Tutti i trucchi del fisco per spiare la nostra vita
Gian Maria De Francesco – Il Giornale
«Chi non ha nulla da nascondere non ha nulla da temere».Lo diceva anche George Orwell nel suo capolavoro “1984”. Il problema è che, quando la fantasia diventa realtà, l’essere esposti al controllo di un «altro»›, in grado di giudicare costantemente le nostre azioni e la nostra vita, è un incubo che rende ancor più insopportabile la nostra quotidianità. Eppure, in materia fiscale, lo Stato italiano si è dotato di una strumentazione tale da far impallidire anche il Grande Fratello di orwelliana memoria. Ogni momento della nostra vita, dal 2015 (e quindi con 31 anni di ritardo rispetto alle previsioni) può essere passato al setaccio. Non che si tratti di un controllo tipo l’agente della Stasi protagonista de “Le vite degli altri”, ma gli assomiglia molto. A voler essere meno enfatici, si può tranquillamente affermare che dallo scorso primo gennaio il cittadino italiano medio è sottoposto allo stesso «trattamento» di un qualsiasi imprenditore o commerciante, cioè a uno studio di settore onnipervasivo che misura se le sue entrate e il suo tenore di vita siano «congrui», cioè se non vi sia qualche risorsa segreta che viene sottratta al fisco, una discrepanza nascosta, un lato oscuro junghiano. Merito della Legge di Stabilità che consente ai funzionari dell’Agenzia delle Entrate di poter incrociare i dati di 128 banche dati pubbliche e verificare eventuali «anomalie» tra spese effettuate e reddito dichiarato. Mentre questo tipo di controlli, fino all’anno scorso, era riservato a soggetti a rischio-evasione, dal 2015 siamo tutti sulla stessa barca.
Ma quali sono queste 128 banche dati? C’è di tutto e di più: l’anagrafe dei Comuni, il catasto, il Pubblico registro automobilistico, gli archivi dell’Inps (non solo le assunzioni di dipendenti per le aziende ma anche quelle di colf e badanti), le Scia (segnalazioni certificate di inizio attività, di prammatica per le ristrutturazioni), i verbali delle ispezioni della Guardia di Finanza e così via. Ma la parte più importante è l’accesso ai nostri conti correnti. Non che l’Agenzia delle Entrate non potesse monitorare già da prima i nostri movimenti: il Sistema interscambio dati varato nel 2013 obbliga le banche a trasmettere i saldi all’inizio e alla fine dell’anno solare. Ora, anche la giacenza media dovrebbe essere oggetto di indagine e se si discosterà in modo significativo da quelle che sono le evidenze dei nostri 730, partiranno i controlli. Soprattutto se le nostre spese sono tracciabili (con assegni e carte di credito) e inducono a ritenere che il nostro tenore di vita sia superiore a quello che potremmo permetterci. Facciamo due esempi molto pratici.
Basta prendere l’ultima circolare dell’Agenzia delle Entrate. Si chiede agli intermediari finanziari, cioè alle banche, di fornire i dati sugli interessi passivi applicati ai contratti di mutuo, cioè la spesa che, per quanto riguarda la prima casa, si porta in deduzione dal 730, cioè si sottrae alla nostra base imponibile. Nel file che gli istituti di credito sono tenuti a inviare ci sono le generalità del contribuente, l’importo del mutuo, il numero di rate pagate e l’ubicazione dell’immobile. Se vi fosse qualche incongruenza, le Entrate possono benissimo guardare il catasto giacché l’Agenzia del Territorio è stata accorpata nell’ente guidato da Rossella Orlandi, A questo punto, se sbaglieremo la nostra dichiarazione o se vorremo cambiare qualcosa nel 730 precompilato che da quest’anno arriverà a casa potrebbe iniziare anche per noi la via Crucis che commercianti e professionisti conoscono molto bene. A quel punto nulla vieta di verificare, in base al prestito della banca, se il prezzo pagato per la casa sia corrispondente al valore di mercato e se effettivamente una tale spesa fosse alla nostra portata. Se troppo basso, si potrebbe ipotizzare che fosse da ristrutturare. Ma abbiamo portato in detrazione quelle spese? E se non è stato fatto, è perché qualcosa è stata pagata in nero? E se, invece, fosse stata la compravendita ad avere qualche lato oscuro? Sono domande che si pongono in linea teorica: l’Agenzia delle Entrate non ha personale a sufficienza per passare al setaccio tutti questi minimi dettagli, ma è chiaro che se il sistema segnalasse potenziali anomalie, allora potrebbero essere dolori.
È un po’ quello che succede con i famigerati controlli a tappeto della Guardia di Finanza. Ipotizziamo che un cittadino alla guida di un bel Suv venga fermato a un posto di blocco: patente, libretto e carta d’identità. I solerti finanzieri inviano i dati alla loro centrale operativa e all’Agenzia delle Entrate. A quel punto, se il proprietario risulta aver dichiarato un reddito di qualche decina di migliaia di euro, saranno lacrime e stridore di denti. Idem per i mezzi di lusso che risultano proprietà di aziende: la Finanza controlla il reddito dell’impresa. Se la vettura è intestata a un parente o a un amico, il controllo viene eseguito sul reddito dei proprietari. Motivo per il quale negli anni scorsi molti benestanti hanno rinunciato al «macchinone» per non avere seccature. E pensare che questa innovazione avrebbe pure uno scopo nobile: evitare che si acceda in maniera fraudolenta alle prestazioni sociali che prevedono diverse tariffe a seconda delle fasce di reddito, come l’iscrizione all’asilo o la retta universitaria, se l’indice di situazione economica equivalente – Isee – della propria famiglia è basso. Il fatto è che la politica fiscale di Matteo Renzi è tutta impostata sulle teorie dell’ex ministro Vincenzo Visco (lo ricordate? Pubblicò su internet i redditi degli italiani), l’uomo per il quale tutti sono evasori. E contro l’evasione per Visco & C. non c’è che un rimedio: il terrore.
Il futuro è fatto di monitoraggi. Così come nei sogni dell’ex ministro che si tramuteranno nei nostri incubi. Anche quelle che il governo sta presentando come «rivoluzioni» non sono che trappole mortali per la nostra libertà. Prendete l’abolizione dello scontrino fiscale. Che c’entra con il Grande Fratello? Centra, c’entra. Prossimamente non ci sarà più bisogno di quel pezzettino di carta: le transazioni saranno inviate direttamente all’Agenzia delle Entrate che ne terrà conto per le nostre dichiarazioni precompilate. Ad esempio, se stiamo acquistando un farmaco,non ci sarà bisogno di portare con sé il tesserino sanitario perché, se paghiamo con il bancomat, l’Agenzia delle Entrate risale a noi e detrae la spesa dal nostro 730. Ecco, il trucco è tutto lì: disincentivare l’uso del contante e tracciare tutte le transazioni economiche.
Eppure c’è chi non si sorprende di questo cambiamento. «Per i funzionari dell’Agenzia non cambierà assolutamente nulla», spiega Sebastiano Callipo, segretario generale di Confsal-Salfi, il principale sindacato dei dipendenti delle Entrate. «Lo scopo è aumentare l’autotassazione – aggiunge – facendo capire, con il sorriso, al contribuente che sappiamo tutto di lui e oltre un certo limite di evasione non può andare, ma questo schema non funziona con un sistema fiscale che finisce con l’accanirsi su lavoratori dipendenti e pensionati». Il sospetto che, in realtà, dietro tutte queste innovazioni ci sia solo la volontà di aumentare il gettito diventa così una certezza. «La verità – afferma Callipo – è che lo Stato vuole dalle Entrate più di 20 miliardi e dobbiamo trovarli. Per questo motivo, ci sta trasformando da controllori in consulenti fiscali che devono spiegare ai cittadini che è bene dichiarare più tasse».