Col Tfr in busta pensioni giù fino al 22%
Fosca Bincher – Libero
Cedere alla proposta di Matteo Renzi e aderire alla proposta sul “Tfr nello stipendio” potrebbe mettere a rischio e non di poco quella pensione integrativa che faticosamente si è tentato di fare mettere da parte in questi anni. La certezza di vedere diminuire l’assegno c’è per tutti: alla fine dei conteggi mancheranno quei versamenti a cui si rinuncia ora per incassare subito (facendosi per altro tassare di più quella somma). Ma il taglio sarà tanto maggiore quanto più vicini alla pensione si è ora. A segnalarlo, una simulazione ancora una volta assai preziosa fatta dalla Fondazione studi dei Consulenti del Lavoro: farsi ingolosire dalla sirena di Renzi potrebbe costare fra l’8 e il 22% dell’assegno mensile di previdenza integrativa che si percepirà quando si potrà andare in pensione.
Proprio la percentuale più alta chiarisce bene un punto chiave: quella possibilità di ottenere il Tfr in busta paga non è un dono fatto dal governo ai contribuenti italiani, ma la proposta di un prestito dietro cessione di un quinto dello stipendio e con grande lucro da parte dello Stato, che incassa un bell’interesse sull’operazione attraverso la maggiore imposizione fiscale. Per il contribuente italiano è più svantaggioso però di un normale prestito ottenuto da qualsiasi banca o finanziaria: perché in quel caso la cessione del quinto dello stipendio sarà limitata al raggiungimento della somma chiesta in anticipo più i relativi interessi. Nel caso proposto da Renzi sul Tfr la cessione del quinto (o del decimo nei casi più lievi) della pensione integrativa futura varrà tutta la vita, e quasi sempre supererà ampiamente il vantaggio economico che ora si percepisce.
Sono tre le simulazioni fatte dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro: quella di un giovane di 33 anni entrato nel mondo del lavoro nel 2007, aderendo fin dal primo giorno al sistema di previdenza integrativa con accantonamento del proprio Tfr. Il secondo caso è invece quello di un lavoratore di 43 anni assunto nel 1997 che versa il proprio Tfr alla pensione integrativa dal 2007. Terzo caso, quello di un lavoratore sessantenne, più vicino all’età della pensione: assunto la prima volta nel 1980, versa anche lui il Tfr alla pensione integrativa dal 2007. Aderendo alla proposta Renzi tutti e tre avranno tagliato per i mancati versamenti fra il 2015 e il 2018 la propria pensione integrativa.
Sarà un escalation: quel lavoratore assunto nel 2007 perderà il giorno in cui andrà in pensione l’8% del proprio assegno di pensione integrativa. E lo perderà dal giorno in cui lo percepirà fino al giorno in cui chiederà gli occhi. Quindi per 20-30 anni a seconda della lunghezza della propria vita. In valore assoluto ovviamente l’erosione dell’assegno futuro dipenderà dalla retribuzione oggi percepita: il danno va da 481,12 euro su 17 mila lordi di stipendio a 2.886,73 euro circa su 100 mila euro di stipendio.
Secondo caso: età 43 anni e ingresso nel mondo del lavoro datato 1997. Aderendo oggi alla proposta Renzi sul Tfr, l’assegno di pensione integrativa verrà tagliato dell’11% per tutta la vita. Anche in questo caso sono state ipotizzate tre fasce di reddito attuale, e in valore assoluto la diminuzione della pensione integrativa andrà da 386,95 a 2.321,69 euro l’anno (con fasce di reddito fra 17 e 100 mila euro lordi annui).
Terzo caso, quello del sessantenne che ha iniziato a lavorare nel 1980. Per lui scegliendo proprio alla vigilia della pensione il Tfr in busta paga, la perdita percentuale sull’assegno di pensione integrativa sarà la più alta: -22% dell’importo. In valore assoluto si oscilla sugli stessi redditi ipotizzati per gli altri fra 242 e 1.452 euro (in valore assoluto più si è anziani più si abbassa l’importo di pensione integrativa a cui si ha diritto, perché i versamenti sono iniziati solo a fine carriera, nel 2007).
I danni sono dunque rilevanti, ed è giusto che la scelta venga fatta con tutti i calcoli su vantaggi e svantaggi. Anche se è chiaro fin da ora che chiunque aderisca alla proposta Renzi perderà comunque soldi. Ne perderanno rispetto ad ora ovviamente anche le gestioni dei fondi pensione (che però recupereranno in futuro i danni sul vitalizio del lavoratore), mentre il solo ad avere vantaggi economici sarà lo Stato, che con questa proposta incasserà più tasse di prima. E non poche. Il solo vantaggio del lavoratore è avere a disposizione un po’ di liquidità in più che pagherà molto cara. Se proprio c’è bisogno di quei soldi, forse è più conveniente un prestito tradizionale in banca.