Lo scorso anno la Rai ha avuto ricavi per 2.556 milioni, parte derivanti da introiti pubblicitari e parte dal canone. Un bilancio sostanzialmente in pari che però evidenza enormi inefficienze compensate da quella tassa ineludibile che è il canone, obbligatorio anche per chi acquistata la televisione non voglia guardare i canali della tv pubblica. La Rai lo pubblicizza come fosse un abbonamento, addirittura promuove giochi a premi per incentivarlo. In realtà è una tassa di possesso che, come ha stabilito la Cassazione, va pagata anche da chi voglia limitarsi a guardare centinaia di altri canali privati. Se il televisore è un apparecchio adatto a ricevere trasmissioni di chiunque (pubblico o privato che sia) abbia titolo a metterle in onda, allora quell’imposta concettualmente dovrebbe essere divisa tra tutti soggetti abilitati. Così non è, e l’opinione diffusa che la controprestazione del canone non sia un servizio (pubblico) diverso da quello erogato dagli altri operatori privati rende questa imposta anacronistica tanto invisa quanto evasa. Il governo Renzi ha però annunciato di voler imporre il suo pagamento nella bolletta elettrica, prefigurando uno scempio fiscale: l’inserimento di una tassa nella contabilità di una tariffa.