Economia e democrazia nell’Unione europea

di Giuseppe Pennisi

Per i prossimi tre anni, il tema principale di discussione, e di negoziati, in Europa sarà l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. L’argomento ha un suo sottostante importante: cosa intende l’Ue per democrazia, e per gioco politico democratico. È un argomento che merita di essere scandagliato non solo da politologi, ma anche da economisti poiché è ormai dimostrato – si legga o rilegga l’ultimo libro di Luciano Pellicani, “L’Occidente e i suoi nemici” (Rubbettino, 2016) – che la democrazia è elemento fondante della crescita. L’arresto dello sviluppo in gran parte degli Stati dell’Ue, ormai in corso da circa dieci anni, deve attribuirsi, in buona parte, a quel deficit di democrazia che ha portato la maggioranza dei cittadini del Regno Unito alla Brexit (pur nella consapevolezza dei suoi elevati costi economici) e che serpeggia tra i cavalli di battaglia di numerosi movimenti politici e sociali chiamati anti-sistema e fortemente critici dell’Ue.

Formalmente l’Ue si regge su istituzioni democratiche. Il Parlamento europeo (Pe) è eletto direttamente dal popolo sovrano – con un tasso di partecipazione leggermente superiore al 50% (in linea con quello della media dei Paesi avanzati a economia di mercato) – e i suoi 751 seggi sono ripartiti tra i 28 Stati membri secondo quote definite in trattati ratificati dai Parlamenti nazionali. Il Pe approva la normativa (regolamenti, direttive) secondo una procedura che richiede la partecipazionedei Consigli dei ministri (non eletti direttamente, ma rappresentanti di governi democraticamente eletti).

Il perno della costruzione è la Commissione europea e gli altri funzionari che la compongono, indicati o nominati dai governi, ma che necessitano di ottenere la fiducia del Pe. Sono, in gran misura, ex politici o tecnici, ottimati, convinti di avere la missione, loro assegnata dal Trattato di Lisbona, di andare verso un’ever closer union stimolando accordi irreversibili che vanno, in modo monotematico, in quella direzione. Anzi si tengono distanti dal dibattito quotidiano di confronto politico su questo o su quel tema proprio per non essere distratti dal loro obiettivo che ha passi intermedi alti come la creazione (forse prematura) di un’unione monetaria e anche bassi (come regolamentare la curvatura delle banane e definire, ogni anno, il giorno per cominciare a imbottigliare l’olio d’oliva).

Il nodo di fondo è che in una democrazia ben funzionante non solamente non esistono ottimati, ma si è tutti coinvolti in un dibattito politico quotidiano che è spesso uno scontro, o una serie di scontri, fatti di passione, ma anche – amava ripetere un uomo politico italiano – di sangue e di sterco. È in tale confronto, non solo nel giorno delle elezioni, che i cittadini partecipano e fanno sentire i loro punti di vista, e chi fa realmente politica cerca soluzioni, spesso mediando tra interessi legittimi ma contrapposti. È questo il sale della democrazia, che gli ottimati dell’Ue, accecati dalla missione monotematica che pensano di avere, non conoscono. Sono diventati, quindi, sempre più distanti dai problemi a cui gli europei danno priorità.

Nessun europeo che abbia meno di cinquant’anni è preoccupato di eventuali nuove guerre, in mancanza di un’ever closer union, tra Francia e Germania per il controllo della Ruhr. I cittadini europei sono angosciati, invece, da problemi che gli ottimati (retribuiti, ai gradi alti, con stipendi e prebende pari al doppio del compenso del presidente degli Stati Uniti) non percepiscono: il lavoro loro e dei loro figli in un’Europa che non cresce, la sicurezza personale, l’immigrazione e via discorrendo. Temi sui quali gli ottimati organizzarono forbiti seminari e tentano di arrabattarsi, senza giungere a conclusione. Proprio perché distanti dal confronto-scontro politico quotidiano anche su temi che possono sembrare di quartiere, ma che fanno bella o brutta la vita degli europei.

Da europeo e da convinto europeista mi auguro che, di fronte alla Brexit, gli ottimati aprano gli occhi e si rendano conto che stanno marciando, come nel film di Buñuel, “Le charme discret de la bourgeoisie”, verso un suicidio politico. L’unico suicidio – diceva Winston Churchill – a cui di solito si sopravvive. Per comprenderne i danni.

Da ŒCONOMICUS dell’agosto 2016