Debito d’incoscienza
Davide Giacalone – Libero
L’impressione, pessima, è che non vi sia consapevolezza di quanto il problema del debito pubblico sia drammatico e di come il tempo a nostra disposizione si stia accorciando. Leggo le dichiarazioni di Matteo Renzi e trasecolo. Le divido in tre concetti, riportandone il testo: a. “non esiste nessuna operazione taglia debito”, nel senso che il governo non la sta né studiando né proponendo; b. “per risolvere il problema del debito dobbiamo tornare a crescere”; c. “se facciamo le riforme potremo avere più tempo per il rientro del debito”. Questa è una dottrina cieca, che porta alla rovina.
Ci siamo impegnati per anni nel dimostrare che la condizione del bilancio pubblico italiano non è compromessa. Che ci sono punti di forza. Che la voragine del debito può essere colmata, perché esistono vantaggi da sfruttare. Non ripeto il tutto, che i nostri lettori conoscono, o possono facilmente rintracciare. Ma il presupposto della riscossa è la consapevolezza. Quella che si mette in scena, invece, è l’Italia di Caporetto: arroganza, supponenza, incapacità dei comandi militari, totale ignoranza circa le forze in campo. Per arrivare all’Italia di Vittorio Veneto ci volle un trauma, costato fiumi di sangue. Ora che deve accadere? Con un governo che si propone di assumere 150mila dipendenti pubblici, nella scuola, strologando di riduzione delle tasse. E con che li si paga? So bene che la politica è anche propaganda. Che questo è uno dei succhi della democrazia. Ma quando la propaganda perde il senso della realtà è segno che il vuoto regna nella testa di chi parla.
Tra il 2001 e il 2004 il debito pubblico è costantemente sceso in rapporto al prodotto interno lordo, pur restando sopra la soglia patologica del 100% (dal 108,3 al 103,7). Frutto dei tanto vituperati tagli lineari e di una crescita ancora non cancellata dalla crisi del debito (prima privato e statunitense, poi sovrano ed europeo). Dal 2008 a oggi, dopo anni di tante tasse e pochi tagli, è costantemente cresciuto, passando dal 106,1 al 133%. Se la ricetta di Renzi consiste nel ridurre progressivamente quel rapporto, puntando sulla crescita del pil, posto che dobbiamo ancora vederla, l’Italia s’infila da suicida nel toboga del fiscal compact. Con questi ritmi ci mettiamo 30 anni per tornare ai livelli di produzione di prima della recessione, tempo che si allunga anche a causa degli oneri indotti dal debito. Che ogni hanno ci porta via circa 80 miliardi, divorando la sensazionale serie positiva degli avanzi primari, per i quali abbiamo un record mondiale. Con tale dottrina la riduzione del debito prende lo stesso passo, allungandosi nei decenni a venire.
Si può dire: ma neanche gli altri furono capaci di cose diverse. Vero. Non a caso si tratta di una classe dirigente fallimentare e fallita. Mi sfugge la ragione per cui ciò dovrebbe costituire un’attenuante, essendo un’aggravante. Per tale ragione, da anni, si riflette su modelli e sistemi diversi per operazioni straordinarie di abbattimento del debito, che sono la sola via praticabile. Senza entrare nei dettagli, tante altre volte illustrati: scambiare patrimonio pubblico contro abbattimento del debito. Molti sono colpevoli di non averlo saputo fare, ma ora Renzi lo esclude. Senza presentare alternative, che non ci sono.
Se faremo le riforme, però, avremo più tempo per rientrare dal debito. Questa è una dannazione, non una conquista. E’ la logica del galleggiamento, ma nella palta. A noi servono sia le riforme che l’abbattimento del debito. Le une funzioneranno meglio con il secondo. Le une al posto del secondo, invece, è solo svenamento. E di che riforme parliamo, poi, se nella scuola preferiamo l’occupazione alla formazione?
Renzi smentisce Padoan, sul punto delle privatizzazioni. Quando il ministro ha annunciato la cessione di un ulteriore 5% di Eni ed Enel, abbiamo obiettato: queste non sono privatizzazioni, ma vendite, e devono andare a riduzione del debito, non del deficit. Ma Renzi dice: quell’operazione non mi convince. Ma allora non tornano più i conti elaborati dal ministero dell’Economia. Il ministro, che svolge anche la funzione di garante dei nostri conti, ne esce demolito nella sua credibilità. E come si sostituisce, quel flusso di ricchezza, con la privatizzazione di Poste? E’ inimmaginabile nei conti del 2014.
Per dire di queste cose non basta non avere idee con cui risolvere i problemi, ci vuole anche inconsapevolezza dei problemi stessi. La cosa migliore che possa accadere, in tali condizioni, è che altri diluvi d’interviste correggano il tiro. Naturalmente dando la colpa a noi, che non siamo capaci di capire.