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Casa, tassati e maltrattati

Casa, tassati e maltrattati

Massimo Fracaro e Nicola Saldutti – Corriere della Sera

Benjamin Franklin, inventore del parafulmine e uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, considerava le tasse come una delle due cose inesorabili della vita. Da noi, quando si parla di tasse, c’è una terza cosa a cui sembra quasi impossibile sottrarsi: la complicazione per pagarle. I cittadini (non i sudditi, come spesso sono considerati) avrebbero sempre il diritto di sapere l’entità delle imposte da versare. E di conoscere questo dato in tempo sufficiente per poter programmare come distribuire i propri redditi tra i consumi, il risparmio, il rispetto dei doveri verso lo Stato e i Comuni.

Nel caso delle imposte sulla casa di questa pratica, che dovrebbe essere di ordinaria amministrazione in un Paese con rapporti equilibrati tra Fisco e cittadini-contribuenti, sembriamo essercene dimenticati. È successo per l’Imu nel 2012 e nel 2013. È successo per la Tasi – la tassa sui servizi comunali alla collettività nel suo insieme – nell’estate scorsa e sta succedendo anche adesso, alla vigilia dell’autunno. E se tre indizi fanno una prova come diceva Agatha Christie… A meno di un mese dalla scadenza, 3.100 Comuni su oltre 8.000 non hanno ancora fissato l’aliquota della nuova tassa dovuta dai proprietari immobiliari e, in qualche caso, dagli inquilini. La scadenza per decidere è fissata per domani, mentre la delibera comunale dovrà essere pubblicata sul sito del ministero delle Finanze entro il 18 settembre. Se la delibera viene pubblicata in tempo utile, la prima rata della Tasi andrà versata entro il 16 ottobre (e il saldo a dicembre). Se il Comune non fa in tempo, allora i cittadini interessati dovranno passare alla cassa direttamente a dicembre e pagheranno le aliquote standard e la Tasi in unica soluzione. Ma non è finita. Perché alcuni sindaci, virtuosi, avevano già chiuso la pratica Tasi a maggio e hanno già incassato la prima rata a giugno (a dicembre incamereranno la seconda). Insomma un ginepraio di regole e di scadenze che finisce per disorientare. Un’incertezza tributaria che frena i consumi e fa aumentare il risparmio improduttivo. Per non parlare, poi, della difficoltà di reperire, sul sito delle Finanze, l’aliquota Tasi, considerato il tono burocratico delle delibere. E la loro mole. Quella del Comune di Milano, relativa a tutte le tasse locali, è di 63 pagine.

Certo anche per i Comuni, alle prese con difficoltà di bilancio, non dev’essere stato facile impostare la politica fiscale, stabilire quali categorie esentare o quali detrazioni immaginare, ma i cittadini non si meritano di dover vivere in una simile Babele delle imposte in versione federal-comunale. Altro che bollettini precompilati, come promesso. Si è sempre sostenuto che, avvicinando le tasse e gli enti impositori ai cittadini, le cose sarebbero migliorate e la trasparenza complessiva sarebbe aumentata. Purtroppo non sembra sia andata così, almeno finora.

Complicato anche fare i confronti tra Tasi e Imu. E rispondere alla domanda che interessa tutti: pagherò di più? La sensazione è che la Tasi finirà per essere una tassa regressiva: inciderà, in proporzione, di più sugli immobili di minor valore e sulle famiglie con i redditi più bassi perché le detrazioni non sono paragonabili a quelle in vigore con l’Imu. La tassa regressiva, probabilmente, neanche l’eccelsa mente di Franklin sarebbe riuscito a inventarla.

Cessioni, servono vere aperture

Cessioni, servono vere aperture

Nicola SalduttiCorriere economia

Il governo ha indicato nel Piano nazionale di riforma un obiettivo chiaro: nel 2014 gli incassi da privatizzazioni dovrebbero arrivare a 9-10 miliardi. Somma che serve ad alimentare il fondo di ammortamento per l’acquisto di titoli del debito pubblico. Un legame diretto: meno beni di Stato e meno debiti. Una formula virtuosa che sembra essersi inceppata. Un obiettivo che, alla luce dei possibili rinvii, appare meno probabile di qualche mese fa. Sul fronte delle cessioni immobiliari il Demanio continua a insistere, ma la situazione del mercato non appare favorevole. Sembra invece abbastanza probabile un ulteriore passo indietro nelle due società-simbolo dello Stato azionista, Eni ed Enel. Il Tesoro e la Cassa Depositi potrebbero cedere un altro pacchetto. Ma in questo caso molto dipenderà dalla capacità dei nuovi manager, appena nominati, di rendere i potenziali azionisti interessati alla nuova tranche. Perché una cosa è certa: a vent’anni dal grande avvio delle privatizzazioni, una stagione che ha consentito alla Borsa italiana di compiere il grande salto, quasi raddoppiando la sua capitalizzazione, che ha visto 7-8 milioni di italiani diventare azionisti, adesso le cessioni di Stato sono diventate una materia più complicata. Non è un caso che le banche d’affari stiano proponendo la possibilità di studiare la formula dei prestiti convertibili (utilizzati finora soltanto per l’uscita dello Stato dall’Ina, l’Istituto nazionale delle Assicurazioni, poi confluita nelle Assicurazioni Generali). La vera scommessa a questo punto potrebbe partire dai Comuni, una volta concluso il lavoro di Corrarelli sulla spending review. Con due passaggi indispensabili, ormai: le possibili fusioni tra le municipalizzate e la discesa (a largo raggio) degli enti locali sotto la fatidica soglia del 15% e con un ruolo di governance molto più defilato. Come dire, le privatizzazioni. Quelle vere.