Carrello in crisi, dopo la carne addio le uova
Filippo Caleri – Il Tempo
Nella fase economica nella quale si è impantanata l’Italia non vale nemmeno più il detto: «Meglio un uovo oggi, che una gallina domani». Sì, a leggere con attenzione l’analisi della Coldiretti sui comportamenti degli italiani quando fanno la spesa. il dato sul consumo di albume e tuorlo, in calo del 3% nei primi sei mesi dell’anno, è uno di quei messaggi di malessere che arriva dalle famiglie italiane e che dovrebbero fare pensare chi ha in mano la responsabilità del Paese.
Negli anni scorsi, quelli che partono dalla grande crisi del 2008, infatti, l’indicatore della mutazione dei consumi era la terza settimana del mese. In quel momento si registrava statisticamente una diminuzione dell’acquisto di carne, e dunque di proteine animali nobili, e si intensificava quello di uova. La scarsezza di mezzi finanziari iniziava a impone la ricerca del surrogato. E siccome nel tuorlo ce ne sono comunque abbondanti e a un prezzo minore del filetto o delle semplice fettina, molti nuclei familiari impauriti e con l’idea di creare i primi argini alla recessione, hanno cambiato la lista della spesa nell’ultima parte del mese. Un riflesso condizionato di un Paese povero fino a 60 anni fa. Ora però dopo circa sei anni di crisi, di emorragia irreversibile di posti di lavoro e dunque dal complessivo impoverimento della classe media italiana, si comincia a intravedere un’ulteriore peggioramento delle attitudini di consumo degli italiani. Molti hanno, cioè, hanno eliminato o comunque ridotto anche il consumo di uova. Uno scricchiolio impercettibile che segnala il rischio di un autentico crollo.
Certo non si può creare una relazione diretta tra l’uovo e la guerra atomica come faceva in un memorabile sketch del film culto “Febbre da Cavallo” Gigi Proietti, ma nemmeno sottovalutare il fatto che le rinunce nel carrello della spesa un tempo potevano essere legate a stili di vita imposti dalla pubblicità, oggi non più. Sempre secondo l’analisi della Coldiretti, infatti, i consumi alimentari hanno toccato il fondo nel 2014 e sono tornati indietro di oltre 33 anni sui livelli minimi del 1981. Gli italiani nei primi anni della crisi hanno rinunciato soprattutto ad acquistare beni non essenziali, dall’abbigliamento alle calzature, ma poi hanno iniziato a tagliare anche sul cibo riducendo al minimo gli sprechi e orientandosi verso prodotti low cost. Nel primo semestre del 2014 il carrello della spesa degli italiani si è ulteriormente svuotato e pesa l’1,5% cento in meno rispetto allo steso periodo dell’anno precedente, secondo il dati Ismea/Gfk. Si accentua la flessione nel reparto dei lattiero-caseari (-5%),e l’ortofrutta (-2%), nonostante la generale riduzione dei prezzi. A cambiare è anche la qualità dei prodotti acquistati con un calo generalizzato (-0,5%) per tutte le forme di distribuzione alimentare tranne che per i discount, in crescita del 2,4% a maggio. Un segnale confermato dal fatto che più di otto italiani su dieci (81%) non buttano il cibo scaduto con una percentuale che è aumentata del 18% dall’inizio del 2014, secondo il rapporto 2014 di Waste watcher knowledge for Expo. Una leggera inversione di tendenza positiva è attesa per la seconda parte del 2014 perché – conclude la Coldiretti – sarà proprio la spesa alimentare, che rappresenta la seconda voce dei budget familiari, a beneficiare maggiormente del bonus di 80 euro al mese per alcune categorie di lavoratori dipendenti.
In attesa di tempi migliori anche quelli che hanno qualche disponibilità in più la tengono ben conservata in banca sotto forma di liquidità. Il valore di contanti e depositi bancari è aumentato di 234 miliardi di euro negli ultimi sette anni. Le consistenze sono passate dai 975 miliardi di euro del 2007 a 1.209 miliardi nel marzo 2014, con un incremento del 9,2% in termini reali. Lo dice il Censis che spiega come questo sia il risultato dell’incertezza, della paura e della cautela.