Matteo Renzi

Il Governo deve 64 miliardi ai privati e Renzi manco va a farsi a benedire

Il Governo deve 64 miliardi ai privati e Renzi manco va a farsi a benedire

di Gianluca De Maio – La Verità

I debiti della pubblica amministrazione verso le aziende dei privati valgono ancora oggi 64 miliardi di euro. Più o meno tre Finanziarie. Un modo per spostare sulle spalle di chi produce quasi il 3% del debito pubblico. Una cifra insopportabile che per gli italiani è diventata una prassi. Ci siamo infatti dimenticati che solo il 13 marzo del 2014, dal salotto di Bruno Vespa, l’ex premier Matteo Renzi, lanciò la sua personale sfida ai debiti arretrati della Pa. Promise di smaltire tutti i pagamenti entro il 21 settembre, giorno di san Matteo. In caso contrario si sarebbe incamminato da Firenze fino al santuario di monte Senario. Venti chilometri a piedi per espiare le colpe dello Stato. Il Rottamatore non è più premier, lotta per riprendere l’incarico e non ha in mente di mettersi in cammino. Ancor meno di intervenire su un problema endemico.

«A distanza di tre anni» spiega il Centro studi ImpresaLavoro «siamo costretti a registrare che lo stock di debito commerciale contratto nei confronti delle imprese fornitrici è rimasto sostanzialmente invariato. La relazione annuale presentata nei giorni scorsi dalla Banca d’Italia certifica infatti che nel 2016 lo stock dei debiti accumulati dalla PA ammonta ancora a 64 miliardi di euro, appena 4 miliardi in meno rispetto all’anno precedente».  Gli enti pubblici nel 2016 hanno impiegato in media 95 giorni (erano 131 giorni nel 2015) per pagare i loro fornitori. Si tratta di un dato inferiore di 8 giorni rispetto alla Grecia e analogo a quello del Portogallo ma che resta superiore di 17 giorni rispetto alla Spagna, di 34 giorni rispetto a Belgio, di 38 giorni rispetto alla Francia, di 43 giorni rispetto all’Irlanda, di 72 giorni rispetto alla Germania e di 73 giorni rispetto al Regno Unito. Anche se il trend è in miglioramento – rileva lo studio – la riduzione dei tempi appare legata a una riorganizzazione organica che nulla ha a che vedere con l’intervento politico.

Per l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente di ImpresaLavoro, «ne consegue pertanto un dato gravissimo per tutte le imprese italiane coinvolte: questo ritardo sistematico è infatti costato loro la cifra di 5,3 miliardi sotto forma di accesso al credito per consentire di pagare i propri dipendenti e onorare gli impegni presi. Questa stima è stata effettuata prendendo come riferimento il dato fornito da Bankitalia e il costo medio del capitale (pari all’8,339% su base annua) che le imprese hanno dovuto sostenere per far fronte al relativo fabbisogno finanziario generato dai mancati pagamenti».

Va inoltre sottolineato che a impattare positivamente sui numeri in questi ultimi tre anni sono state le mosse degli enti locali. E non certo dello Stato centrale. Nonostante gli enti locali continuino a subire tagli da Roma, negli ultimi due anni sono riusciti a far calare il proprio stock di debito complessivo addirittura del 10%. Da 101 a 91 miliardi. Il governo, invece, ha portato il «buco» da 2.043 a 2.130 miliardi, stando alle ultime rilevazioni del ministero, che risalgono allo scorso inverno. Un 4% in più. Per gli enti locali, si è quasi sempre registrato un avanzo di cassa: il fabbisogno di Comuni, Province e Regioni è stato negativo per 6,4 miliardi nel 2013, per 9,4 miliardi nel 2014 e per 7,09 miliardi nel 2015. Nel 2016 nei conti degli enti territoriali si è registrata un’esigenza di cassa per 829 milioni. Lo Stato si dimostra sempre più vorace, anche se demanda agli enti locali l’incasso di nuove tasse. Con tale andazzo si capisce che il debito relativo al 2014 sia stato saldato soltanto alla fine del 2016. E cosi via, mantenendo intatto un circolo vizioso.

«I ritardi nel pagamento dei debiti commerciali, pubblici e privati», conclude Massimo Blasoni, «hanno conseguenze per le imprese che vanno al di là degli oneri sostenuti per l’accesso al credito. Elaborando i dati contenuti nell’European payment report di Intrum Justitia si scopre infatti il 46% delle aziende italiane ritiene che un migliore e più puntuale sistema di pagamenti da parte dei debitori porterebbe all’assunzione di nuovi dipendenti. Per il 61% degli imprenditori i ritardi nei pagamenti rappresentano inoltre una delle cause di licenziamento dei lavoratori già in forza alle imprese e per il 73% degli intervistati il ritardo dei debitori frena la crescita del nostro tessuto imprenditoriale». La propaganda renziana attorno al Jobs act e al rilancio dell’occupazione si è ovviamente ben guardata dall’affrontare la violenza che lo Stato usa sulle aziende private costrette a fare da bancomat. E oggi che il segretario del Pd si avvia verso un’altra campagna elettorale. Ma i 64 miliardi di debiti e il macigno che rappresentano continuano a essere un tabù.

Lo Stato non paga i suoi debiti

Lo Stato non paga i suoi debiti

di Vittorio Pezzuto – Italia Oggi

In Europa il tempo medio di pagamento da parte del settore pubblico è salito da 36 a 41 giorni in un solo anno. Questa situazione si ripercuote negativamente sopratutto sulle piccole e medie imprese, costrette come sono ad accettare termini di pagamento troppo lunghi e spesso imposti dalle imprese più grandi. La piccola buona notizia è che il trend della nostra Pubblica Amministrazione appare in controtendenza, anche per merito della fatturazione elettronica: nel 2016 ha impiegato in media 95 giorni (erano 131 giorni nel 2015) per pagare i suoi fornitori. Si tratta di un dato inferiore di 8 giorni rispetto alla Grecia e analogo a quello del Portogallo ma che resta superiore di 17 giorni rispetto alla Spagna, di 34 giorni rispetto al Belgio, di 38 giorni rispetto alla Francia, di 43 giorni rispetto all’Irlanda, di 72 giorni rispetto alla Germania e di 73 giorni rispetto al Regno Unito. Lo rivela una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro su elaborazione dei dati contenuti nell’ultima edizione dell’European Payment Report di Intrum Justitia.

Il 13 marzo 2014 il premier Matteo Renzi promise in tv agli italiani che il 21 settembre di quell’anno, giorno del suo onomastico, avrebbe fatto un pellegrinaggio al santuario di Monte Senario se il suo Governo non avesse pagato tutti i debiti che la Pubblica amministrazione aveva contratto fino al 2013. A distanza di tre anni, siamo costretti a registrare che lo stock di debito commerciale contratto nei confronti delle imprese fornitrici è invece rimasto sostanzialmente invariato. La relazione annuale presentata nei giorni scorsi dalla Banca d’Italia certifica infatti che nel 2016 lo stock dei debiti accumulati dalla PA ammonta ancora a 64 miliardi di euro, appena 4 miliardi in meno rispetto all’anno precedente. Le solenni promesse dell’allora premier Renzi sono state completamente disattese.

Per l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente di ImpresaLavoro, «ne consegue pertanto un dato gravissimo per tutte le imprese italiane coinvolte: questo ritardo sistematico è infatti costato loro la cifra di 5,3 miliardi sotto forma di accesso al credito per consentire di pagare i propri dipendenti e onorare gli impegni presi. Questa stima è stata effettuata prendendo come riferimento il dato fornito da Bankitalia e il costo medio del capitale (pari all’8,339% su base annua)».

I ritardi nel pagamento dei debiti commerciali, pubblici e privati, hanno conseguenze per le imprese che vanno al di là degli oneri sostenuti per l’accesso al credito. Il 46% delle aziende italiane ritiene che un migliore e più puntuale sistema di pagamenti da parte dei debitori porterebbe all’assunzione di nuovi dipendenti. Per il 61% degli imprenditori i ritardi nei pagamenti rappresentano inoltre una delle cause di licenziamento dei lavoratori già in forza alle imprese e per il 73% degli intervistati il ritardo dei debitori frena la crescita del nostro tessuto imprenditoriale.

Le imprese non possono più aspettare

Le imprese non possono più aspettare

di Massimo Blasoni*

La promessa di Matteo Renzi di ridurre i debiti della Pubblica Amministrazione verso le imprese risale a più di due anni fa. Una promessa come molte altre non mantenuta e i cui effetti hanno un notevole impatto sul sistema imprenditoriale. Per un’azienda anticipare in banca per mesi i propri crediti verso lo Stato non solo è molto costoso ma ne appesantisce la posizione finanziaria e ne abbassa il merito creditizio. Insomma, se si usano le proprie linee di credito per far fronte ai ritardi di pagamento della PA (i propri dipendenti e fornitori vanno pagati) è più complesso trovare risorse per investire o ampliare la produzione. Questa è una di quelle vicende che mettono in evidenza una volta in più il gap che ci separa da Paesi come Germania e Danimarca: lì lo Stato è serio e paga in pochi giorni. Peraltro, pagare più rapidamente, atteso che le somme spesso sono già impegnate, non rappresenterebbe un particolare maggior costo per lo Stato: le lentezze sono spesso frutto di una burocrazia infinita oppure sono causate dal diverso impiego che le amministrazioni locali fanno di quelle somme. Chi ci rimette, però, sono sempre gli imprenditori e i loro dipendenti. Il rischio è che definitivamente si rompa il patto di fiducia tra Partite IVA e Stato: se l’imprenditore non paga una qualche tassa alla data prefissata scattano Agenzia delle Entrate, Equitalia e ganasce varie, lo Stato invece paga i propri debiti quando vuole e resta assolutamente impunito.

*imprenditore e presidente del Centro Studi ImpresaLavoro

San Matteo, promessa non mantenuta per il terzo anno di fila. Stock debiti Pa ancora a 61,1 miliardi

San Matteo, promessa non mantenuta per il terzo anno di fila. Stock debiti Pa ancora a 61,1 miliardi

Il 13 marzo 2014 il premier Matteo Renzi promise in tv agli italiani che il 21 settembre di quell’anno, giorno del suo onomastico, avrebbe fatto un pellegrinaggio al santuario di Monte Senario se il suo Governo non avesse pagato tutti i debiti che la Pubblica amministrazione aveva contratto fino al 2013. Domani è San Matteo. E per il terzo anno di seguito, Renzi non si recherà in pellegrinaggio per espiare la promessa mancata. Nonostante i reiterati annunci del premier, infatti, in questi ultimi tre anni la Pubblica amministrazione non ha ridotto i lunghissimi tempi di pagamento di beni e servizi, mantenendo sostanzialmente invariato lo stock di debito commerciale contratto nei confronti delle imprese fornitrici. Secondo la stima di ImpresaLavoro, su dati Intrum Justitia, ad oggi questo stock ammonta a 61,1 miliardi di euro (sostanzialmente stabile rispetto al 2015 e in leggero calo rispetto ai 67,1 miliardi del 2014).

Questo dato non fa che confermare quanto denunciato a più riprese dal Centro studi ImpresaLavoro: i debiti commerciali si rigenerano con frequenza, dal momento che beni e servizi vengono forniti di continuo. Pertanto liquidare (e solo in parte) i debiti pregressi di per sé non riduce affatto lo stock complessivo: questo può avvenire soltanto nel caso in cui i nuovi debiti creatisi nel frattempo risultino inferiori a quelli oggetto di liquidazione.

Ne consegue altresì che il ritardo del Governo nel pagamento di questi debiti nel 2016 determinerà per le imprese italiane un onere relativo alle anticipazioni necessarie pari a 5,1 miliardi di euro. Questa stima è stata effettuata prendendo come riferimento l’ammontare complessivo dei debiti della nostra PA, l’andamento della spesa pubblica per l’acquisto di beni e servizi (così come certificato da Eurostat) e il costo medio del capitale (pari all’8,38% su base annua) che le imprese hanno dovuto sostenere per far fronte al relativo fabbisogno finanziario generato dai mancati pagamenti.

Il fenomeno dei ritardi di pagamento della nostra PA mantiene dimensioni che non hanno pari rispetto ai nostri principali partner europei. Per pagare i suoi fornitori lo Stato italiano impiega infatti in media 131 giorni: 16 giorni più della Grecia, 33 giorni più della Spagna, 55 giorni più del Portogallo, 73 giorni più della Francia, 91 giorni più dell’Irlanda, 101 giorni più del Regno Unito e addirittura 116 giorni più della Germania.

PA-02

Brunetta (Fi): “Con la Merkel, Renzi ha perso un’altra occasione”

Brunetta (Fi): “Con la Merkel, Renzi ha perso un’altra occasione”

Renato Brunetta (Fi)*

“I quotidiani sottolineano tutti una distensione nei rapporti tra Merkel e Renzi, ma su due punti è chiaro che la Germania non ci sente: gli eurobond per fermare l’immigrazione e le banche, con la evidente differenza di trattamento tra le regole imposte all’Italia e quelle agli istituti tedeschi”. Lo scrive su Facebook Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati.

“Renzi ha perso una eccellente occasione per levarsi di dosso, con la doverosa gentilezza dell’ospite, la livrea di vassallo sia pure lievemente dissidente e un po’ ribelle della Germania, ridando un po’ di orgoglio patriottico all’Italia. Una dichiarazione comune sull’impegno per la Libia, con una messa in riga di chi fa i suoi giochetti con le varie fazioni, sarebbe stata bene accetta. Oggi noi appaiamo insieme alla Germania gli alleati di Turchia-Tripoli-Fratelli Musulmani contro Francia e Russia che appoggiano l’Egitto-Tobruk. (America di Obama con molti piedi e molte scarpe)”, conclude Brunetta.

*Capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati

Capezzone (Cr): “Se il Governo si occupa di banche, i titoli crollano”

Capezzone (Cr): “Se il Governo si occupa di banche, i titoli crollano”

Daniele Capezzone*

Qualcuno dica a Renzi che i titoli bancari continuano a crollare. Più il Governo annuncia di “occuparsi” di banche, più c’è caduta libera… Questo dimostra la chiara sfiducia dei mercati verso l’interventismo politico in generale, e verso l’interventismo politico di questo Esecutivo in particolare.

*Deputato dei Conservatori e Riformisti

Caro Renzi, i conti non sono un’opinione

Caro Renzi, i conti non sono un’opinione

Massimo Blasoni – Metro

È proprio vero che la matematica è un’opinione. Almeno per il presidente del Consiglio Matteo Renzi, che l’altro giorno ha esultato per il +0,8% di crescita del Pil italiano nel 2015. Intendiamoci, si tratta pur sempre di un dato positivo perché segna finalmente un’inversione di tendenza rispetto alla decrescita registrata negli ultimi anni: -2,8% del 2012, -1,7% del 2013 e -0,4% nel 2014. Basterebbe però alzare lo sguardo oltre i confini nazionali per decidersi a conservare le bottiglie di champagne per occasioni migliori. L’anno scorso tutti i nostri principali competitor europei hanno infatti registrato una crescita decisamente più marcata del proprio Prodotto interno lordo: +1,2% in Francia, +1,7% in Germania, + 2,2% nel Regno Unito e addirittura +3,2% in Spagna.

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Così l’Italia #cambiaverso?

Così l’Italia #cambiaverso?

Massimo Blasoni – Metro

Intervenendo lunedì scorso ai lavori della commissione Affari economici e finanziari del Parlamento Europeo, Mario Draghi ha rivendicato come circa la metà della ripresa degli ultimi due anni sia stata determinata dalla politica di stimolo della Bce. «L’altra metà della crescita del Pil della zona euro – ha aggiunto – è stata dovuta al basso prezzo del petrolio. È sempre più chiaro che i governi dovrebbero sostenere questa ripresa con investimenti pubblici e una tassazione più bassa». Nell’Unione Europea gli investimenti pubblici sono infatti calati di 47,7 miliardi rispetto ai massimi registrati nel 2009 (454,9 miliardi). Un dato ancora più marcato nell’area euro: dai 337,7 miliardi del 2009 si è passati ai 275,3 miliardi del 2014. In termini reali siamo quindi tornati ai valori del 2005, con investimenti pubblici pari 2,9% del Pil nell’Unione Europea a 28 (rispetto al 3,7% del 2009).

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Tasse, ancora timida la Legge di Stabilità

Tasse, ancora timida la Legge di Stabilità

di Massimo Blasoni – Metro

Puntuale come ogni anno, ecco irrompere il dibattito sulla Legge di Stabilità. Il premier e il ministro dell’Economia, dopo averne inviato in sede europea una sintesi molto succinta, hanno illustrato i suoi principali contenuti sotto forma di slide dalla grafica accattivante. A quel punto hanno iniziato a rincorrersi le dichiarazioni di deputati e senatori, che a seconda della loro collocazione politica ne elogiano o criticano l’impostazione. Solo dopo una settimana il testo è approdato finalmente in Parlamento e al solito verrà emendato in maniera significativa durante il suo iter di approvazione. Col risultato che i cittadini si ritroveranno con un provvedimento assai diverso da quello presentato.

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Debiti Pa: nel 2014 il mancato pagamento è costato alle imprese 6,4 miliardi

Debiti Pa: nel 2014 il mancato pagamento è costato alle imprese 6,4 miliardi

I dati illustrati oggi da Bankitalia (in un paper che cita tra le sue fonti anche una ricerca di ImpresaLavoro) confermano purtroppo l’analisi da noi elaborata diverse settimane or sono. Nonostante le ripetute promesse, il governo di Matteo Renzi non ha affatto risolto l’ingente stock di debiti della Pubblica amministrazione nei confronti delle imprese fornitrici, che resta secondo Bankitalia pari a ben 71,6 miliardi di euro.
Ne consegue altresì che il ritardo del Governo nel pagamento di questi debiti sia costato nel 2014 alle imprese italiane la cifra di 6,4 miliardi di euro. Questa stima è stata effettuata prendendo come riferimento il costo medio del capitale che le imprese hanno dovuto sostenere per far fronte al relativo fabbisogno finanziario generato dai mancati pagamenti. Elaborando i dati trimestrali di Bankitalia, stimiamo pertanto che questo costo sia stato nel 2014 pari all’8,97% su base annua (in leggero calo rispetto al 9,10% nel 2013).
A questa grave situazione se ne aggiunge anche un’altra che potenzialmente sarebbe ancora più grave: se lo Stato italiano dovesse infatti adeguarsi alla direttiva europea sui pagamenti della Pa e riconoscesse ai creditori gli interessi di mora così come stabiliti a livello comunitario, le casse dello Stato sarebbero gravate da un esborso fino a 4,1 miliardi di euro.
Il fenomeno dei ritardi di pagamento della nostra PA assume dimensioni che non hanno pari rispetto ai nostri partner europei. Per pagare i suoi fornitori lo Stato italiano impiega 41 giorni in più della Spagna, 50 giorni in più del Portogallo, 82 giorni in più della Francia, 115 giorni in più della Germania e 120 giorni in più del Regno Unito.
Osserva Massimo Blasoni, presidente del Centro studi ImpresaLavoro: «Questi dati assumono ancor più rilevanza se ricordiamo – come attesta il report “European Payment 2015″ di Intrum Justitia – che il 38% delle nostre imprese si dichiara disposta a effettuare più assunzioni a fronte di un miglioramento significativo dei tempi di pagamento».