Deficit, dubbi della Ue sulle promesse italiane
Roberto Petrini – La Repubblica
«Tutto normale, contatti di routine», dice Pier Carlo Padoan in occasione dell’Eurogruppo. Mentre Renzi continua ad incrociare le spade con Juncker. Ma in realtà la questione che è emersa negli ultimi giorni sui conti pubblici italiani rischia di trasformarsi in una ennesima grana e acuire la tensioni tra Roma e Bruxelles. Le ultime valutazioni di autunno della Commissione, pubblicate martedì scorso, se guardate con attenzione, fanno emergere che il rafforzamento dell’ultima ora di 4,5 miliardi varato da Padoan il 27 ottobre in risposta ai rilievi dell’allora commissario agli Affari monetari Katainen, non è servito a molto. Il mega-assegno, pari allo 0,3 per cento del Pil, firmato dal nostro ministro dell’Economia, è stato considerato praticamente «a vuoto».
Come si ricorderà infatti il contrasto tra Roma e Bruxelles verteva sull’intervento sul deficit strutturale: l’Italia si era presentata con una correzione dello 0,1 per cento (1,5 miliardi) ma la Commissione voleva almeno lo 0,5 (circa 7,5 miliardi). Alla fine Renzi e Padoan dovettero cedere a Bruxelles chiudendo con un intervento dello 0,3 del Pil, i famosi 4,5 miliardi fatti con stretta all’evasione, fondi europei e rinuncia alla riduzione delle tasse. L’emendamento alla “Stabilità” è stato formalizzato ieri.
La «correzione», secondo le previsioni italiane, avrebbe dovuto ridurre il deficit-Pil strutturale, quello che conta ai fini del raggiungimento del pareggio di bilancio dopo la firma del Fiscal Compact: dallo 0,9 per cento contestato da Bruxelles si sarebbe scesi allo 0,6 per cento come cifrato dalla «Relazione di variazione alla nota di aggiornamento al Def» del 28 ottobre. L’intervento avrebbe avuto effetto anche sulla variabile tradizionale di Maastricht: dal 2,9 previsto in settembre al 2,6 post-rafforzamento stimato dal governo. Invece, con un certo stupore emerso tra i palazzi del governo, le previsioni della Commissione hanno ritenuto che l’intervento da 4,5 miliardi abbia avuto effetto sulla riduzione del deficit-Maastricht anche se la discesa viene cifrata al 2,7 (non al 2,6 come sperava il governo). Ma non ha avuto effetto sul deficit strutturale che dallo 0,9 proposto a settembre dall’Italia scenderà per Bruxelles solo dello 0,1 per cento del Pil attestandosi nel 2015 allo 0,8 (e non allo 0,6 come contava Roma).
Questa valutazione si abbatte sulla variabile cruciale che dobbiamo portare a zero nel 2017, dopo aver chiesto il rinvio di due anni del pareggio di bilancio, e anche il giudizio sulla legge di Stabilità potrebbe risentirne: segnali di strada in salita per Italia e Francia sono giunti ieri dal presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem che ha annunciato lo slittamento del verdetto a fine mese. Perché lo sforzo sul «3 per cento di Maastricht» non transita sul deficit «al netto della congiuntura del Fiscal compact»? Il tema è stato posto dal Tesoro italiano da settimane: è stato sollevato dal Cer, oggetto di osservazioni dell’Upb e di un articolo della voce.inf a firma Cottarelli (Fmi) e Giammusso (Tesoro). Il problema è di modelli economici: la Commissione pensa che l’Italia non abbia le potenzialità per crescere più di tanto e dunque, visto che il deficit viene depurato dalla mancata crescita rispetto a quella possibile, lo «sconto» si riduce. L’Italia invece la vede in modo diametralmente opposto.