La privatizzazione “sicula” del sale
Davide Giacalone – Libero
La Sicilia è terra di sale. Ma non nella zucca di chi l’amministra. Quella che segue è la storia brutta di come quel che si sarebbe dovuto privatizzare, la Italkali, si rischia di perderlo, incassando 3 milioni al posto di 20. Sembra la trasposizione demenziale di una poesia (L’omu di sali) di Renzino Barbera: «Sali, poi sali e poi sali / E sulu muntagni di sali / (…)/ di picciuli… un pizzicu sulu». La Italkali gestisce l’estrazione e la commercializzazione del sale minerale siciliano. Ogni anno totalizza ricavi per 90 milioni. Le azioni sono intestate in maggioranza (51%) alla Regione siciliana e per la rimanente parte a un socio privato. Nel 1999, come riporta il giornale online Live Sicilia, se ne decide, saggiamente, la dismissione. Non c’è ragione per cui la Regione debba fare quel mestiere. Ce ne sono molte per privatizzare. Ma vendere non deve significare regalare, come, invece, sta accadendo. Capita, difatti, che il processo di vendita, avviato allora, non è mai stato portato a compimento.
Si fece tura gara per scegliere l’advisor, e la vinse Meliorbanca. ll lavoro di valutazione e vendita s’interrompe più volte, tanto: che fretta c’è? Ma dal 2012 sembra essere in dirittura finale. Solo che, a novembre, Rosario Crocetta è eletto presidente della Regione, promettendo una stagione di radicali rinnovamenti e, manco a dirlo, di trionfi antimaliosi. Invece si ferma tutto. Siccome corre l’anno 2015, e sono scaduti tutti i tennini di legge, il socio privato sostiene che quello pubblico è “decaduto”, quindi può essere liquidato al valore nominale delle azioni che ancora gli sono intestate.
Con una perdita, per l’erario siculo, di poco meno del 90% del valore. Mettiamo pure, per benevola concessione logica, che tutto questo si debba a semplice incuria, inettitudine e dimenticanza. Mettiamolo pure. Se ne dedurrebbe che la corruzione è assai più conveniente della scimunitaggine. Che se la cosa fosse stato un affare losco si sarebbe potuto immaginare di pagare un prezzo corruttivo, che so?, fino al 10%. Mentre ora il 10% è il totale dell’incasso. Morale immorale, ovviamente, ma pur sempre meno irrazionale di quel che accade.
La cosa è talmente macroscopica che pure da dentro il Partito democratico si levano voci di aperto dissenso, con Antonello Cracolici (vecchio giovane comunista isolano), consigliere regionale (anzi no, scusate, in Trinacria si chiamano “onorevoli”), che presenta un’interrogazione per bloccare la “svendita”. Che, però, manco una svendita è: trattasi di regalo. Prova a sostenere: l’avvio della vendita non aveva valore, i termini previsti dalla legge nazionale non si applicano in Sicilia, che è autonoma, e, comunque, vanno intesi come ordinatori, cioè privi di valore effettivo. E si tonra a Barbera: «Restu tra ‘u suli e lu sali». E ci resto all’infinito. Dice Cracolici: sono favorevole alle dismissioni, ma al valore reale, di mercato, dando íl diritto di prelazione al socio privato, ma mica facendosi scippare. Giusto. Ma si cominciò nel secolo scorso.
La cosa curiosa è che la notizia è rimbalzata anche sui quotidiani nazionali, senza che mai si capisse come fa un socio a “decadere”. Il dettaglio è che se effettivamente decade, e a quelle condizioni, il danno erariale imputabile ai decadenti è dato dalla differenza fra il valore e il liquidabile. Frai 16 e i 17 milioni. Come se abbondassero, in quelle casse. Alla prossima manifestazione di precari da blandire e prendere in giro, provino a spiegare loro perché i soldi si buttano dalla finestra. Con in cortile, a raccoglierli, tutto fuorché un bisognoso. Storie di ordinaria follia, nell’isola disperata e dimentica di sé. Dove in cima ai cortei contro il pizzo ci stanno quelli che prendono il pizzo. A guidare quelli contro la mafia, ci stanno quelli che avversarono Borsellino e Falcone. A capeggiare gli industriali contro l’onorata società ci sono quelli inquisiti per connivenza con i disonorati associati. E nessuno s’azzardi a citare Pirandello, o l’abusato Gattopardo (Tomasi di Lampedusa), perché queste non sono storie di verità indistinguibili o di cambiamenti conservativi. Qui è la principessa incapacità che convola a nozze con il re Furto. Semmai, ancora Barbera; «Chi vita scipita, ‘nto sale».