Un Pesc nei conti
Davide Giacalone – Libero
Per sapere come saranno sistemati i conti pubblici il ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, ha rimandato tutti a settembre, quando sarà presentato il Def (documento di economia e finanza). Per sapere quale sarà l’assetto dei vertici europei, quindi le nomine nella Commissione e nel Consiglio, è stato tutto rimandato a fine agosto. C’è un legame, fra questi due rinvii. E c’è un presagio di guai, per l’Italia.
Il governo ha negato e nega la necessità di una correzione dei conti. O, meglio, nega la “manovra”, un concetto che di suo non significa nulla, ma tradizionalmente è sinonimo di tasse. Bene. Solo che Padoan, riferendo in Parlamento, ha messo le mani avanti: confermiamo gli 80 euro anche per l’anno prossimo, confermiamo il taglio (minimale) del cuneo fiscale, ma la crescita del prodotto interno lordo è stata troppo bassa. Quindi i conti non tornano, tanto è vero che per il pagamento dei debiti verso fornitori privati ha detto che «verrà ulteriormente rafforzato», affermazione che cancella l’impegno preso da Matteo Renzi, secondo cui sarebbero dovuti essere totalmente saldati entro settembre. C’è dell’altro.
I tre pilastri dell’azione di governo, ovvero «più apertura al mercato, riforme strutturali e più investimenti», non solo sono piantati nel nulla, ma nessuno ha la benché minima probabilità di sortire effetti entro la fine dell’anno. Quindi, ancora una volta, i conti dovranno essere aggiustati. In quanto alle sollecitazioni provenienti dalla Commissione europea e dall’Ecofin, Padoan ha osservato che questi signori non tengono conto «delle minori spese pianificate, ma non ancora specificate nel dettaglio, e dei maggiori introiti attesi dalle privatizzazioni, in via di programmazione». Rileggetela, questa frase, perché è un capolavoro di evanescenza: a. i tagli sono nei conti, ma non si è ancora detto quanti, quali e come; b. gli introiti si riferiscono a privatizzazioni, che però non si sa neanche quali e quando; c. e, cosa assai grave, quei soldi sarebbero indirizzati a compensare il deficit anziché ad abbattere il debito. Quest’ultima è la via della perdizione, come una famiglia che vendesse la casa non per cancellare debiti che non riesce a pagare, ma per evitare di far scendere il proprio tenore di vita.
In queste condizioni il rapporto fra il governo italiano e le autorità europee diventa determinante, circa le modalità e i tempi per correggere i conti. Ed è qui che le cose si mettono male, per colpa nostra. E’ qui che entra il problema postosi con la richiesta di nomina in capo a Federica Mogherini. Premetto che non provo alcun piacere nel vedere il governo del mio Paese non ottenere quel che chiede, o trovare degli ostacoli. Premetto anche che non sono minimamente in grado di esprimere un giudizio sul nostro ministro degli esteri, perché, letteralmente, non so chi sia. Non ho idea di quale linea abbia in mente o di quali siano le sue capacità diplomatiche. Taluno ha osservato che anche Catherine Ashton era priva di esperienza, quando fu nominata altro rappresentante per gli affari esteri europei. Trovo che sia osservazione la più offensiva possibile, nei confronti di Mogherini, visti i risultati (e comunque falsa, perché era già stata commissaria al commercio). Esaurite le premesse, veniamo al punto: Renzi ha sostenuto che ciascun governo nomina chi gli pare e gli altri non si devono impicciare. Erroraccio.
Un misto d’arroganza e disperazione, condito da quel «almeno rispettateci». Ma pur sempre un erroraccio. Perché se Commissione e Consiglio sono da considerarsi abbozzi di governo europeo (al contrario del Consiglio dei ministri, dove, effettivamente, ciascun Paese manda il ministro che più gli aggrada), allora si può chiedere loro di tenere presenti considerazioni politiche generali, come equilibri di crescita e opportunità di riforme. Ma se, invece, sono la sommatoria dei delegati da ciascuno, allora il solo compito che possono ragionevolmente svolgere è quello della vicendevole guardiania sul rispetto dei trattati e dei vincoli. Il che ci uccide. Renzi ha battuto i pugni, come tante volte i beoti di ogni colore hanno auspicato, ma per ottenere quel che ci nuoce. Il tutto in cambio di un posto (Pesc) che non conta nulla, per il quale non s’è svolto alcun dibattito circa le politiche da seguirsi (i contenuti non dovevano venire prima dei nomi?), e che servirà da inutile bandierina. E lo scrivo con rammarico. Per il mio Paese e per i nostri conti che, infatti, hanno fatto dire a Padoan: «i margini sono stretti, non ci sono scorciatoie». E c’è poco da interpretare.