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Inps, cosa richiedono le pensioni flessibili alla  Tito Boeri

Inps, cosa richiedono le pensioni flessibili alla Tito Boeri

Giuseppe Pennisi – Formiche

Una premessa: sono totalmente d’accordo con la “puntura di spillo” di Giuliano Cazzola del 3 marzo secondo cui, a ragione  dell’invecchiamento della popolazione (e di restare in pensione tra i 22 ed i 25 anni), saranno pochi coloro che chiederanno un pensionamento anticipato tale comunque da comportare una riduzione delle spettanze e delle prestazioni. Quindi, trovo davvero di lana caprina i commenti dei cosiddetti tecnici della Commissione Europea secondo cui la misura, se attuata, aggraverà la spesa pubblica almeno nel breve periodo (ma la ridurrebbe nel medio e lungo) facendo addirittura ‘saltare’ i conti dell’Italia.

Comunque, le dichiarazioni del Presidente dell’INPS, Tito Boeri, le aperture spesso fatte dal Ministro del Lavoro e degli Affari Sociali, Giuliano Poletti, e le richieste dei sindacati (soprattutto della CISL), in questo senso suggeriscono che si sta andando verso una previdenza pubblica ‘flessibile’, anche sotto il profilo legislativo ed operativo. Occorre sottolineare “pubblica” o “statale” perché gran parte della previdenza privata (i fondi pensione) ha già forti elementi di “flessibilità” in entrata. I fondi pensione di nuova generazione sono collegati, in larga misura, alla previdenza pubblica in uscita; quindi, sotto questo profilo, il loro futuro è legato a quello delle pensioni INPS.

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L’Inps pensa alla tassa per dare uno stipendio a chi non lavora

L’Inps pensa alla tassa per dare uno stipendio a chi non lavora

Davide Giacalone – Libero

L’Italia ha bisogno di chiamare molte più persone al lavoro, non di inventare un reddito per chi non lavora. Finché coltiveremo l’illusione che il reddito sia un diritto e la produzione una eventualità continueremo a perdere competitività, impoverendoci. Nella sua prima intervista da presidente dell’Inps il prof. Tito Boeri dice, da par suo, almeno quattro cose interessanti. La prima, però, merita subito che la precisi e chiarisca: «Bisognerebbe spendere meglio le risorse pubbliche, prevedendo ad esempio un reddito minimo per contrastare le situazioni di povertà, finanziato dalla fiscalità generale». Se per reddito minimo s’intende una retribuzione base per chiunque lavori, è un conto. Da fare. Se s’intende quello che in politichese chiamano «reddito di cittadinanza» è tutt’altro, e va malissimo.

Con la partenza (positiva, se parte) del contratto di lavoro a tutele crescenti, per cui si cancella la non licenziabilità e si acquistano diritti con il passare del tempo, è naturale che cambino gli ammortizzatori sociali e sparisca la cassa integrazione. Ciò comporta disponibilità di fondi adeguati. E già sappiamo che sulla carta ci sono fino all’anno prossimo, mentre dal 2017 scarseggiano e la copertura, in caso di disoccupazione diminuisce. Male, perché son nozze con i fichi secchi. Può starci che si fissi un reddito minimo, che sia tale di nome e di fatto. Come è successo in Germania. Se, invece, andiamo al reddito di cittadinanza, cioè ai soldi elargiti per il solo fatto di esistere, allora ricorderemo i forestali della Calabria come preclaro esempio di sana amministrazione e lodevole dedizione al lavoro. Se si accedesse a una follia di quel tipo, restando ignoto dove mai si possano prendere i soldi, rivaluteremmo le pensioni regalate. Voglio credere che Boeri non abbia sostenuto nulla di simile, ma sarà bene lo spieghi anche agli altri. Mi domando, altrimenti, perché mai un giovane, o anche un maturo, debba andare a faticare per incassare 100 o 200 euro in più di quelli che riceverebbe stando con le mani in mano. O, meglio, usandole per fare lavori in nero. Senza contare la fucina delle truffe, per cui un solo posto di lavoro genera un pensionato, un disoccupato e un occupato, dove uno è pagato dall’impresa e gli altri mantenuti dal contribuente.

Giusta l’idea di rendere flessibile l’età pensionabile, nel senso che ciascuno ha diritto di ritirarsi quando vuole, salvo il fatto che riscuoterà solo in ragione di quel che ha versato. E bene la trasparenza dei dati, che è la sola cosa che manca per avere ciascuno piena contezza di quanto prenderà di pensione. Non è questione di buste gialle o di pin, di carta o d’informatica, perché ci sono centinaia di società private che rendono disponibili, ai loro clienti, quelle previsioni. È la cosa più facile del mondo. Ma a una condizione: che siano chiari e trasparenti i dati. Questo è il problema dell’Inps. Sono sicuro che Boeri farà un buon lavoro, diradando le nebbie. Fatte queste due cose, resi noti i dati e flessibile l’età di uscita, però, ciascuno scoprirà d’essere povero. Le pensioni del futuro saranno più povere. Quelle giuste cose, quindi, hanno un senso non se servono a diffondere la depressione, ma se incentivano al risparmio integrativo. La qual cosa è possibile solo se cala la pressione fiscale. Il che è l’opposto del regalare redditi a chi non lavora. Per tornare da dove siamo partiti.

Boeri, infine, assicura di volere intervenire anche sulle pensioni in essere, laddove la distanza fra il capitale versato e il reddito che se ne ricava è eccessivo. Non illegale, perché tutto discende da leggi dissennate (modello reddito di cittadinanza), ma eccessivo. Così attacca il totem dei diritti acquisiti. Ha ragione e fa bene. Pronti a sostenerlo. Ma qui mi si consenta di avere meno sicurezze, giacché gli sarà difficile trovare qualcuno disposto a fare quel che è necessario. Non dimentichiamoci che la destra alzò le pensioni minime e la sinistra ha regalato gli 80 euro. Il partito della spesa pubblica è piuttosto ben attrezzato.

Renzi liberi l’Inps dai sindacati e sblocchi 736 miliardi per fare il Pil

Renzi liberi l’Inps dai sindacati e sblocchi 736 miliardi per fare il Pil

Edoardo Narduzzi – Italia Oggi

Alla fine di settembre scade il mandato di Vittorio Conti, commissario dell’Inps a termine nominato da un già defunto governo Letta. Sei mesi di surplace sono però troppi per il più grande ente previdenziale dell’Unione europea che annualmente movimenta, tra entrate e uscite, flussi finanziari per 763 miliardi. L’Inps merita una strategia e una visione alta in un paese che ha perso il 10% del suo Pil e che registra mensilmente record negativi in serie nella sua disoccupazione. L’Inps non può permettersi di galleggiare o di avere poca ambizione. L’istituto ha il dovere di essere un motore dello sviluppo e della politica economica italiana gestendo e mobilitando al meglio le sue cospicue risorse. Non può permettersi di investire male e neppure di investire solo in Btp.

Archiviata la stagione della parole in libertà della gestione Mastrapasqua, quando si vagheggiava dell’Inps come nuova casa del welfare, adesso il governo Renzi è chiamato a cambiare passo. Non tanto e, soprattutto, non solo in materia di governance dell’ente. Fatto sicuramente importante, ma l’Inps non può più permettersi di essere solo oggetto di dibattito sui ruoli e sulle deleghe di chi lo gestisce. Un paese contestualmente in deflazione e in recessione è obbligato a chiedere molto di più alla strategia del suo più importante intermediario finanziario. Come? Innanzitutto il Premier deve affrontare il capitolo Inps con la stessa determinazione con la quale ha rifiutato di partecipare al congresso della Cgil e alla passerella di Cernobbio. Renzi, nel fare le nuove nomine all’Inps, deve prendere tutti in contropiede puntando a disboscare la foresta pietrificata sindacale che da sempre, di fatto, governa l’istituto. L’Inps deve rendere conto ai sindacati di come opera, ma non essere gestito dai delegati dei sindacati in ogni articolazione della sua organizzazione. Poi, Renzi deve scegliere per l’Inps un profilo tecnico effettivamente qualificato in materia previdenziale e pensionistica anche integrative. Non un ex ministro o un politico trombato ma una figura stimata nella materia in campo internazionale e a livello comunitario. In Italia qualche profilo appropriato ancora c’è, anche se, magari, non ha frequentato la Leopolda. Infine, serve qualcuno in grado di lavorare a stretto contatto con il ministro Padoan, che ne parli lo stesso linguaggio, visto che l’Inps rappresenta la componente più importante del bilancio pubblico.

La nomina del prossimo presidente dell’Inps è uno snodo chiave della strategia di politica economica di Renzi. Scegliendo la persona giusta può dare, contestualmente, tanti positivi segnali nella direzione giusta della rottamazione creativa e aiutare il Pil made in Italy a rimettersi in marcia.