Le aziende cercano 30mila posti. Se sei straniero è più facile lavorare
Francesco De Dominicis – Libero
L’Italia dei paradossi. Con migliaia di posti di lavoro «vacanti», perché non ci sono figure professionali all’altezza, e l’occupazione sempre meno «tricolore». Sono gli effetti della crisi e pure di un Paese che non è capace di formare i giovani secondo le effettive esigenze delle aziende né di mettere gli imprenditori di offrire «posti» con condizioni allettanti (o almeno ragionevoli) agli italiani, spesso superati dagli stranieri, più portati ad accettare condizioni, mansioni e salari snobbate dai «locali». Tuttora in piena crisi e forse non ancora completamente fuori dalla più dura recessione della storia, l’Italia si mette davanti allo specchio e scopre di non essere capace di far lavorare i suoi cittadini. Una fotografia piena di ombre che viene fuori mettendo insieme i risultati di due recenti ricerche.
Quella del Centro studi ImpresaLavoro rivela che l’analisi dei tassi di occupazione degli stranieri in Europa ci consegna un dato davvero curioso: l’Italia è uno dei pochi paesi dell’Unione europea in cui gli stranieri sono occupati più e meglio dei cittadini nazionali. I dettagli: la Penisola sconta un basso tasso di attività tra i suoi cittadini residenti (59.5%), di circa 9 punti inferiore alla media europea. E il nostro Paese, come accennato, è uno dei pochi in grado di garantire agli stranieri residente un tasso di occupazione migliore (61,9%) di quello che riescono a far segnare i cittadini italiani. Il dato, peraltro, è in controtendenza con tutti i maggiori paesi Ue: confrontando il tasso di occupazione dei francesi (70,6%) e quello degli stranieri residenti in Francia (55,9%), si scopre che i locali sono in vantaggio del 4,7%; in Germania i tedeschi (78.7%) sono in vantaggio del 13,7% sugli stranieri (65,0%). E ancora: in Spagna i locali sono avanti del 6,7%, in Gran Bretagna del 5%, in Grecia del 3,1%. Insomma, o l’Italia è troppo generosa o qualcosa non va.
Che il motore sia inceppato, in ogni caso, lo dimostra pure la ricerca della Cgia di Mestre: su ben 29mila nuovi posti di lavoro, quasi 8.500 corrono il rischio di non essere coperti perché non reperibili sul mercato del lavoro. C’è da dire che si tratta di un dato, quest’ultimo, molto inferiore a quello riferito al 2009 che, in termini assoluti, era pari a quasi 17.600. In buona sostanza, negli ultimi sei anni i «lavoratori introvabili» sono pressoché dimezzati. Di là dal calo, gioco forza cagionato dalla bufera finanziaria e dalla crisi, esiste una lunga lista di professioni poco «coperte», dove la difficoltà di trovare personale è molto elevata: si tratta di analisti e progettisti di software, tecnici programmatori, ingegneri energetici e meccanici, tecnici della sicurezza sui lavoro ed esperti in applicazioni informatiche. In questi ultimi sei anni, secondo l’analisi Cgia che ha messo a confronto i dari di quest’anno con quelli riferibili all’inizio della crisi, c’è stata una profonda trasformazione del mercato del lavoro, sia per la domanda sia per l’offerta. La geografia delle professioni – e con essa anche la graduatoria dei lavoratori più difficili da reperire – è mutata profondamente. Se all’inizio della crisi non si trovava oltre la metà degli infermieri e ostetriche, dei falegnami e degli acconciatori, nel 2014 le professionalità più difficili da trovare (per numero o per caratteristiche personali o di competenza) risultano gli analisti e i progettisti di software (37,7%), i programmatori (31,2%), ingegneri energetici e meccanici (28,1%), i tecnici della sicurezza sul lavoro (27,7%) ed i tecnici esperti in applicazioni informatiche (27,/1%), figure con alta specializzazione e competenza.