Lo Stato che non paga ci è costato 6 miliardi
Davide Giacalone – Libero
Non ci saranno manovre autunnali, niente ulteriori tasse, il deficit rimarrà sotto il 3%, anche se il prodotto interno lordo non cresce. Matteo Renzi dixit. Come quando il prestigiatore annuncia che taglierà in due la formosa valletta, noi tutti sappiamo che c’è il trucco, ma restiamo in attesa di assistere al prodigio. Se riesce, l’applauso è meritato. Il numero precedente non è riuscito, nel team dei prestigiatori di prima c’è chi si trova, ora, sotto al palco e bofonchia malmostoso: c’è il trucco. Lo sappiamo, tutto sta a vedere come lo si maneggia. Che Stefano Fassina, già bocconiano, già responsabile economia del Pd, già viceministro all’economia, mastichi amaro, è comprensibile, ma dice cose interessanti. Ogni tanto vale la pena fare i conti con la realtà reale, sfuggendo ai frizzi dell’illusionismo.
Lascio da parte le sue considerazioni sulle “favole liberiste”. Potrei rispondere dandogli del marxista collettivista, ma servirebbe solo ad aumentare il già inquietante volume delle minchionerie. Non c’è liberismo, nel nostro presente, né selvaggio né addomesticato. Non c’è collettivismo nel nostro futuro. Siamo alle prese con un problema difficile, che in Italia diventa devastante. E scarseggiano idee all’altezza, la cui mancanza non si compensa affatto lanciando epiteti a casaccio. Fassina ha ragione: la spesa primaria corrente italiana è fra le più basse dell’eurozona, naturalmente in rapporto al pil. Questa verità, però, non serve a stabilire se va tagliata o meno (va tagliata), ma a capire la gravità del male che ci affligge. Difatti, posto che la spesa pubblica corrente è troppo alta in tutta Europa, tanto che è l’area meno capace di crescere e più impantanata, da noi è il costo del debito pubblico a renderla patologica. Fassina dice che la spesa primaria è bassa. Noi ripetiamo che gli avanzi primari italiani sono dei record mondiali. Stiamo dicendo la stessa cosa, ma entrambe i dati soccombono quando ci si mangia sei punti di pil in venti anni, più del doppio degli altri, per pagare il costo del debito.
Questo porta a conseguenze perniciose. Giusto ieri il centro studi “Impresa Lavoro” calcolava in 6.3 miliardi il costo annuo, per le imprese, dei mancati pagamenti dovuti dalla pubblica amministrazione. La cattiva spesa pubblica avvelena il tessuto produttivo, costituendo un vantaggio per le imprese di altri paesi. Indebolite le imprese diminuiscono ricchezza e lavoro, quindi i consumi, intorcinandosi nella spirale recessiva. E noi lì siamo.
Dice Fassina: la nostra spesa pubblica va radicalmente riqualificata e riallocata. Sottoscrivo, ma è ipocrita quando aggiunge: non tagliata. Stiamo giocando con le parole. Vuol dire: il monte complessivo della spesa non è troppo alto, ma si devono tagliare, con brutalità, le spese sbagliate e dirigere i soldi dove serve. E questa è politica. O quel che la politica dovrebbe essere. Convengo con Fassina che pensare alla spesa pubblica solo in termini di risparmi e sprechi è inutile moralismo. Ma casca sul punto decisivo: dove prendiamo i soldi necessari? Egli dice: dall’evasione fiscale che da noi è doppia della media europea. Verrebbe da dire: magari!
Presto saranno disillusi. Il governo medita che il ricalcolo del pil, secondo i nuovi criteri statistici europei, che includono l’economia nera, alleggerirà la posizione italiana. Il che fa scopa con la supposizione di Fassina: scopriremo nuove lande dell’avasione fiscale. Sbagliato: quel ricalcolo dimostrerà che la nostra economia, includendo il nero, s’avvantaggia meno, in assoluto e in percentuale, di quella tedesca. L’idea che l’Italia abbia il primato della disonestà è sbagliata. Manco quello. Giorni fa ragionavamo del contante: se l’Italia è il Paese europeo con più vincoli, inesistenti in Germania, è ragionevole supporre che il maggior nero non si trova da noi. Il ricalcolo lo dimostrerà. Basta attendere. Noi siamo primatisti in disfunzionalità, spesa pubblica sprecata, paura di cambiare e cambiamenti di mera apparenza.
E allora, dove troviamo i soldi per uscire dalla trappola? Se abbiamo la minore spesa primaria, il più alto avanzo primario, ma pur sempre una spesa complessiva altissima e un deficit che si comprime solo con il fisco, senza riuscirci, è segno che il nostro macro problema ha un nome: debito pubblico. Mostro che porta con sé una pressione fiscale da suicidio. Serve un serio piano di dismissioni patrimoniali e abbattimento del debito. Accanto: riforme del mercato interno, per rendere più facile dare e ricevere lavoro, senza pagare il pizzo alla spesa improduttiva. La strada c’è. E non importa un fico secco che la si chiami liberista o socialista. Conta che non sia il mero rimandare, fra un gioco di prestigio e l’altro. Che stufano e costano.