Il nazionalismo economico con gli occhiali del business
Il dibattito, o meglio il conflitto tra sovranisti e internazionalisti, colora in questo momento la politica europea. Ne colora anche gli affari? Nel business si dovrebbe guardare essenzialmente ai rendimenti e non al colore (nazionale o meno) di coloro coi quali si tratta. Si sono posti l’interrogativo, dandosi una prima risposta, tre economisti dell’Università di Dublino – Ronan Powell, Sarah Predergast e Ruchira Sharma – che hanno firmato un paper non ancora online ma che si può ottenere scrivendo a ronan.powell@ucd.ie. Il suo titolo è The Impact of Economic Nationalism in Europe on the Returns to Rival of Crossborde M&A Bids (L’impatto del nazionalismo economico in Europa sui rendimenti di offerte per fusioni ed acquisizioni attraverso frontiere).
Lo studio analizza l’effetto di ricchezza atteso del nazionalismo utilizzando un campione innovativo di offerte bloccate per operazioni di acquisizioni nei confronti di aziende dell’Unione Europea (UE) da parte di aziende non nell’UE nel periodo dal 1990 al 2013. L’accento è sui rendimenti anormali cumulatici (Cumulative Abnormal Returns, o CARs), sia al momento dell’annuncio dell’acquisizione sia al momento di eventuali interventi pubblici sia al momento della conclusione o meno dell’acquisizione. L’analisi conclude che esiste un effetto significativo al momento dell’annuncio dell’offerta di acquisizione, soprattutto quando si tratta di imprese rivali: in media 31 milioni di euro dopo avere controllato per altre determinanti. L’intervento pubblico comporta invece CARs negativi, ossia lo Stato farebbe bene a stare alla larga e non interferire per motivi nazionalistici o meno. Tali effetti negativi risultano più pronunciati quando l’impresa rivale è straniera. I CARs diventano ancora più negativi alla data della risoluzione dell’affare: una perdita in media di 23 milioni di euro. In breve, il nazionalismo economico ha un costo significativo.