Le minacce di una “nuova guerra fredda”
Giuseppe Pennisi – Formiche Oeconomicus
Ci sono segni di miglioramento dell’economia internazionale, una cui ripresa potrebbe far da traino al continente vecchio e soprattutto alla malconcia eurozona. A fine marzo una conferenza internazionale a Sendal, la città più vicina all’epicentro del terremoto che devastò il Giappone nel 2011, ha portato ad un’intesa su parametri ambientali per ridurre i rischi di disastro più realistici (e più fattibili) di quelli di Kyoto. In settembre, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite verrà dedicata alo sviluppo; le diplomazie stanno negoziando Sustainable Development Goals più concreto dei Millennium Development Goals definiti nel 2000. Prima di allora, in luglio, ad Addis Ababa un assise di organismi internazionali e di grandi banche esaminerà come mobilizzare risparmi e flussi privati di capitale per lo sviluppo. In dicembre, infine, a Parigi dovrebbe venire firmato un nuovo trattato sui cambiamenti climatici. Anche se gli obiettivi di queste riunioni rischiano di accavallarsi, se ben gestite , potranno contribuire ad un nuovo percorso di sviluppo. E potrebbero anche essere la premessa per più vasti accordi in materia monetaria e finanziaria. Non si pensi ad una Nuova Bretton Woods , il miraggio lanciato una decina di anni fa. Ma se i temi a più vasto raggio di ambiente e sviluppo verranno incanalati verso targets realisti tramite percorsi concreti, si potrebbero aprire più facilmente negoziati tra grandi mercati comuni ed eventualmente grandi accordi monetari in gestazione su base geografica.
Questo quadro sostanzialmente ottimista non tiene però conto del riaccendersi (e riscaldarsi) di una nuova guerra fredda di cui quasi ogni giorno si vedono i segnali. In un primo momento, il tema sembrava che restasse nei confini dei contrasti tra Stati emersi dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche di un tempo. Le stesse cruenti vicende dell’Ucraina sono parse liti tra ex-amanti non più nello stesso letto. Tuttavia, i nodi che riguardano le forniture di oli minerali (principalmente gas) all’Unione Europea tramite l’Ucraina mostrano come le ramificazioni siano molto più vaste e più profonde. Si è sorriso quando la Repubblica di Cipro, travolta da una crisi bancaria senza precedenti, si è rivolta a Mosca: sembra il ruggito del topo per ricordare il titolo di un film d’epoca di satira politica. Molto più preoccupante, l’abbraccio con Mosca del Presidente del Consiglio Greco Alexis Tsipras quando il negoziato con la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea ed il Fondo Monetario Internazionale sembrava sull’orlo del fallimento. Preoccupanti anche se poco notate al di fuori della Norvegia le manovre militare russe al circolo polare artico su cui Mosca considera di avere privilegi. Per non parlare delle tensioni tra le vaste regioni russe in Asia ed i Paesi confinanti.
Dato che gli obiettivi di una rubrica mensile sono quelli di andare al di là del contingente e del congiunturale, vale la pena chiedersi se una nuova guerra fredda potrebbe avere effetti sull’economia internazionale. Da un lato la Russia di oggi è un Paese in cui l’aspettativa di vita alla nascita diminuisce, l’industria (tranne quella militare) è obsoleta, le generazioni più giovani sono allo sbando, e attorno al Cremlino sono in corso lotte di potere di cui è difficile anche solo azzardare un percorso. Da un altro, gode di enormi risorse naturali, specialmente in campo energetico, e può diventare una polveriera.
Lo sanno bene non solo in Norvegia ma anche nei Länder tedeschi più prossimi al confine con la Federazione Russia dove – lo mostrano eloquentemente film che non trovano distributori italiani – il timore dell’immigrazione dall’Est sta provocando , tra le giovani generazioni, aggregazioni di tipo nazista. Non certo una buona promessa. Né per la politica né per l’economia.