (-60,2%) e soprattutto in Emilia-Romagna, dove i permessi rilasciati nel 2012 sono meno di un terzo di quelli utilizzati nei livelli pre-crisi (-67,2%).
Si tratta di un arretramento che non ha che fare soltanto con la difficoltà del settore immobiliare residenziale ma che è generato anche dalle complessive difficoltà economiche del sistema-Paese. A subire una contrazione decisa rispetto i livelli pre-crisi sono, infatti, anche i permessi di costruzione rilasciati per immobili non residenziali. Questi sono complessivamente diminuiti del -33,8%.
Analizzando i singoli settori di attività, desumibili attraverso la destinazione d’uso degli immobili, si osserva una sostanziale tenuta solo nel settore dell’agricoltura, nel quale i permessi di costruzione nel 2012 sono calati “soltanto” del -12,9% rispetto ai livelli pre-crisi, con le regioni del Nord che hanno fatto segnare un confortante segno positivo, trainate in particolare da Piemonte ed Emilia Romagna.
Particolarmente negativo risulta invece il dato relativo alle richieste per la costruzione di immobili destinati all’industria e all’artigianato. Qui il calo rispetto al 2007 è stato addirittura più consistente del comparto residenziale: -63,7%, con un’omogeneità territoriale che non risparmia le tradizionali locomotive produttive del Paese. Per il presidente di “ImpresaLavoro” Massimo Blasoni “oltre alla crisi, sul dato pesano anche fattori negativi esterni: su tutti una politica fiscale che in questi anni ha fortemente penalizzato gli investimenti immobiliari”.

Edilizia, la crisi ha dimezzato i permessi di costruire

Edilizia, la crisi ha dimezzato i permessi di costruire

SINTESI DEL PAPER

La crisi economica ha avuto sul settore dell’edilizia un impatto che non ha eguali in altri settori economici: lo dimostra il fatto che i permessi rilasciati nel Paese nel 2012 per la costruzione di nuovi edifici residenziali sono stati praticamente la metà di quelli del 2007, ultimo anno pre-crisi. Lo rivela uno studio di “ImpresaLavoro”, elaborato sulla base di dati Istat e disponibile online all’indirizzo http://impresalavoro.org/edilizia-crisi-dimezza-i-permessi-costruire/
Dal punto di vista geografico, il danno più contenuto l’ha fatto registrare il Trentino Alto Adige con un calo di “appena” il 18,3%. Molto negativi, al contrario, sono i dati registrati in Lombardia (-52,6%), nel Lazio (-53,9%), in Toscana (-60,2%) e soprattutto in Emilia-Romagna, dove i permessi rilasciati nel 2012 sono meno di un terzo di quelli utilizzati nei livelli pre-crisi (-67,2%).
Si tratta di un arretramento che non ha che fare soltanto con la difficoltà del settore immobiliare residenziale ma che è generato anche dalle complessive difficoltà economiche del sistema-Paese. A subire una contrazione decisa rispetto i livelli pre-crisi sono, infatti, anche i permessi di costruzione rilasciati per immobili non residenziali. Questi sono complessivamente diminuiti del -33,8%.
Analizzando i singoli settori di attività, desumibili attraverso la destinazione d’uso degli immobili per cui è stato richiesto il permesso di costruire, si osserva una sostanziale tenuta solo nel settore dell’agricoltura, nel quale i permessi di costruzione nel 2012 sono calati “soltanto” del -12,9% rispetto ai livelli pre-crisi, con le regioni del Nord che hanno fatto segnare un confortante segno positivo, trainate in particolare da Piemonte ed Emilia Romagna. Particolarmente negativo risulta invece il dato relativo alle richieste di permesso per la costruzione di immobili destinati all’industria e all’artigianato. Qui il calo rispetto al 2007 è stato addirittura più consistente del comparto residenziale: – 63,7%, con un’omogeneità territoriale che non risparmia le tradizionali locomotive produttive del Paese.
Il presidente di “ImpresaLavoro” Massimo Blasoni osserva che «oltre alla crisi, sul dato pesano anche fattori negativi esterni: su tutti una politica fiscale che in questi anni ha fortemente penalizzato gli investimenti immobiliari, storicamente considerati dagli italiani una forma di investimento sicuro. Come ha rilevato Confartigianato, tra il 2011 e il 2013 la tassazione è aumentata del 102% e l’introduzione della Tasi potrebbe rappresentare un ulteriore aggravio stimato tra il 12 e il 60%. È chiaro che politiche fiscali di questo tipo finiscono per scoraggiare qualsiasi tipo di investimento nel mattone».
Scarica gratuitamente il Paper con tutte le tabelle dati elaborate dal Centro studi ImpresaLavoro “Edilizia, la crisi dimezza i permessi di costruire – Paper“.
Rassegna stampa:
La Padania
La Notizia
Fai presto

Fai presto

Giorgio Mulè – Panorama

Inutile girarci intorno: il 2014 ce lo siamo giocati. I mesi che ci separano dalla fine dell’anno saranno contrassegnati da dati nefasti su tutti i fronti principali dell’economia: prodotto interno lordo, occupazione, consumi. Non si tratta di fare i gufi e anzi, piccola parentesi, sarebbe ora che Matteo Renzi la smettesse di fare lo spiritoso guardando in faccia la realtà perché c’è un Paese in ginocchio.

L’ultima mazzata che certifica lo stato comatoso dell’Italia è il dato sull’andamento dei prezzi: a luglio sono calati ancora innescando quella micidiale spirale che si chiama deflazione. Per capirci, la deflazione è il contrario dell’inflazione: la gente non compra, i prezzi calano e a ruota si mettono in moto una serie di conseguenze che portano meno profitti alle imprese, meno produzione, meno assunzioni, maggiori difficoltà per sostenere gli interessi sul debito. Una catastrofe. Basti ricordare che, a causa della deflazione, il Giappone ha conosciuto una crisi che gli economisti hanno efficacemente battezzato del «Decennio perduto» anche se gli effetti sono stati addirittura più lunghi.

La discesa dei prezzi a luglio si spera che convinca definitivamente il premier che il bonus da 80 euro è servito solo a fargli vincere le elezioni europee: gli effetti concreti sono sottozero, al punto che il fatturato dei saldi del 2014 ha conosciuto un decremento del 4 per cento rispetto al già pessimo 2013. La gente non spende, se ne frega altamente della riforma del Senato anche perché è terrorizzata dalla mazzata autunnale in arrivo sul fronte dei tributi locali con in testa la Tasi. A questo punto, piuttosto che interpretare Braccio di ferro e fare a cazzotti con la Bce di Mario Draghi (e comunque gli finisce male, dovrebbe sapere il premier), il governo che non ha legittimazione popolare faccia un bagno di umiltà. Concordi con le forze politiche responsabili e le categorie produttive del Paese un piano di emergenza: tagli sul serio la spesa pubblica di 50 miliardi in 3 anni (si può fare, si deve fare) e assuma immediatamente l’iniziativa di rilanciare gli investimenti pubblici e privati. Questo non significa battezzare un nuovo provvedimento roboante, tipo lo Sblocca Italia che in realtà sblocca a stento una vite in quanto si limita a spostare soldi da un capitolo all’altro o, peggio, a sancire il via libera a opere che però daranno lavoro tra due o tre anni come l’autostrada Orte-Mestre.

La strada è quella di dare incentivi a imprenditori piccoli, medi e grandi affinché siano realmente spinti a investire i loro soldi. Significa inventarsi misure come una rottamazione dei macchinari industriali, per esempio, che spesso sono obsoleti, dando in cambio benefici fiscali da riconoscere a chi con l’innovazione risparmia energia o digitalizza l’impresa. Non ci vuole molta fantasia, ma senso pratico per rimettere in moto l’Italia. Al bando l’arroganza, presidente Renzi. Non perda tempo con l’articolo 18 (non è aria) e si concentri sul 2015. Inizi subito e vari le misure entro agosto.

Dai debiti arretrati della Pa buco di 30 miliardi per le aziende

Dai debiti arretrati della Pa buco di 30 miliardi per le aziende

Paolo Baroni – La Stampa

Andranno anche in pagamento entro il 21 settembre, giorno di San Matteo, gli arretrati della pubblica amministrazione. E alla fine saranno almeno 60 miliardi di euro che torneranno in circolo. La «ferita» nei conti delle impresa però resta molto profonda. Solo l’anno passato – denuncia Impresa lavoro, centro studi di ispirazione liberale guidato dall’economista Giuseppe Pennisi – i ritardi nei pagamenti da parte delle amministrazioni pubbliche hanno comportato oneri per 6,8 miliardi, in deciso aumento dispetto agli anni passati. Perché nonostante lo stock di arretrati si sia lievemente ridotto, passando dagli 87,3 miliardi del 2012 ai 74,2 dell’anno passato, nel frattempo sono diventati più onerosi i finanziamenti bancari. se si allarga lo sguardo al periodo 2009-2013 si vede poi che il costo complessivo a carico del sistema produttivo è stato pari a 29,9 miliardi di euro. Un buco enorme, che ha avuto riflessi a cascata arrivando a “coinvolgere imprese subfornitrici e i dipendenti”.

Il Centro Studi ImpresaLavoro elenca così i principali effetti negativi, che sono minori investimenti operati dalle imprese in conseguenza della minore disponibilità di capitale, la riduzione di dipendenti e quindi la distruzione di posti di lavoro, i costi del dissesto delle imprese che, per le conseguenze dei ritardi di pagamento della Pa, si sono trovati in una situazione di insolvenza, fino ad arrivare (nei casi più gravi) al fallimento, e infine i costi diretti ed indiretti a carico dei contribuenti.

Questo perché, a partire dal 1 gennaio 2013, il recepimento di una direttiva europea ha obbligato tutta la pubblica amministrazione a versare gli interessi di mora sui ritardi, calcolati sulla base del tasso di riferimento Bce maggiorato di 8 punti percentuali su base annua. “Tale misura non compensa del tutto il costo del capitale a carico delle imprese italiane ma grava comunque sui cittadini italiani per oltre 3 miliardi di euro all’anno”. Anche questo un peso considerevole.

Del resto, come si evince dai dari Eurostat – segnala ancora ImpresaLavoro – “l’Italia è il paese che presenta il maggiore stock di debito commerciale, ed anche di quello insoluto. Già dal 2010, a il peggior rapporto tra debiti commerciali e Pil, superando sia la Spagna che la Grecia, gli unici in Europa a parte l’Italia a superare il 3% in questo rapporto”. E anche i tempi di pagamento medi della Pa italiana, in base alle stime di Intrum Justitia, sono ancora i più lunghi d’Europa.

I ritardi dei pagamenti ed i costi che le imprese sono costrette a sostenere producono una distorsione anche sul piano della concorrenza con i fornitori esteri che appartengono ai paesi più virtuosi: in termini di assorbimento di capitale, il costo di una fornitura standard per un’impresa italiana che lavora con la Pubblica amministrazione è infatti pari al 4,2% del fatturato ed è di gran lunga più elevato rispetto a quello di Germania (0,6%) e Francia (1,2%).

ImpresaLavoro, il nuovo centro studi liberale e liberista

ImpresaLavoro, il nuovo centro studi liberale e liberista

Francesco De Palo – Formiche

Un centro studi con piglio liberale e liberista per stimolare gli esecutivi a dare spazio ai temi cari alle imprese e al mondo dell’imprenditoria, nella consapevolezza che senza un taglio netto alla spesa pubblica e senza un abbattimento della pressione fiscale per le pmi, il Paese non potrà rialzarsi. E’ la traccia su cui si muoverà il centro studi ImpresaLavoro, una nuova realtà di analisi e paper fondata da Massimo Blasoni.

Biasioni è un imprenditore di prima generazione, con un’azienda di 1300 dipendenti che costruisce e gestisce residenze sanitarie, convinto che dove la politica ha fallito serve che intervengano direttamente le imprese e le idee di matrice liberale.

FARE COSA
Discutere di economia, approfondire tematiche e trend del Paese al fine di effettuate una sorta di “checking” sull’attività del governo e divulgare “numeri e tesi dei nostri ricercatori”, dice Blasoni a Formiche.net. Produrrà ricerche sulle tematiche che interessano il mondo del lavoro e dell’impresa, effettuerà sondaggi rivolti agli imprenditori e al mondo del lavoro , avanzando proposte misure e possibili soluzioni a sostegno dell’impresa italiana.

PERCHE’ IMPRESA LAVORO
“Diciamo che ImpresaLavoro assomiglia ad un altro soggetto come la Cgia di Mestre, ma sarà vicino agli spunti di centrodestra, con un profilo liberale e liberista”, spiega Blasoni. Uno degli obiettivi resta quello della rivoluzione liberale che in Italia ancora non si è fatta. In che modo? La spending review non è stata realizzata, “i 7 che poi sarebbero dovuti diventare 14 e dopo 32 miliardi di tagli non si vedono e forse non si faranno”. Senza quei tagli e senza una “vera sforbiciata – non omeopatica come gli 80 euro – alle tasse per le imprese l’Italia non uscirà dall’impasse”. E mette l’accento sul fatto che Palazzo Chigi non ha mostrato alcun coraggio in questa direzione, anzi, “siamo perfettamente consapevoli che sarà necessaria una manovra perché non vi è spazio nel rapporto deficit-pil”.

PAGAMENTI DELLA PA
Il primo paper prodotto dal centro studi – che vede come coordinatore l’economista Giuseppe Pennisi – è quello relativo ai pagamenti alle aziende da parte della Pubblica amministrazione.Immaginare che tutto possa essere risolto entro il prossimo 21 settembre, osserva Blasoni, “soprattutto alla luce della contrazione del pil mi sembra impensabile”. Secondo il presidente di ImpresaLavoro a questo punto il rischio concreto è che, anche per il 2014, le imprese saranno costrette a “subire” costi indotti dall’inefficienza pubblica del cattivo pagatore statale per 7 miliardi di euro: “Una tassa occulta che rischia di diventare insostenibile per un sistema produttivo già fortemente provato dalla difficile congiuntura economica, dalla stagnazione dei consumi e dalla stretta creditizia”.

NUMERI
Mettendo insieme, rileva Blasoni, quanto costa il denaro ad un imprenditore italiano e quanto il tempo di attesa, “mi rendo conto che il costo di lavorare per la PA in Italia è quattro volte più alto della Francia e sette rispetto alla Germania, per cui su 100mila euro di fornitura il 4,2% finisce per essere un costo”. Per cui, è il ragionamento su cui si basa l’azione del centro studi, quella cifra che la PA non paga in tempo alle imprese finisce per essere una zavorra sulla minor competitività delle stesse.

BOARD
Scorrendo il board di ImpresaLavoro si trova Giuseppe Pennisi, economista, già Banca Mondiale e dirigente generale dei Ministeri del Bilancio e del Lavoro; Cesare Gottardo, docente di materie economiche all’Università di Udine, dove insegna nelle facoltà di Agraria, Giurisprudenza e Ingegneria; Salvatore Zecchini, docente di Politica Economica Internazionale all’Università Tor Vergata di Roma, anche presidente del Gruppo di Lavoro dell’OCSE su PMI e Imprenditoria; Luciano Pellicani, già direttore di “Mondoperaio”, docente di Sociologia alla Luiss “G: Carli” di Roma; Carlo Lottieri, Direttore del Dipartimento di Teoria Politica dell’Istituto Bruno Leoni, è nel comitato di redazione del Journal of Libertarian Studies ed è Fellow dell’International Centre of Economic Research.

Poca chiarezza su fisco e lavoro, consumatori e imprese disorientati

Poca chiarezza su fisco e lavoro, consumatori e imprese disorientati

Andrea Tavecchio – Corriere della Sera

Per chi vive il mondo delle imprese il dato negativo del Prodotto interno lordo (Pil) nel secondo trimestre del 2014 non è una sorpresa: lo si vedeva già negli andamenti di questi mesi delle aziende legate al mercato interno. In Italia, purtroppo, la domanda rimane molto debole. Il brutto dato comunicato ieri dall’Istat rende più complicato il percorso che dobbiamo fare e più lontano l’obiettivo – necessario e prioritario – di tornare al più presto alla crescita economica. L’Italia non è in grado di reggere ancora a lungo una crisi che dura da sette anni, di cui gli ultimi tre drammatici, soprattutto per l’occupazione.

Nessuno ha la bacchetta magica, specie in un Paese con il debito pari al 130 per cento del Pil – ed è prevedibile che verso il governo si alzino critiche strumentali. È indubbio, però, che l’esecutivo abbia bisogno di chiarire quale visione ha in campo economico e poi agire in modo concreto e conseguente. La mancanza di chiarezza di questi mesi, specie in campo fiscale e del mercato del lavoro, ha sicuramente disorientato consumatori e imprese. Non è coerente, ad esempio, voler far ripartire la domanda interna e alzare – in modo non selettivo – la tassazione sulle rendite finanziarie. Quest’ultima, per il piccolo imprenditore, in Italia è già altissima: bisogna abbassarla, non aumentarla. Così come non è accettabile per famiglie e imprese il balletto su Imu e Tasi. Anche il cosiddetto “bonus Renzi” da 80 euro, pur apprezzabile nello spirito, è tecnicamente infelice perché non copre i non protetti, mentre viene garantito anche a chi ha redditi familiari ingenti.

Il governo Renzi sta giocando la sua partita, specie in questi ultimi mesi, sulla necessità di modificare i meccanismi decisionali per poter cambiare poi – finalmente – la politica e le policy che questa elabora. Speriamo. Ma per tornare alla crescita economica non esistono scorciatoie: bisogna dare fiducia alle famiglie e alle imprese. Senza una visione e una agenda – in campo fiscale ed economico – chiara, concreta e coerente, questo però è impossibile. Attenzione, si rischia l’avvitamento.

Pil in calo, tutti chiedono una scossa al governo

Pil in calo, tutti chiedono una scossa al governo

Avvenire

I dati resi noti dall’Istat sul Pil in calo. O meglio sullo stato di recessione, hanno aperto un dibattito intenso e molto vasto. Impossibile riassumerlo in tutti i sui aspetti. In sintesi politici, economisti e imprenditori chiedono una scossa al governo per uscire dalla recessione. E dal governo si fa sapere che si andrà avanti con decisione per fare le cose che vanno fatte:

” Un dato negativo, ma ci sono anche aspetti positivi, la produzione industriale sta andando molto meglio e i consumi continuano seppur lentamente a crescere”. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan commenta il dato sul Pil del secondo trimestre e punta sul positivo e sulle cose da fare. “Se ne esce – dice Padoan – continuando con la strategia del governo, riforme strutturali, semplificazioni, aumento della competitività”. Il ministro poi assicura ancora una volta che non ci saranno manovre autunnali.

“Certo questi dati sul Pil non ci fanno stare contenti, ma tutto quello che stiamo mettendo in campo lo stiamo facendo proprio perché ci rendiamo conto della straordinaria urgenza della situazione – spiega  il ministro allo Sviluppo economico Federica Guidi – Ma i primi segnali di inversione di tendenza ci sono: ad esempio  sono tornati a salire i mutui per le famiglie. E  questo di solito è un dato che precede una ripresa su più larga scala. Anche il credito al consumo sta migliorando e gli stock di crediti per le piccole e medie imprese si sono stabilizzati” Sulla necessità di attrarre investimenti, Guidi ha poi ha sottolineato che la frammentazione che abbiamo oggi non funziona: senza spendere un euro di più dobbiamo accorpare le strutture esistenti, dall’Ice a Invitalia, e renderle più efficienti. Quindi, puntare ad avere una cura maniacale nell’attrarre investimenti con una attenzione alle esigenze di ogni azienda.

 

“Dal 2007 al 2010 – fa notare Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia – il Dpef veniva presentato tra giugno e settembre. Pertanto, i tecnici avevano maggiori livelli di certezza statistica che consentivano di avvicinarsi più puntualmente al dato reale di crescita di quell’anno. Dal 2011, invece, l’Ue ha obbligato il Governo in carica a presentare il Documento di Economia e Finanza ad aprile. Questa anticipazione ha reso il lavoro dei tecnici molto più arduo – sostiene Bortolussi – con il risultato che la forbice si è allargata e gli obbiettivi di bilancio sono stati raggiunti solo attraverso manovre correttive redatte in autunno”.

“Sapevamo, come ho sempre detto, che il problema nostro è del secondo semestre, gli effetti li vedremo nel secondo semestre quindi non c’è bisogno di allarmarsi”. Così il sottosegretario Graziano Delrio, uscendo da Palazzo Chigi, valuta i dati sul Pil, sostenendo che “questo secondo trimestre era abbastanza scontato che avesse un’inerzia simile al primo, ma sono più preoccupato del dato complessivo europeo”.

“Il nostro senso di responsabilità ci porta a dare un contributo decisivo in materia di riforme. Ma non possiamo non rilevare l’inadeguatezza di Renzi e del suo governo di fronte alle vere esigenze del Paese”. Lo afferma il senatore Maurizio Gasparri (FI).

 “È evidente che non possiamo affrontare le difficoltà che si I dati disastrosi del Pil sono una nuova mazzata su un’economia che già soffriva di stagnazione, disoccupazione e chiusura di migliaia di imprese.” Lo sostiene in una nota Marco Venturi, presidente della Confesercenti: È un’Italia in quarantena da 11 trimestri, mentre aumenta il rischio di gettare al vento anche il 2014″. “Se il 2014 terminasse con un -0,3% di Pil, secondo nostri calcoli l’aggravio di spesa pubblica sarebbe nell’ordine di 10-15 miliardi di euro, ovvero preziose risorse sottratte alla crescita. Anche sul fronte dei consumi ci troveremmo nuovamente a mal partito con una prevedibile flessione nel 2014 di circa 814 milioni di euro”, aggiunge Venturi: “è inutile girarci attorno, siamo all’allarme rosso. Bisogna reagire in fretta”.

“Il dato del Pil relativo al secondo trimestre comunicato oggi dall’Istat va oltre ogni previsione negativa e unito a quello del I trimestre mostra un Paese in recessione. A questo punto bisogna assolutamente accelerare ogni investimento pubblico e provare rapidamente a raddrizzare la barca per chiudere l’anno con un segno di crescita positiva”. Lo affermaGuglielmo Epifani, presidente della commissione Attività Produttive della Camera, secondo il quale “Tutto il Paese si deve concentrare attorno al tema dell’economia e dell’occupazione”.

 “Il Paese è da ricostruire, ma non servono altre manovre, piuttosto ci vogliono investimenti in nuove fabbriche e infrastrutture”. Così l’economista Giacomo Vaciago commenta il calo del Pil nel secondo trimestre e il ritorno dell’Italia in recessione. “Il 12 febbraio scorso – spiega l’economista – una settimana prima di lasciare Palazzo Chigi, Enrico Letta ha scritto: l’Italia è ancora fragile, ma è pronta per essere ricostruita. Quella dichiarazione la sottoscrivo in pieno. Fragile vuol dire che quando ci sono guai in giro per il mondo, vedi l’Ucraina a un tiro di schioppo, l’Italia ne subisce le conseguenza. Da ricostruire vuol dire che dobbiamo rimboccarci le maniche, fare gioco di squadra e smetterla di litigare stupidamente in Senato per far ripartire l’economia a ricostruire il Paese”. “Ma attenzione – precisa Vaciago – ricostruire non vuol dire fare manovre e dunque continuare a flagellarci, ma significa fare investimenti. Il Paese non cresce da venti anni e va indietro da cinque. È stato come un terremoto, abbiamo perso il 20% delle nostre fabbriche. Dobbiamo ricostruirle e fare nuove infrastrutture, andare avanti”.
“La recessione in atto dell’economia italiana – che purtroppo si colloca in un quadro europeo complessivamente stagnante – richiede lo stimolo di straordinarie riforme strutturali rivolte a  cambiare il mercato del lavoro, il sistema tributario, la pubblica amministrazione con particolare riguardo alla giustizia”. Ha invece detto in una nota Maurizio Sacconi, capogruppo al Senato del Nuovo Centrodestra aggiungendo che “il ceto politico non può fuggire dalle proprie responsabilità. Esso deve, al contrario, incoraggiare a fare cose che in condizioni migliori possono risultare più difficili. Questa è l’ora delle grandi scelte”.
“In questa fase più che interventi di riforma strutturale, sono necessari maggiori stimoli alla domanda che coinvolgano l’Europa: politiche per il sostegno della congiuntura nei paesi core e rimodulazione del percorso di consolidamento del fiscal compact nei periferici”. È quanto sostiene il capo economista di Nomisma, Sergio de Nardis.
 “Diventa sempre più complesso, garantire il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione entro il 21 settembre così come annunciato nei giorni scorsi dal Governo”. È quanto osserva il presidente di ImpresaLavoro Massimo Blasoni.  “Con questi numeri il governo rischia di trovarsi le mani legate – sostiene Blasoni – da un lato ha molte meno risorse libere da impiegare per lo sblocco dei crediti della Pubblica amministrazione, dall’altro non potrà ricorrere agevolmente a nuovo debito per procurarsi le dotazioni necessarie al pagamento completo di queste somme, così come immaginato in un primo momento. Il rischio concreto è che, anche per il 2014, le imprese saranno costrette a ‘subire’ costi indotti dall’inefficienza pubblica del cattivo pagatore statale per sette miliardi di euro: una tassa occulta che rischia di diventare insostenibile”.
“Dalla caduta non si salva neppure l’agricoltura”, nota il presidente della Cia-Confederazione italiana agricoltori, Dino Scanavino, secondo il quale il settore “paga anche gli effetti del clima, sempre più segnato da eventi estremi. Serve uno scatto in avanti dal governo, con misure strutturali a sostegno dei redditi delle famiglie e provvedimenti attenti ai bisogni reali delle imprese settore produttivo, neanche l’agricoltura che nei primi tre mesi dell’anno era stato l’unico comparto a crescere con un aumento del 2,2% del valore aggiunto. Purtroppo la situazione di stagnazione del Paese, con i consumi fermi e la deflazione a sottolineando come il quadro dei consumi delle famiglie sia completamente negativo anche per quanto riguarda gli alimentari”.
Bisogna essere tutti i giorni sulla stampa internazionale per spiegare ciò che l’Italiaha detto e fatto, dimostrare quanto abbiamo resistito alla crisi senza chiedere aiuto a nessuno e con numeri impressionanti: basta vedere gli interessi sul debito. Nessun altro Paese Ue può reggere il paragone”. Fa notare l’economista Alberto Quadrio Curzio in un’intervista: “L’Italia ha dimostrato nella crisi una capacità di resistenza straordinaria che è quella tipica dei maratoneti. È l’unico Paese dell’Eurozona che ha sopportato manovre di finanza pubblica senza nessun cappello protettivo dal punto di vista dei poteri spettanti alla Commissione e al Consiglio d’Europa”.
“Ma con queste manovre correttive – continua l’economista – il nostro Pil è andato dov’è andato: perché con una pressione fiscale al 54% del Pil c’è poco da fare crescita”. Adesso, oltre alla strada europea, c’è un’altra “strategia per attuare la tempistica del maratoneta: procedere sollecitamente con la spending review per riallocare la spesa Tutti gli spazi di risparmio che riuscissi ad ottenere, li metterei in un rilancio infrastrutturale del Paese. E accanto alla spending penso alle privatizzazioni i cui proventi almeno in parte dovrebbero spingere gli investimenti infrastrutturali”.
Massimo Blasoni a “Fatti e Misfatti” – TgCom24

Massimo Blasoni a “Fatti e Misfatti” – TgCom24

Il presidente di ImpresaLavoro interviene al TgCom24 e illustra i contenuti della prima ricerca pubblicata dal nostro centro studi, che riguarda i debiti della Pubblica Amministrazione verso le imprese italiane.
Blasoni commenta anche i dati negativi diffusi da Istat riguardo il Pil italiano, facendo notare come, in questo scenario, sarà difficile per il governo mantenere la promessa di saldare il debito della PA entro la data del 21 settembre 2014.

Pil, Blasoni: “Con questi numeri impossibile pagare i debiti della PA entro il 21 settembre”

Pil, Blasoni: “Con questi numeri impossibile pagare i debiti della PA entro il 21 settembre”

NOTA DEL CENTRO STUDI IMPRESALAVORO

L’Italia è in recessione tecnica: il Prodotto Interno Lordo, così come certificato dall’Istat, diminuisce per il secondo trimestre di fila e fa registrare un dato peggiore di quello già negativo stimato dai principali analisti. Non è un numero “freddo”, quello che stiamo commentando, ma un fatto reale che produrrà conseguenze reali: senza crescita finiranno per peggiorare tutti gli indicatori di finanza pubblica (rapporto deficit/pil, debito/pil, ecc) e saranno ancor più ristretti i margini di manovra che il governo italiano avrà per mettere in campo misure utili a stimolare la crescita.
C’è poi un aspetto che riguarda molto da vicino lo studio che ImpresaLavoro ha presentato lunedì sul costo che le aziende sostengono per i ritardi di pagamento dello Stato: con questi numeri il governo rischia di trovarsi le mani legate. Da un lato ha molte meno risorse libere da impiegare per lo sblocco dei crediti della Pubblica Amministrazione, dall’altro non potrà ricorrere agevolmente a nuovo debito per procurarsi le dotazioni necessarie al pagamento completo di queste somme, così come immaginato in un primo momento.
«Diventa sempre più complesso, insomma, garantire il pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione entro il 21 settembre così come annunciato nei giorni scorsi dal Governo» osserva il presidente di ImpresaLavoro Massimo Blasoni. «Il rischio concreto è che, anche per il 2014, le imprese saranno costrette a “subire” costi indotti dall’inefficienza pubblica del cattivo pagatore statale per 7 miliardi di euro: una tassa occulta che rischia di diventare insostenibile per un sistema produttivo già fortemente provato dalla difficile congiuntura economica, dalla stagnazione dei consumi e dalla stretta creditizia».
Le speranze (mal) riposte

Le speranze (mal) riposte

Dario Di Vico – Corriere della Sera

Gli economisti che si erano detti favorevoli agli 80 euro e non a un maxi-taglio dell’Irap per le imprese avevano sostenuto il provvedimento confidando che i redditi medio-bassi, beneficiari del primo e significativo taglio delle tasse deciso da tempo, spendessero immediatamente i soldi in più trovati in busta paga. La domanda interna ne aveva e ne ha un bisogno enorme e ci si augurava che gli italiani cogliessero al volo l’occasione. Purtroppo dobbiamo constatare che non è andata così. Non c’è stata trasmissione di input tra la riduzione dell’Irpef e l’aumento dei consumi e il motivo prevalente della débacle è abbastanza chiaro: c’erano in parallelo troppe (altre) tasse da pagare e quindi il popolo degli 80 euro ha dovuto abbassare le penne, ha rinunciato a fare shopping e ha malinconicamente accantonato i soldi per ridarli allo Stato sotto forma di Tasi, Tares e quant’altro. Tassa entra e tassa esce. Una partita di giro, se non addirittura una beffa.

Con il senno di poi viene da dire che la trasmissione ai consumi che non si è avuta avrebbe potuto essere stimolata da qualche accorgimento in più, ci volevano politiche di accompagnamento. Se commercianti e albergatori avessero preso a modello il marketing aggressivo di Ikea – solo per fare un esempio – e avessero promosso sconti e offerte speciali qualcosa forse si sarebbe mosso ma arrivati a questo punto è inutile palleggiarsi le responsabilità e litigare, come è accaduto ieri tra Confcommercio e Palazzo Chigi.

A questo punto bisogna essere più pazienti e più determinati allo stesso tempo, non decretare con troppa fretta il fallimento di un’operazione che rimane giusta e da settembre tornare a batere il chiodo con maggiore convinzione e spirito di iniziativa. Gli 80 euro in più restano comunque in busta paga per tutto il 2014, piuttosto non si sa se saranno confermati il prossimo anno e se la platea dei beneficiari verrà allargata, come pure sarebbe giusto. Ben vengano, dunque, i tagli alle tasse anche se bisogna sapere che miracoli non se ne fanno. L’attesissima ripresa dell’economia italiana si è spostata più in là e dovremo aspettare il 2015 per intravedere un incremento del Pil degno di questo nome. Ma dobbiamo anche sapere che la Grande Crisi ci consegna un’economia diversa rispetto a sei anni fa, i cicli non saranno più durevoli come in passato e le imprese dovranno attrezzarsi a fare i conti con mercati in eterna fibrillazione e consumatori impauriti. Facciamoci gli auguri.