Burocrazia fiscale da record: ci costa un mese di lavoro
di Antonio Signorini – Il Giornale
Bocciati su tutti i fronti. In Italia si continuano a pagare troppe tasse. Come se non bastasse, chi fa il proprio dovere di contribuente è vessato da complicazioni varie che si traducono in ulteriori costi. Soprattutto per le imprese, ma anche per le famiglie. La terza edizione dell’Indice delle libertà fiscali di ImpresaLavoro non lascia intravedere nessuna inversione di tendenza. Il centro studi presieduto dall’imprenditore Massimo Blasoni compara 29 economie europee assegnando un punteggio ad ogni Paese su indicatori della Banca mondiale e di Eurostat che riguardano il fisco. L’Italia è all’ultimo posto con un punteggio di 40 su 100 che corrisponde a un’insufficienza piena e inappellabile. La fotografia, spiega Blasoni, «di un’Italia prigioniera delle tasse, ostile agli investimenti e allo sviluppo delle imprese».
Tra gli indicatori il numero medio di ore di lavoro necessarie per sbrigare le pratiche fiscali. In Italia sono 238, quasi trenta giornate lavorative passate tra le scartoffie del fisco. L’Indice ci piazza alle ultimissime posizioni. Se 10 è punteggio del Paese più virtuoso (l’Estonia con 50 ore), noi totalizziamo un 2. Ci sono paesi dove i contribuenti sono messi peggio di noi. Per lo più dell’Est oltre al Portogallo. Gli altri gruppi di testa dell’Europa sono tutti in posizioni migliori. Dalla Germania (218 ore) al Regno Unito (l 10 ore).
Capita che Paesi che si trovano nelle zone basse della classifica su un indicatore compensino con buone performance in altri. L’Italia si distingue per non avere nessun punteggio alto. Il numero di procedure fiscali è di 14 (punteggio 4 su 10), contro le 8 del Regno unito, le 9 della Germania. Sul tax rate che grava sulle imprese (48%), siamo sui livelli della Germania (48,9%), distanti da Lussemburgo (20,5%) ma anche dal Portogallo (39,8%), che evidentemente cerca di compensare svantaggi competitivi abbassando le tasse sulle imprese. Il punteggio dell’Italia sulla pressione fiscale complessiva è il più basso d’Europa: 17 su 30. Voto assegnato su quel 43,4% ufficiale che, come noto, non rappresenta la tassazione media ma il rapporto tra le entrate fiscali e il Pil. Una media che non considera l’evasione fiscale che in Italia resta altissima.
Nessun miglioramento in vista. L’indice sulla differenza della pressione fiscale (la comparazione è tra il 2010 e il 2015) ci assegna un due, giustificato da un aumento del 3,3%. Sotto di noi, Paesi che sono passati per le cure da cavallo delle Troika come Cipro (5,6%) e il Portogallo (3/1%). Nello stesso periodo in Irlanda la pressione fiscale è calata del 7,5%. In Germania dell’1,6%.
La pagella finale dell’Indice delle libertà fiscali ci vede all’ultimo posto, con 40 punti su 100. L’Irlanda – paradiso fiscale in Europa – ne totalizza 80. Primo grande paese europeo il Regno unito, con 59 punti. Le ex socialdemocrazie del Nord si sono ormai consolidate come economie liberali: 56 punti alla Svezia, 53 alla Danimarca e alla Finlandia. Esempio seguito dalla Spagna, 52 punti. Nelle zone basse la Francia, che totalizza 41 punti. La Germania 46. «Paghiamo una pletora di tasse e di tasse sulle tasse perché – commenta Blasoni – dopo aver subito il prelievo sul nostro reddito da lavoro, quando compriamo casa o depositiamo i nostri risparmi veniamo sottoposti a ulteriori gabelle. Occorre costruire un Paese fiscalmente meno vessato, pena il vanificarsi della già debole ripresa».