Per il sostegno alla famiglia e alla natalità l’Italia spende risorse pari a solo l’1,4% del Pil: una cifra sensibilmente inferiore al 2,2% del Pil che i paesi dell’Unione a 27 e dell’Area Euro spendono in media a favore dei nuclei con figli a carico. È quanto emerge da un’indagine effettuata dal Centro studi ImpresaLavoro su elaborazione degli dati Eurostat 2012, gli ultimi disponibili. Tra i grandi paesi europei, peggio di noi fanno solo Portogallo (1,2%) e Olanda (1,1%) mentre il trend della spesa è opposto nel Regno Unito (1,9%), in Germania (3,2%), in Francia (2,6%) e addirittura in Grecia (1,6%).
Molto concretamente questo significa che ogni anno in Italia vengono stanziati e spesi per la famiglia 363 euro a cittadino. Una cifra in valore assoluto superiore a quella di Spagna, Grecia e Portogallo (dove però la vita costa sensibilmente di meno) ma nettamente inferiore a quella di tutti gli altri grandi paesi continentali. Tralasciando i paesi nordici e il Lussemburgo, che rappresentano eccezioni oggettive, non si può fare a meno di notare come in Germania la spesa pubblica a favore della famiglia sia tre volte superiore alla nostra: 1.049 euro a cittadino (686 in più dell’Italia). Meglio di noi fa anche la Francia con 792 euro pro capite (429 in più dell’Italia) e il Regno Unito con 569 euro pro capite (206 in più dell’Italia). Il nostro dato è sensibilmente inferiore sia rispetto a quello dell’Unione Europea a 27, dove la media è di 571 euro pro capite, che dei paesi che adottano la moneta unica dove in media si spendono per la famiglia 651 euro a cittadino.
Eppure l’Italia non spende per il welfare meno questi paesi: per la protezione sociale in genere, infatti, spendiamo un punto di Pil in più della Germania e siamo davanti a larga parte degli stati dell’Europa a 27. Nel 2013, la spesa per prestazioni sociali (che rappresenta circa il 96 per cento della spesa complessiva per protezione sociale) è stata dedicata per oltre la metà alla funzione “vecchiaia” (50,4%), mentre la parte rimanente si distribuisce tra “malattia/salute” (23,6%), “superstiti” (9,3%), “disoccupazione” (6,3%), “invalidità” (5,5%). Per la funzione “famiglia” si spende solo il 4,2% di quanto complessivamente stanziato per il welfare. Un dato che non ha pari tra i grandi paesi europei. Rispetto al 2007, sono in aumento le quote di spesa destinate alle funzioni “disoccupazione” (+1,9%) e “vecchiaia” (+1,0%), mentre registrano una diminuzione le quote per “famiglia”, “superstiti” e “invalidità” (-0,2%), e in particolare quella per “malattia/salute” (-2,3%).
Un aspetto non marginale nell’analisi delle politiche a favore di famiglia e natalità è quello relativo alla durata del periodo di maternità, inteso come quel periodo di tempo in cui alle madri è permessa l’astensione dal lavoro. Il confronto tra paesi non è sempre facile perché i singoli Stati optano un mix sempre diverso tra durata dell’astensione dal lavoro concessa e retribuzione economica garantita durante quel determinato periodo. Il Regno Unito, ad esempio, concede la possibilità di rimanere a casa, complessivamente, per un intero anno riconoscendo il 90% dello stipendio per le prime sei settimane di assenza, circa l’80% per le successive 32 settimane e permettendo di restare a casa ma senza stipendio per le ultime 12 settimane di maternità.
L’Italia si colloca perfettamente nella media europea e prevede 22 settimane complessive di maternità con una retribuzione garantita dell’80% dell’ultimo stipendio percepito. Altri paesi propendono per periodi di assenza più limitati, garantendo il 100% della retribuzione e spendendo più risorse per il sostegno alla famiglia e all’infanzia. È il caso della Germania, ad esempio, che prevede 14 settimane di maternità al 100% dello stipendio percepito, spendendo però tre volte quanto spende il nostro paese per il sostegno alle famiglie.