debiti PA

Lo Stato incassa e non paga

Lo Stato incassa e non paga

di SANDRO IACOMETTI

Servizi per i pagamenti «sempre più accessibili, tempestivi e facili da utilizzare». Così, ieri, l’Agenzia della Riscossione (ex Equitalia) pubblicizzava la sostituzione del vecchio bollettino Rav con il nuovo modulo PagoPa, che consentirà di saldare il proprio debito con lo Stato (cartelle e avvisi) in qualsiasi modo e in qualsiasi momento, al bar, per strada, con un telefonino, con un pc o, se si ama la tradizione, agli sportelli postali e bancari. Si tratta dell’ennesima trovata del fisco per togliere al contribuente qualsiasi alibi sul mancato o ritardato versamento delle imposte. Come sottolinea il comunicato, il pagamento deve essere «tempestivo».Anche perché, in caso contrario, scattano sanzioni, penali e salatissimi interessi.
Meno innovazione, ma stessa determinazione è quella con cui in queste settimane sono alle prese i pensionati, invitati via posta ordinaria a restituire rapidamente i soldi ricevuti in più per colpa dei ritardi del legislatore e dell Inps nell’applicare i tagli all’adeguamento degli assegni all’inflazione. Anche in questo caso, la tempestività è d obbligo. Se l’anziano non ottempera entro il 18 ottobre, la pratica passerà agli Agenti della Riscossione, con tutte le complicazioni e i costi del caso. Ma l’Inps non è lo stesso ente che ogni mese deve versare quattrini ai pensionati? Perché non effettuare una compensazione tra crediti e debiti?

Apriti cielo. La nuova parola d ordine del presidente Pasquale Tridico è: basta azzeramenti di pendenze, soprattutto quando ci sono di mezzo le imprese. Lì, assicura il fedelissimo di Luigi Di Maio, che sta cercando di convincere sull’argomento anche il premier Giuseppe Conte e il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, si annidano sacche enormi di evasione che può essere facilmente recuperata (lui dice addirittura tra i 2 e i 5 miliardi). Come? Incrociando i dati del fisco con quelli dell’Inps e tornando di fatto al vecchio sistema secondo cui ognuno paga il suo. Il risultato è garantito: il contribuente, infatti, è costretto a versare, lo Stato no.

Ricordate tutta la campagna per smaltire i debiti arretrati della Pa con i fornitori, gli annunci sulla certificazione dei crediti, gli anticipi bancari, la tracciabilità dei pagamenti? Qualcosa è stato fatto. Ma a differenza dei versamenti di imposte e contributi, dove ogni giorno viene inventato un sistema nuovo per facilitare l’incasso da parte della pubblica amministrazione, lì il meccanismo era così complicato e farraginoso che alla fine ha funzionato poco e male.

I numeri parlano chiaro: secondo una rilevazione del Centro studi ImpresaLavoro alla fine del 2018 lo stock dei debiti accumulati dalla Pa ammontava ancora a 53 miliardi, solo 4 in meno rispetto all’anno precedente. E i tempi con cui i fornitori vengono saldati, seppure ridotti, restano ancora elevatissimi e tra i peggiori d Europa. Con 67 giorni di media lo Stato italiano è sul podio dei cattivi pagatori, subito dopo la Grecia (115) e il Portogallo (75).

Invece di migliorare, la situazione sta peggiorando. E sta addirittura creando un circolo vizioso tra le imprese per cui, mancando così di frequente il primo tassello, il saldo della fattura da parte del pubblico, a cascata nessuno paga più nessuno. Dal Barometro Censis presentato ieri è emerso che il 91,3% dei commercialisti negli ultimi dodici mesi ha subito ritardi nella riscossione dei crediti. Per il 52,6% i tempi si sono allungati rispetto all’anno precedente e per l 87,7% le imprese rimaste a bocca asciutta hanno a loro volta lasciato a secco i loro fornitori, scatenando un corto circuito devastante sia per il tessuto produttivo sia per l intero Paese.

Ad accendere la miccia, manco a dirlo, è proprio lo Stato. La quota di professionisti che hanno dovuto fare i conti con ritardi nei pagamenti da parte della Pubblica amministrazione è del 60%. In particolare, il 10,6% indica che tutte le sue imprese clienti hanno tale problema e il 31,2% che riguarda la maggior parte dei casi, mentre solo l 8,9% dei commercialisti sostiene di non aver avuto a che fare con intoppi di alcun genere.

Quanto ai tempi, per il 30,6% l attesa si è allungata rispetto allo scorso anno e per il 53,5% è rimasta uguale. Solo per un 7,7% di fortunati la Pa è stata più solerte rispetto ai 12 mesi precedenti. Le conclusioni dello studio realizzato per il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti sono chiare. Si tratta, si legge, «di una patologia grave perché tradizionalmente la Pubblica amministrazione dovrebbe giocare un ruolo di regolatore positivo dei mercati». Invece, resta «un generatore di criticità». In altre parole, una zavorra al posto di un volano.

Debiti PA: stock a 53 miliardi, in Europa siamo i terz’ultimi per tempi di pagamento (67 giorni di attesa)

Debiti PA: stock a 53 miliardi, in Europa siamo i terz’ultimi per tempi di pagamento (67 giorni di attesa)

I tempi di pagamento

L’edizione più recente dell’European Payment Report di Intrum Justitia rivela che in Italia il tempo medio di pagamento da parte del settore pubblico nell’ultimo anno si è attestato a 67 giorni, 25 giorni in più rispetto al valore medio europeo. Il calo rispetto ai 104 giorni medi dell’anno precedente è imputabile in gran parte alla fatturazione elettronica. Tempi di pagamento così lunghi si ripercuotono negativamente soprattutto sulle piccole e medie imprese, costrette ad accettare termini di pagamento troppo dilazionati e spesso imposti dalle imprese più grandi. Il dato di quest’anno ci colloca al terz’ultimo posto in Europa, dopo Grecia (115 giorni) e Portogallo (75 giorni). Il nostro valore attualmente supera di un giorno quello della Spagna, di 19 quello della Francia, di 39 giorni quello del Regno Unito e di 40 giorni quello della Germania.

Lo stock di debiti della PA

Sono passati più di cinque anni dal 13 marzo 2014, quando l’ex premier Matteo Renzi promise in tv agli italiani che il 21 settembre di quell’anno avrebbe fatto un pellegrinaggio al santuario di Monte Senario in occasione del proprio onomastico se il suo Governo non avesse pagato tutti i debiti che la Pubblica Amministrazione aveva contratto fino al 2013. Da allora la situazione è rimasta sostanzialmente invariata. La relazione annuale presentata a fine maggio dalla Banca d’Italia certifica infatti che nel 2018 lo stock dei debiti accumulati dalla PA ammonta ancora a 53 miliardi di euro, appena 4 miliardi in meno rispetto all’anno precedente. Questo dato conferma quanto abbiamo denunciato a più riprese: i debiti commerciali si rigenerano con frequenza, dal momento che beni e servizi vengono forniti di continuo. Pertanto liquidare solo in parte con operazioni spot i debiti pregressi di per sé non riduce affatto lo stock complessivo: questo può avvenire soltanto nel caso in cui i nuovi debiti creatisi nel frattempo risultino inferiori a quelli oggetto di liquidazione.

I costi per le imprese

Per l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente di ImpresaLavoro, «si riducono i tempi di pagamento ma restiamo tristemente terz’ultimi in Europa, dopo di noi solo Portogallo e Grecia. Lo stock di debito resta enorme, lo Stato deve alle imprese 53 miliardi. Questo ritardo sistematico è costato loro la bellezza di 3,7 miliardi di euro, cifra generata dagli interessi passivi dovuti per anticipare il credito necessario a pagare i propri dipendenti e onorare gli impegni presi. La stima è stata effettuata prendendo come riferimento il dato fornito da Bankitalia sullo stock complessivo e il costo medio del capitale (pari al 7,043% su base annua) che le imprese hanno dovuto sostenere per far fronte al relativo fabbisogno finanziario generato dai mancati pagamenti».

Debiti PA: stock a 57 miliardi, in Europa siamo gli ultimi per tempi di pagamento (104 giorni di attesa)

Debiti PA: stock a 57 miliardi, in Europa siamo gli ultimi per tempi di pagamento (104 giorni di attesa)

I tempi di pagamento

L’ultima edizione dell’European Payment Report di Intrum Justitia rivela che in Italia il tempo medio di pagamento da parte del settore pubblico è salito nell’ultimo anno da 95 a 104 giorni. Questa situazione si ripercuote negativamente soprattutto sulle piccole e medie imprese, costrette come sono ad accettare termini di pagamento troppo lunghi e spesso imposti dalle imprese più grandi. Dopo un lieve calo dei tempi di pagamento registrato tra il 2015 e il 2016 (da 131 giorni a 95 giorni) soprattutto per merito della fatturazione elettronica, il dato ha ripreso nuovamente a salire nel 2017 facendo conquistare all’Italia il primato negativo in Europa. Il nostro valore attualmente supera infatti di 18 giorni quello del Portogallo e di ben 31 giorni quello della Grecia, che l’anno precedente guidava la classifica con 103 giorni. Resta inoltre più alto di 44 giorni rispetto al Belgio, di 48 giorni rispetto alla Spagna, di 49 giorni rispetto alla Francia, di 61 giorni rispetto all’Irlanda, di 71 giorni rispetto alla Germania e di 78 giorni rispetto al Regno Unito.

Lo stock di debiti della PA

Sono passati più di 4 anni dal 13 marzo 2014, quando l’ex premier Matteo Renzi promise in tv agli italiani che il 21 settembre di quell’anno avrebbe fatto un pellegrinaggio al santuario di Monte Senario in occasione del proprio onomastico se il suo Governo non avesse pagato tutti i debiti che la Pubblica Amministrazione aveva contratto fino al 2013. Da allora la situazione è rimasta sostanzialmente invariata. La relazione annuale presentata a fine maggio dalla Banca d’Italia certifica infatti che nel 2017 lo stock dei debiti accumulati dalla PA ammonta ancora a 57 miliardi di euro, appena 7 miliardi in meno rispetto all’anno precedente. Questo dato conferma quanto abbiamo denunciato a più riprese: i debiti commerciali si rigenerano con frequenza, dal momento che beni e servizi vengono forniti di continuo. Pertanto liquidare solo in parte con operazioni spot i debiti pregressi di per sé non riduce affatto lo stock complessivo: questo può avvenire soltanto nel caso in cui i nuovi debiti creatisi nel frattempo risultino inferiori a quelli oggetto di liquidazione.

I costi per le imprese

Per l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente di ImpresaLavoro, «ne consegue pertanto un dato gravissimo per tutte le imprese italiane coinvolte: questo ritardo sistematico è infatti costato loro la bellezza di 4,172 miliardi di euro, cifra generata dagli interessi passivi dovuti per anticipare il credito necessario a pagare i propri dipendenti e onorare gli impegni presi. Questa stima è stata effettuata prendendo come riferimento il dato fornito da Bankitalia sullo stock complessivo e il costo medio del capitale (pari al 7,32% su base annua) che le imprese hanno dovuto sostenere per far fronte al relativo fabbisogno finanziario generato dai mancati pagamenti. L’attuale governo Conte è sostenuto da due forze politiche che su questo punto non hanno mai lesinato aspre critiche agli esecutivi Renzi e Gentiloni. In particolare ci aspettiamo che il nuovo ministro dello Sviluppo economico Di Maio vorrà dare al più presto un seguito concreto agli impegni assunti in campagna elettorale».

Provate a non pagare puntualmente le tasse. Lo Stato lo fa da impunito con i suoi fornitori.

Provate a non pagare puntualmente le tasse. Lo Stato lo fa da impunito con i suoi fornitori.

di Massimo Blasoni*

Il rapporto tra Stato e cittadino non è sempre equilibrato, vale anche per gli imprenditori. Provate – ve lo sconsiglio – a non pagare le tasse. Sono, giustamente, guai seri. Quando però è lo Stato a dover saldare i propri fornitori, la musica cambia perché la Pubblica amministrazione paga quando vuole. Per le imprese il costo di questi ritardi supera i 4 miliardi all’anno. Vediamo perché.

Il Centro Intrum Justitia stima i tempi medi di pagamento dei fornitori delle Pubblica amministrazione in tutta Europa. Quest’anno ci troviamo tristemente ultimi in classifica e con una performance addirittura peggiore rispetto al 2017: ben 104 giorni di attesa, 9 in più dell’anno scorso. Facciamo peggio di Grecia e Portogallo, dove sono necessari 73 e 86 giorni per saldare il debito commerciale dello Stato, e sembriamo delle lumache rispetto a Germania (33 giorni) e Regno Unito (26 giorni).

Il dato non è puramente statistico ma purtroppo segnala l’ennesimo gravame sulle imprese italiane. Essere pagati in ritardo costringe ad anticipare per più tempo i propri crediti in banca. È ovvio: se per fornire la Pubblica amministrazione l’imprenditore ha dovuto pagare materiali e dipendenti e non viene a sua volta saldato non può che rivolgersi al sistema bancario. Un sistema di norma piuttosto costoso e a cui non è facile accedere. Ogni anno questo costo. I dati da considerare sono sostanzialmente due: 7,32% cioè il costo medio dell’accesso al credito, con modalità che vanno dallo sconto fatture al factoring, agli sconfinamenti e così via. E 57 miliardi, ovverosia lo stock complessivo dei debiti della Pubblica amministrazione quantificato da Bankitalia per l’anno 2017. L’incrocio dei due dati consente di stimare in oltre 4 miliardi all’anno il costo che le nostre imprese sono così costrette a sostenere.

Per i suoi ritardi l’Italia è stata deferita alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Dal 2013, in seguito al recepimento nel nostro ordinamento della direttiva comunitaria contro i ritardi di pagamento, i tempi non potrebbero superare di norma i 30 giorni. Va poi considerato che dover anticipare in banca per lungo tempo i crediti verso la Pubblica amministrazione riduce per le nostre aziende la capacità di ottenere affidamenti, rendendo così più complesso innovare e investire.

Competere con le imprese straniere è già difficile per motivi che vanno dal costo dell’energia alla burocrazia, alla lentezza della giustizia civile. Aggiungere a questo elenco il ritardo dei pagamenti delle Pubblica amministrazione certamente non aiuta. Vorremmo finalmente essere esentati dal pagamento di una sorta di tassa in più, grazie alla quale lo Stato si finanzia a spese degli imprenditori.

* imprenditore e presidente del Centro studi ImpresaLavoro

E la PA rallenta ancora i pagamenti. I debiti dello Stato verso le aziende sono costati 4,1 miliardi nel 2017.

E la PA rallenta ancora i pagamenti. I debiti dello Stato verso le aziende sono costati 4,1 miliardi nel 2017.

di Antonio Signorini

Cambiano maggioranze e governi, ma i ritardi nei pagamenti restano una costante della nostra pubblica amministrazione. Contro lo Stato cattivo pagatore si è mossa la Commissione europea (e l’allora vicepresidente Antonio Tajani), c’è una legge che stabilisce limiti di tempo precisi e poi le promesse degli ultimi due premier prima di Giuseppe Conte. Ma una soluzione al problema non sembra a portata di mano e il conto che pagano le imprese continua a salire: 4,1 miliardi di euro nel 2017, tanti sono gli interessi passivi pagati dalle aziende per compensare i crediti non incassati.

Il punto lo ha fatto il Centro studi ImpresaLavoro diretto dall’imprenditore friulano Massimo Blasoni con un’analisi basata sull’ultima edizione dell’European Payment Report di Intrum Justitia e sui dati di Bankitalia. Tra il 2015 e il 2016 c’era stato una lieve riduzione dei tempi dei pagamenti. Da 131 si era passati a 95 giorni tra la fattura emessa dall’impresa o dal professionista e il saldo da parte dell’ufficio pubblico interessato. «Il dato ha ripreso nuovamente a salire nel 2017 facendo conquistare all’Italia il primato negativo in Europa», spiega il centro studi.

Dai 95 del 2016 siamo tornati a 103 giorni medi. Il confronto con il resto dell’Europa è impietoso. Il nostro valore attualmente supera di 18 giorni quello del Portogallo e di ben 31 giorni quello della Grecia, che l’anno precedente guidava la classifica con 103 giorni. In Spagna la Pa paga i fornitori mediamente 48 giorni prima dello Stato italiano, 49 la Francia, 61 giorni l’Irlanda, 71 la Germania.

La prova che non ci sono stati cambiamenti rilevanti è data dallo stock dei debiti commerciali della pubblica amministrazione. Dal 2014, quando Renzi promise di mettere fine al fenomeno, non ci sono stati grandi progressi. Nel 2017 il complesso dei debiti accumulati dalla Pa ammonta ancora a 57 miliardi di euro, appena 7 miliardi in meno rispetto all’anno precedente.

«Questo dato conferma quanto abbiamo denunciato a più riprese», denuncia ImpresaLavoro. «I debiti commerciali si rigenerano con frequenza, dal momento che beni e servizi vengono forniti di continuo». A pagare il conto per lo Stato cattivo pagatore sono ancora una volta le aziende. La conseguenza è «un dato gravissimo per tutte le imprese italiane», denuncia Blasoni. «Questo ritardo sistematico è infatti costato loro la bellezza di 4,172 miliardi di euro, cifra generata dagli interessi passivi dovuti per anticipare il credito necessario a pagare i propri dipendenti e onorare gli impegni presi». Nel decreto Dignità è passata la proroga della compensazione tra debiti e crediti verso la Pa, grazie all’iniziativa di Simone Baldelli di Forza Italia. Il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani ha ricordato che è possibile chiedere di scorporare il pagamento dei debiti commerciali dai limiti del debito pubblico.

Blasoni chiede al governo di fare di più, visto che Lega e M5s sembravano sensibili al tema: «Ci aspettiamo che il nuovo ministro dello Sviluppo economico Di Maio vorrà dare al più presto un seguito concreto agli impegni assunti in campagna elettorale».

Promesse tradite: lo Stato non paga 64 miliardi alle aziende

Promesse tradite: lo Stato non paga 64 miliardi alle aziende

di Francesco De Dominicis – Libero

Se si trattasse di una faccenda tra privati si potrebbe azzardare a ipotizzare – codice penale alla mano – financo l’appropriazione indebita e addirittura un caso di furto vero e proprio. Il ladro in questione è lo Stato e il soggetto «offeso» – ovvero derubato – è l’impresa fornitrice alla quale non viene saldata una fattura nei termini stabiliti dalla legge. E messe insieme, le fatture non pagate, creano una montagna di miliardi di euro che resta nelle casse del Tesoro. Se ne discute da almeno cinque anni, senza che venga trovata una soluzione efficace. Il risultato è sempre lo stesso: circola meno liquidità nella cosiddetta economia reale e qualche azienda, specie tra quelle più piccole, soffocata proprio dalle casse a secco, è costretta – non di rado – a portare i libri in tribunale. Si fallisce anche per colpa dello Stato, insomma. Se va meglio, si taglia qualche investimento programmato oppure si licenziano i lavoratori. L’effetto finale è un danno collettivo di proporzioni certamente non irrilevanti.

Su questo versante, per la verità, non esistono stime esatte. E sui numeri in ballo spesso si fa un po’ di confusione. Lo scandalo vero, in effetti, non è rappresentato dai 64 miliardi di euro di arretrati complessivi dello Stato verso le imprese fornitrici. Certo, il totale dei debiti è quello e fa parecchio rumore. Non a caso, il dato, riportato nell’ultima relazione della Banca d’Italia, è stato immediatamente cavalcato da associazioni di categoria oltre che centri studi, come Cgia di Mestre e ImpresaLavoro. Tuttavia, una parte di quei ritardi è fisiologica: dipende, cioè, dai tempi di pagamento concordati tra pubblica amministrazione e azienda per saldare le fatture, relative a beni e servizi.

Tempi che possono variare sulla base di norme e secondo il tipo di «prestazione» acquistata dalla pa, locale o statale. Una direttiva dell’Unione europea del 2011, nel dettaglio, fissa nella forchetta tra 30 e 60 giorni i tempi massimi di pagamento. Fino al limite di due mesi, insomma, è tutto regolare o quasi. Ne consegue che sul totale di 64 miliardi, come accennato, una parte è «fisiologica»: si tratta, secondo le stime di Bankitalia, di poco meno del 50%. Calcolatrice alla mano significa grosso modo 28-30 miliardi. Il resto, invece, è uno stock di more fuorilegge: la «componente non fisiologica», pertanto, si attesta a 34-36 miliardi. A tanto, dunque, ammonta il presunto furto. In ogni caso, il corpo del reato non è un pacchetto di bruscolini.

Dicevamo delle norme di Bruxelles. A metà febbraio la Commissione Ue ha chiesto all’Italia di chiarire se ha varato provvedimenti volti ad accelerare i bonifici alle imprese. In assenza di una svolta, il Paese corre il pericolo di subire l’ennesima procedura di infrazione. Rischio che da luglio si farà sempre più concreto, poiché partirà un monitoraggio a tappeto con l’avvio di un cervellone unico a livello europeo. Tutti i paesi avrebbero dovuto essere in regola sin dal 2013, ma l’Italia non ce l’ha fatta a rispettare la tabella di marcia imposta da Bruxelles.

L’ex presidente del consiglio, Matteo Renzi, su questo problema aveva alzato l’asticella. Era marzo del 2014 e l’allora premier promise di risolvere la faccenda entro il mese di settembre dello stesso anno. Renzi non mantenne la promessa (saldare gli arretrati fino al 2013) né pagò pegno – come invece aveva giurato – andando in pellegrinaggio, a piedi, al santuario sul monte Senario. Di là dalle chiacchiere del segretario del Partito democratico, in tre anni la situazione non è migliorata granché: rispetto al prodotto interno lordo, i debiti commerciali sono passati dal 5,8% del 2012 (record) al 4,3% del 2014, dal 4,2% del 2015 (68 miliardi) al 3,8% dello scorso anno (64 miliardi).

Lievi cali – quelli segnalati nelle carte di via Nazionale – che non migliorano il quadro, specie nel confronto internazionale. Solo la Grecia (103 giorni) paga con tempi più lunghi dell’Italia (95). Valori molto più alti rispetto a quelli di altri paesi europei, come Spagna (78), Francia (57) e Germania (23). Se Roma paga in tre mesi, Berlino salda in poco più di tre settimane. Come dire: quello sui tassi d’interesse dei titoli pubblici (btp e bund) non è l’unico spread tra italiani e tedeschi.

Il Governo deve 64 miliardi ai privati e Renzi manco va a farsi a benedire

Il Governo deve 64 miliardi ai privati e Renzi manco va a farsi a benedire

di Gianluca De Maio – La Verità

I debiti della pubblica amministrazione verso le aziende dei privati valgono ancora oggi 64 miliardi di euro. Più o meno tre Finanziarie. Un modo per spostare sulle spalle di chi produce quasi il 3% del debito pubblico. Una cifra insopportabile che per gli italiani è diventata una prassi. Ci siamo infatti dimenticati che solo il 13 marzo del 2014, dal salotto di Bruno Vespa, l’ex premier Matteo Renzi, lanciò la sua personale sfida ai debiti arretrati della Pa. Promise di smaltire tutti i pagamenti entro il 21 settembre, giorno di san Matteo. In caso contrario si sarebbe incamminato da Firenze fino al santuario di monte Senario. Venti chilometri a piedi per espiare le colpe dello Stato. Il Rottamatore non è più premier, lotta per riprendere l’incarico e non ha in mente di mettersi in cammino. Ancor meno di intervenire su un problema endemico.

«A distanza di tre anni» spiega il Centro studi ImpresaLavoro «siamo costretti a registrare che lo stock di debito commerciale contratto nei confronti delle imprese fornitrici è rimasto sostanzialmente invariato. La relazione annuale presentata nei giorni scorsi dalla Banca d’Italia certifica infatti che nel 2016 lo stock dei debiti accumulati dalla PA ammonta ancora a 64 miliardi di euro, appena 4 miliardi in meno rispetto all’anno precedente».  Gli enti pubblici nel 2016 hanno impiegato in media 95 giorni (erano 131 giorni nel 2015) per pagare i loro fornitori. Si tratta di un dato inferiore di 8 giorni rispetto alla Grecia e analogo a quello del Portogallo ma che resta superiore di 17 giorni rispetto alla Spagna, di 34 giorni rispetto a Belgio, di 38 giorni rispetto alla Francia, di 43 giorni rispetto all’Irlanda, di 72 giorni rispetto alla Germania e di 73 giorni rispetto al Regno Unito. Anche se il trend è in miglioramento – rileva lo studio – la riduzione dei tempi appare legata a una riorganizzazione organica che nulla ha a che vedere con l’intervento politico.

Per l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente di ImpresaLavoro, «ne consegue pertanto un dato gravissimo per tutte le imprese italiane coinvolte: questo ritardo sistematico è infatti costato loro la cifra di 5,3 miliardi sotto forma di accesso al credito per consentire di pagare i propri dipendenti e onorare gli impegni presi. Questa stima è stata effettuata prendendo come riferimento il dato fornito da Bankitalia e il costo medio del capitale (pari all’8,339% su base annua) che le imprese hanno dovuto sostenere per far fronte al relativo fabbisogno finanziario generato dai mancati pagamenti».

Va inoltre sottolineato che a impattare positivamente sui numeri in questi ultimi tre anni sono state le mosse degli enti locali. E non certo dello Stato centrale. Nonostante gli enti locali continuino a subire tagli da Roma, negli ultimi due anni sono riusciti a far calare il proprio stock di debito complessivo addirittura del 10%. Da 101 a 91 miliardi. Il governo, invece, ha portato il «buco» da 2.043 a 2.130 miliardi, stando alle ultime rilevazioni del ministero, che risalgono allo scorso inverno. Un 4% in più. Per gli enti locali, si è quasi sempre registrato un avanzo di cassa: il fabbisogno di Comuni, Province e Regioni è stato negativo per 6,4 miliardi nel 2013, per 9,4 miliardi nel 2014 e per 7,09 miliardi nel 2015. Nel 2016 nei conti degli enti territoriali si è registrata un’esigenza di cassa per 829 milioni. Lo Stato si dimostra sempre più vorace, anche se demanda agli enti locali l’incasso di nuove tasse. Con tale andazzo si capisce che il debito relativo al 2014 sia stato saldato soltanto alla fine del 2016. E cosi via, mantenendo intatto un circolo vizioso.

«I ritardi nel pagamento dei debiti commerciali, pubblici e privati», conclude Massimo Blasoni, «hanno conseguenze per le imprese che vanno al di là degli oneri sostenuti per l’accesso al credito. Elaborando i dati contenuti nell’European payment report di Intrum Justitia si scopre infatti il 46% delle aziende italiane ritiene che un migliore e più puntuale sistema di pagamenti da parte dei debitori porterebbe all’assunzione di nuovi dipendenti. Per il 61% degli imprenditori i ritardi nei pagamenti rappresentano inoltre una delle cause di licenziamento dei lavoratori già in forza alle imprese e per il 73% degli intervistati il ritardo dei debitori frena la crescita del nostro tessuto imprenditoriale». La propaganda renziana attorno al Jobs act e al rilancio dell’occupazione si è ovviamente ben guardata dall’affrontare la violenza che lo Stato usa sulle aziende private costrette a fare da bancomat. E oggi che il segretario del Pd si avvia verso un’altra campagna elettorale. Ma i 64 miliardi di debiti e il macigno che rappresentano continuano a essere un tabù.

Lo Stato non paga i suoi debiti

Lo Stato non paga i suoi debiti

di Vittorio Pezzuto – Italia Oggi

In Europa il tempo medio di pagamento da parte del settore pubblico è salito da 36 a 41 giorni in un solo anno. Questa situazione si ripercuote negativamente sopratutto sulle piccole e medie imprese, costrette come sono ad accettare termini di pagamento troppo lunghi e spesso imposti dalle imprese più grandi. La piccola buona notizia è che il trend della nostra Pubblica Amministrazione appare in controtendenza, anche per merito della fatturazione elettronica: nel 2016 ha impiegato in media 95 giorni (erano 131 giorni nel 2015) per pagare i suoi fornitori. Si tratta di un dato inferiore di 8 giorni rispetto alla Grecia e analogo a quello del Portogallo ma che resta superiore di 17 giorni rispetto alla Spagna, di 34 giorni rispetto al Belgio, di 38 giorni rispetto alla Francia, di 43 giorni rispetto all’Irlanda, di 72 giorni rispetto alla Germania e di 73 giorni rispetto al Regno Unito. Lo rivela una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro su elaborazione dei dati contenuti nell’ultima edizione dell’European Payment Report di Intrum Justitia.

Il 13 marzo 2014 il premier Matteo Renzi promise in tv agli italiani che il 21 settembre di quell’anno, giorno del suo onomastico, avrebbe fatto un pellegrinaggio al santuario di Monte Senario se il suo Governo non avesse pagato tutti i debiti che la Pubblica amministrazione aveva contratto fino al 2013. A distanza di tre anni, siamo costretti a registrare che lo stock di debito commerciale contratto nei confronti delle imprese fornitrici è invece rimasto sostanzialmente invariato. La relazione annuale presentata nei giorni scorsi dalla Banca d’Italia certifica infatti che nel 2016 lo stock dei debiti accumulati dalla PA ammonta ancora a 64 miliardi di euro, appena 4 miliardi in meno rispetto all’anno precedente. Le solenni promesse dell’allora premier Renzi sono state completamente disattese.

Per l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente di ImpresaLavoro, «ne consegue pertanto un dato gravissimo per tutte le imprese italiane coinvolte: questo ritardo sistematico è infatti costato loro la cifra di 5,3 miliardi sotto forma di accesso al credito per consentire di pagare i propri dipendenti e onorare gli impegni presi. Questa stima è stata effettuata prendendo come riferimento il dato fornito da Bankitalia e il costo medio del capitale (pari all’8,339% su base annua)».

I ritardi nel pagamento dei debiti commerciali, pubblici e privati, hanno conseguenze per le imprese che vanno al di là degli oneri sostenuti per l’accesso al credito. Il 46% delle aziende italiane ritiene che un migliore e più puntuale sistema di pagamenti da parte dei debitori porterebbe all’assunzione di nuovi dipendenti. Per il 61% degli imprenditori i ritardi nei pagamenti rappresentano inoltre una delle cause di licenziamento dei lavoratori già in forza alle imprese e per il 73% degli intervistati il ritardo dei debitori frena la crescita del nostro tessuto imprenditoriale.

Debiti PA: stock fermo a 64 miliardi, in Europa siamo i penultimi per tempi di pagamento (95 giorni di attesa)

Debiti PA: stock fermo a 64 miliardi, in Europa siamo i penultimi per tempi di pagamento (95 giorni di attesa)

I tempi di pagamento

L’ultima edizione dell’European Payment Report di Intrum Justitia rivela che in Europa il tempo medio di pagamento da parte del settore pubblico è salito da 36 a 41 giorni in un solo anno. Questa situazione si ripercuote negativamente sopratutto sulle piccole e medie imprese, costrette come sono ad accettare termini di pagamento troppo lunghi e spesso imposti dalle imprese più grandi. La piccola buona notizia è che il trend della nostra Pubblica Amministrazione appare in controtendenza, anche per merito della fatturazione elettronica: nel 2016 ha impiegato in media 95 giorni (erano 131 giorni nel 2015) per pagare i suoi fornitori.

Si tratta di un dato inferiore di 8 giorni rispetto alla Grecia e analogo a quello del Portogallo ma che resta superiore di 17 giorni rispetto alla Spagna, di 34 giorni rispetto al Belgio, di 38 giorni rispetto alla Francia, di 43 giorni rispetto all’Irlanda, di 72 giorni rispetto alla Germania e di 73 giorni rispetto al Regno Unito.

Lo stock di debiti della PA

Il 13 marzo 2014 il premier Matteo Renzi promise in tv agli italiani che il 21 settembre di quell’anno, giorno del suo onomastico, avrebbe fatto un pellegrinaggio al santuario di Monte Senario se il suo Governo non avesse pagato tutti i debiti che la Pubblica amministrazione aveva contratto fino al 2013. A distanza di tre anni, siamo costretti a registrare che lo stock di debito commerciale contratto nei confronti delle imprese fornitrici è invece rimasto sostanzialmente invariato. La relazione annuale presentata nei giorni scorsi dalla Banca d’Italia certifica infatti che nel 2016 lo stock dei debiti accumulati dalla PA ammonta ancora a 64 miliardi di euro, appena 4 miliardi in meno rispetto all’anno precedente. Le solenni promesse dell’allora premier Renzi sono state completamente disattese. Questo dato conferma quanto abbiamo denunciato a più riprese: i debiti commerciali si rigenerano con frequenza, dal momento che beni e servizi vengono forniti di continuo. Pertanto liquidare solo in parte con operazioni spot i debiti pregressi di per sé non riduce affatto lo stock complessivo: questo può avvenire soltanto nel caso in cui i nuovi debiti creatisi nel frattempo risultino inferiori a quelli oggetto di liquidazione.

I costi per le imprese

Per l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente di ImpresaLavoro, «ne consegue pertanto un dato gravissimo per tutte le imprese italiane coinvolte: questo ritardo sistematico è infatti costato loro la cifra di 5,3 miliardi sotto forma di accesso al credito per consentire di pagare i propri dipendenti e onorare gli impegni presi. Questa stima è stata effettuata prendendo come riferimento il dato fornito da Bankitalia e il costo medio del capitale (pari all’8,339% su base annua) che le imprese hanno dovuto sostenere per far fronte al relativo fabbisogno finanziario generato dai mancati pagamenti».

L’opinione delle imprese 

I ritardi nel pagamento dei debiti commerciali, pubblici e privati, hanno conseguenze per le imprese che vanno al di là degli oneri sostenuti per l’accesso al credito. Il 46% delle aziende italiane, infatti, ritiene che un migliore e più puntuale sistema di pagamenti da parte dei debitori porterebbe all’assunzione di nuovi dipendenti. Per il 61% degli imprenditori, poi, i ritardi nei pagamenti rappresentano una delle cause di licenziamento dei lavoratori già in forza alle imprese e per il 73% degli intervistati il ritardo dei debitori frena la crescita del nostro tessuto imprenditoriale. Dati, questi, molto più elevati della media dei nostri partner europei.

 

Ci sono i soldi per Mps ma non per pagare chi lavora per lo Stato

Ci sono i soldi per Mps ma non per pagare chi lavora per lo Stato

di Massimo Blasoni – Libero

Margaret Thatcher amava ripetere che «non esistono i soldi pubblici, esistono quelli dei contribuenti». Difficile sostenere che i nostri governanti abbiano in materia le stesse idee. I 20 miliardi di fondi pubblici che il governo Gentiloni ha appena destinato al salvataggio di Monte Paschi di Siena e di altre banche dissestate (molto spesso da vertici nominati in ragione della loro affiliazione partitica) dimostrano piuttosto il contrario, andando indiscriminatamente a pesare sulle tasche di tutti i contribuenti e ampliando la voragine del nostro debito pubblico. Intendiamoci, questa misura si è resa necessaria come extrema ratio per salvare il nostro sistema creditizio ed evitare il rischio di un effetto domino esiziale per l’intera economia italiana. Pesa però il grave ritardo di una scelta che sarebbe stata molto meno onerosa se decisa anche solo un anno fa, quando Matteo Renzi andava in tv a sostenere che Mps «è una banca risanata e investirci è un affare».

Ma soprattutto questa vicenda dimostra come per Palazzo Chigi non tutte le imprese private siano uguali. Nonostante le reiterate promesse, lo Stato ha infatti continuato ad accumulare uno stock di circa 61 miliardi di euro di debiti commerciali nei confronti delle aziende dalle quali ha a suo tempo acquistato beni e servizi. Se un cittadino non paga le tasse entro il termine dovuto e’ duramente sanzionato, lo stato invece paga i suoi debiti quando vuole e resta impunito. Il suo ritardo nei pagamenti non ha confronti con alcun altro Paese europeo. Queste imprese meriterebbero almeno la stessa attenzione riservata a Monte Paschi e alle altre banche in crisi, se non altro perché molto spesso vengono gestite con maggiore capacità e accortezza. I ritardi nei pagamenti determinano un onere finanziario enorme per le nostre aziende: scontare in banca le fatture non saldate è costato loro nel 2016 oltre 5 miliardi. È anche questa una delle ragioni alla base dell’impressionante ritmo dei fallimenti nel nostro Paese: ogni giorno lavorativo chiudono infatti per insolvenza ben 57 imprese. Alla fine di quest’anno ne saranno fallite ben 14.348 e il 2016 verrà ricordato come l’anno in cui si taglierà il traguardo delle 100mila imprese chiuse a partire dal 2009. Un dato che non ha paragoni con le altre grandi economie monitorate dall’Ocse e che evidenzia come il nostro governo, nei confronti delle aziende private, usi due pesi e due misure.