Non tentennare sui travet
Il Foglio
Gli stipendi degli statali resteranno bloccati anche nel 2015, ha annunciato ieri il governo, a causa delle scarse risorse. Considerato il pianeta a parte su cui hanno vissuto finora i 3,5 milioni di dipendenti della Pubblica amministrazione (non valutabili, non licenziabili, eccetera) rispetto agli altri 20 milioni di lavoratori, non sembra esattamente un dramma. Anzi, la scelta – trapelata nelle scorse settimane – avrebbe necessitato di essere rivendicata apertamente alla luce della situazione attuale. Allo stesso tempo, però, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha confermato che le linee guida della riforma della scuola partiranno con l’assunzione di 150 mila precari, un “piano straordinario” che prevede dal 2016 altre 40mila stabilizzazioni, in quel caso per concorso. Anzi, garantisce, “mai più senza concorso”. Se dunque il progetto verrà mantenuto entreranno in pianta stabile quasi 200mila docenti, senza che siano stati definiti gli organici necessari a formare gli studenti, in quali discipline, con quali obiettivi e costi: risposte che pure sono dovute ai contribuenti e alle famiglie.
Renzi non ha colpa delle centinaia di migliaia di precari che gravano sulla scuola, colpa che ricade sugli esecutivi precedenti. Tutti costretti a piegarsi alla ragione elettorale nonché ai vari tribunali amministrativi (quelli che si vorrebbe ridurre nel numero e nei poteri). In realtà queste imbarcate sono un segno della debolezza di chi le decide: nel 2007 anche Romano Prodi annunciò la stabilizzazione di 150 mila fra insegnanti e personale tecnico, progetto poi bloccato dal centrodestra tra ricorsi e sentenze della magistratura amministrativa. Forse, per nobilitare il bis, Renzi annuncia anche che le retribuzioni non aumenteranno più con gli automatismi ma con valutazioni di merito, che gli insegnanti saranno tenuti alla formazione continua, che entreranno i contributi privati, che si introdurranno le mini-borse di studio sul modello inglese. Giusto, ma allora si dovrebbe poter anche licenziare per demerito, gli istituti dovrebbero essere valutati anche in base ai risultati conseguiti nel rapporto con il mondo del lavoro. In altri termini, Renzi deve impegnarsi a far sì che la scuola italiana smetta di essere l’ammortizzatore sociale di insegnanti e personale, che garantisce il lavoro a chi ci sta dentro ma non a chi ci studia. In fondo non c’è molta differenza tra le infornate di precari, che piacciono alla sinistra, e i condoni contro i quali la stessa sinistra insorge.