società partecipate

Perdite e poltrone, la giungla delle spa locali

Perdite e poltrone, la giungla delle spa locali

Luca Cifoni – Il Messaggero

Latte certo. Ma anche formaggio, prosciutto, carne, pesce, ortaggi, vino. Si trovano più o meno tutte le eccellenze dell’alimentare italiano scorrendo le ragioni sociali delle circa 10mila partecipate degli enti locali. Regioni, Comuni e Province non si occupano solo di fornire servizi pubblici ai propri cittadini ma spaziano in uno spettro di attività amplissimo, invadendo settori che sembrerebbero avere una vocazione più spiccatamente commerciale. Negli ultimi anni il numero delle società (e di riflesso delle poltrone) è cresciuto senza freni, tanto che gli organismi a cui tocca vigilare, come la Corte dei Conti, fanno fatica a stare al passo: con criteri più restrittivi ne hanno censito 7.500, anche statali. Il compito di disboscare è ora affidato al commissario alla revisione della spesa Carlo Cottarelli, che entro fine mese deve fare una proposta al governo.

Il core business dovrebbe essere rappresentato dai cinque servizi pubblici di base: acqua, elettricità, gas, trasporto pubblico locale, rifiuti. In realtà le partecipate che si occupano di queste attività sono solo il 20 per cento, anche se valgono circa la metà del fabbisogno complessivo. Poi ci sono farmacie comunali, terme, case di riposo, enti di promozione turistica, società sportive, di gestione del patrimonio immobiliare, agenzie di viaggio. Circa 320, secondo alcune stime recenti, sono le società il cui obiettivo è produrre beni o servizi la cui natura è senza ombra di dubbio commerciale. Insomma qualcosa che lo Stato, nelle sue propaggini territoriali, farebbe probabilmente bene a lasciare ai privati.

Non è un affare

Di sicuro c’è che il capitalismo locale non è un affare, soprattutto per il contribuente che prima o poi è chiamato in una forma o nell’altra a ripianare le perdite: risulta in perita circa un terzo delle società. A volte in modo clamoroso e incomprensibile. Non ci sono solo le ex municipalizzate delle grandi città: a Oderzo, in provincia di Treviso, la Fondazione Oderzo Cultura evidenziava nel 2012 un valore della produzione di 76.286 euro e un risultato negativo di 413.000. A Busseto in provincia di Parma, terra di Giuseppe Verdi, la Busseto Servizi metteva insieme appena 598 euro di valore della produzione riuscendo ad arrivare a 10mila euro di perdita. A l’Aquila il centro turistico del Gran Sasso era in rosso di oltre un milione e mezzo su una produzione di circa 1.185.000.

Moltissime realtà appaiono più che altro inutili: anche se le verifiche sono complesse e non univoche in un settore così magmatico, si stima che circa un migliaio siano quelle in cui il numero degli amministratori supera quello dei dipendenti. Insomma, salvo forse in casi particolarissimi, veri e propri poltronifici.

D’altra parte è noto come a partire dall’inizio del decennio scorso la giungla delle spa (o srl) pubbliche, comprese quelle locali, si sia allargata in tutte le direzioni soprattutto per due esigenze. La prima era aggirare le varie norme sul blocco delle assunzioni scaricando i costi del personale su entità esterne al perimetro della pubblica amministrazione. La seconda, ancora meno nobile, era trovare un posto ai politici non più rieletti o ad altri personaggi contigui alla sfera partitica.

Accanto alla semplice esternalizzazione di attività non sono mancati gli sforzi di fantasia. Nella Provincia di Salerno opera una “Fondazione salernitani nel mondo” mentre a Oristano è stato creato dal Comune un Istituto storico arborense che si occupa di ricerche sul Giudicato d’Arborea e il Marchesato di Oristano. Le ragioni del gusto sono ben rappresentate. A Roma c’è un’enoteca regionale, a Parma un’azienda agraria sperimentale che cura anche la vendita diretta dei prodotti biologici. Accanto ai caseifici non mancano le aziende che si occupano di carne: a Fabriano ad esempio la Agricom alleva bestiame bovino e ovino, precisando che si tratta di servizio di pubblica utilità perché bistecche e costolette vanno a rifornire le mense delle scuole comunali.

La bestia affamata delle Spa locali

La bestia affamata delle Spa locali

Massimo Giannini – La Repubblica

Tra i tanti capitoli del romanzo gotico della spending review, dimenticati o stralciati da Palazzo Chigi, ce n’è uno che inquieta più degli altri. È quello che riguarda le società partecipate degli enti locali. Una giungla di clientele, sperperi e corruzione. Il premier aveva tuonato contro quelle “8 mila Spa” che mungono la generosa mammella statale e municipale senza vantaggi per il cittadino contribuente. Ora lo scomodo commissario Carlo Cottarelli, che ogni tanto almeno in qualche convegno riesce ad uscir fuori dalla “clandestinità” alla quale lo obbliga il premier, ci informa che le cose stanno peggio di come le immaginavamo.
«Le società pubbliche – annuncia il responsabile della task force taglia-spese al quale hanno momentaneamente sottratto le forbici – sono almeno 10 mila, e non le 8 mila censite finora, e perdono 1,2 miliardi». A questo falò di denaro pubblico vanno aggiunti «i costi nascosti da contratti di servizio gonfiati e quelli a carico dei cittadini per tariffe eccessive». Uno scandalo nello scandalo. Non si capisce perché il capo del governo non ci metta mano, come per altro aveva annunciato fin dalle prime slide-conference. O meglio, si capisce benissimo. Basta ascoltare ancora Cottarelli: «Quello delle partecipazioni locali è un mondo molto differenziato. Ci sono le “strumentali”, spesso a rischio abuso perché costituite solo per creare occupazione, e ci sono quelle che gestiscono i servizi pubblici locali, che rappresentano il 20% delle partecipate ma raccolgono il 60% del fatturato». Dunque, almeno l’80% delle 10 mila aziende pubbliche partecipate dagli enti locali, oltre a generare ricavi irrisori, non servono a produrre alcunché, ma solo ad occupare gente. Bisognerebbe chiuderle: ma poi dove mandi le madri e i padri di famiglia che ci lavorano, e che magari ti votano pure? Bel problema. Com’è un problema la gestione di quel 20% delle partecipate che gestiscono i servizi pubblici, dall’energia al gas, dall’acqua ai rifiuti. Hanno un fatturato da 40 miliardi, ma staccano un dividendo annuo di appena 604 milioni agli enti locali, e soprattutto sono la bellezza di 1.100. Troppe anche queste, e soprattutto poco efficienti e non redditizie come dovrebbero e potrebbero essere. Ora, in un impeto nietzschiano di “volontà di potenza”, Cottarelli si sbilancia e promette che entro luglio scatterà il piano di “disboscamento” delle Spa locali. Speriamo che non sia l’ennesima fuga in avanti, e che almeno stavolta il presidente del Consiglio – al contrario di quello che è avvenuto con la manovra del bonus Irpef da 80 euro copra politicamente le indicazioni di razionalizzazione della spesa formulate dal suo commissario. Spiace citarlo, perché è stato lo slogan dei conservatori americani di Bush, ma soprattutto in quello zoo mangiasoldi c’è davvero bisogno di “affamare la bestia”.