La rappresentazione più impietosa dell’incapacità riformatrice della maggioranza guidata da Matteo Renzi viene dalle recenti vicende della Rai. Anche in considerazione del fatto che – sotto vari punti di vista – la Rai è l’Italia, e l’Italia è la Rai. In sostanza all’interno dell’azienda di viale Mazzini nulla cambia al di là dei nomi. Ieri si lottizzava e oggi, invece, pure. Ieri si negoziava con le minoranze una quota della loro presenza all’interno degli organismi dirigenti, e adesso avviene esattamente la stessa cosa. Ieri si sceglievano amici e amici degli amici, e ovviamente lo si continua a fare. Ma non è questo il punto.
Il dato cruciale è un altro, e cioè che nel 2015 nessuno sembra scandalizzato dal fatto che il potere statale continua a gestire informazione, cultura e divertimento, esattamente con quando Benito Mussolini parlava alla radio di Stato e il Minculpop si preoccupava di manipolare al meglio le menti degli italiani. La cecità non è solo italiana, ma certo non denota spirito innovativo e capacità rinnovatrice un giovane premier che neppure prende in considerazione di realizzare una vera trasformazione in senso liberale, alzando un muro tra il potere politico e il sistema dei media. Perché certamente non è veramente libera una società in cui i mezzi d’informazione dipendono dagli apparati politico-burocratici.
Per giunta la Rai è un baraccone che costa un’enormità agli italiani. Se volesse dare un segnale di discontinuità rispetto ai governi che l’hanno preceduto, Renzi avrebbe una sola cosa da fare: eliminare il canone (di fatto un’imposta) e mettere in vendita la Rai, con dentro Franco Siddi e Carlo Freccero, Guelfo Guelfi e Arturo Diaconale e tutti gli altri. L’unica soluzione razionale per questo sempiterno ministero della manipolazione delle menti è la sua dimissione. Ma ovviamente Renzi non pensa a nulla di ciò.
Non ci pensa perché il suo potere è costruito attorno a una fitta rete di nomine, favori, incarichi. E la Rai fa parte di questo grande mosaico, ovviamente. Per giunta egli ha bisogno di costruire consenso intorno a sé e quindi ha bisogno che i passacarte dei Tg lo mettano sempre in una buona luce e che lo stesso succeda ai molti miracolati che fanno parte della sua cerchia. Infine, ed è questo forse il punto più drammatico, non è pensabile che Renzi si orienti verso una vera e compiuta privatizzazione della Rai perché egli non ha minimamente il polso della situazione e non comprende la necessità di procedere a tagli massicci della spesa, a una riduzione della presenza dello Stato, a una piena liberalizzazione di vasti settori. Non sa cosa stanno realizzando, con le privatizzazioni, Cameron e Osborne nel Regno Unito e neppure è interessati a saperlo.
Egli continua a vendere la favola di un’Italia che tutto sommato funziona bene e che va solo qua e là un poco aiutata e sostenuta. Sembra insomma non comprendere che il settore produttivo soffre come mai in passato e che solo se si incide con il bisturi sull’Italia parassitaria è forse possibile ridare speranza al mondo degli imprenditori. In questo senso, la grande azienda televisiva di Stato è la rappresentazione più macroscopica di una maniera tutta italiana d’intendere le cose, la quale continua a confidare nel debito, rinviare le scelte, anteporre il privilegio garantito a qualcuno oggi invece che il riconoscimento dei diritti di tutti in un domani da conquistare. In questa Italia il premier attuale ha costruito le sue fortune. Farà di tutto per difenderla.