Rimborsi Iva: in Italia si aspettano 2 anni e mezzo, in UK 10 giorni
Chiara Bussi – Il Sole 24 Ore
Due anni e mezzo. Tanto deve attendere, in media, un’impresa in Italia per avere il rimborso dei crediti Iva. Va un po’ meglio – un anno e mezzo – con la procedura semplificata, ma resta un’eternità se si pensa che in Gran Bretagna basta aspettare tra i 7 e i 10 giorni e in Germania appena una decina. Per la stessa operazione in Francia – secondo le stime fornite da Kpmg sui cinque big europei, frutto dell’esperienza sul campo – occorre invece in media un mese, mentre in Spagna l’attesa si dilata a sei. Un divario inaccettabile secondo la Commissione Ue, che nel settembre 2013 ha avviato una procedura di infrazione contro il nostro Paese con l’invio di una “lettera di contestazione”. Roma è fanalino di coda anche nel caso di un’impresa non registrata ai fini Iva nello Stato di rimborso: per il recupero deve aspettare, in media, un anno e mezzo. In questo caso la procedura più veloce è quella francese, dove in appena due mesi la pratica è chiusa.
Come si spiegano queste tempistiche così diverse? «I Paesi più virtuosi, come Gran Bretagna e Germania – sottolinea Davide Morabito, Associate Partner KStudio Associato (Kpmg) – hanno un’attività istruttoria molto rapida e snella, quasi automatica, e prevedono controlli successivi. Una peculiarità italiana è invece la necessità di presentare garanzie bancarie o fidejussioni di tre anni come condizione per ottenere il rimborso». Un ostacolo in più, rileva Morabito, soprattutto per le aziende in difficoltà, che per queste garanzie devono sostenere costi aggiuntivi.
Nel frattempo l’Italia è sotto procedura di infrazione da parte della Ue. «Le autorità italiane – spiegano da Bruxelles – ci hanno risposto e i contatti proseguono». Per chiudere il contenzioso il governo ha introdotto nell’attuazione della delega fiscale (ancora in elaborazione) uno snellimento delle regole. Occorrerà però vedere se, una volta approvate, soddisferanno la Commissione e riusciranno a evitare il “cartellino rosso”, con la messa in mora, seguita dal deferimento alla Corte di giustizia Ue. Le nuove regole puntano sulla semplificazione, innalzando da 5 a 15mila euro la soglia per ottenere i rimborsi senza adempimenti. Per alcune categorie di contribuenti sarà inoltre possibile richiedere il rimborso del credito oltre 15mila euro senza presentare garanzie, ma occorreranno il visto di conformità e le dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà. Queste misure, come ha dichiarato in sede di audizione parlamentare il direttore dell’agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, consentiranno lo sblocco di 22mila rimborsi. Sempre in sede di audizione, a fine luglio la semplificazione è stata definita «positiva e apprezzabile» dal presidente del Comitato tecnico per il fisco di Confindustria, Andrea Bolla, che ha però invitato a «ripensarne l’attuazione». Secondo Confindustria, infatti, la misura «non è in grado di incidere in modo significativo sul costo degli adempimenti di soggetti che vantano crediti di entità molto maggiore»: se da un lato si fa risparmiare alle imprese il costo della garanzia fideiussoria, dall’altro si sostituisce di fatto questo onere con un altro.
Sul fronte dei tempi l’Italia procede dunque a rilento, ma si cominciano a intravedere alcuni miglioramenti su quello delle erogazioni. Nel 2013, secondo i dati dell’agenzia delle Entrate, sono stati rimborsati 11,5 miliardi contro i 6,8 del 2012. Da gennaio all’inizio di settembre di quest’anno si è invece arrivati a quota 5 miliardi. Allargando il focus su 65 Paesi, si scopre che il sistema italiano è in buona compagnia. Secondo un recente studio di Kpmg, infatti, solo il 40% degli Stati restituisce l’Iva per i soggetti residenti in tempi ragionevoli (che non superano i 56 giorni) e con procedure efficienti. Di questo gruppo fanno parte undici Paesi della Ue tra cui, oltre alle già citate Gran Bretagna e Germania, anche Irlanda, Austria e Olanda. L’Italia si situa invece nel restante 60%, insieme a Francia, Grecia, Spagna e Portogallo. «Questa lentezza – conclude Morabito – è un grande ostacolo per le imprese e rischia di scoraggiare gli investimenti esteri. L’Iva è una componente fondamentale delle scelte strategiche delle multinazionali, perché ha un impatto diretto sul conto economico e diventa dunque un fattore di competitività».