L’Italia non è un Paese per imprenditori, nonostante la confermata vocazione all’imprenditorialità dei suoi abitanti. Lo conferma la ricerca che il Centro Studi “ImpresaLavoro” ha effettuato elaborando i dati raccolti nell’ultimo Global Entrepreneurship Monitor (GEM), il monitoraggio dello stato dell’imprenditoria nelle principali economie avanzate che a partire dal 1999 viene condotto ogni anno sotto la guida della London Business School and Babson College. Si tratta di un’analisi puntuale effettuata da quasi un centinaio di Istituti di ricerca e che riesce a mappare il comportamento e le condizioni in cui agiscono gli imprenditori con riferimento al 75% della popolazione e all’89% del prodotto interno mondiale. L’analisi e l’aggregazione dei 19 indicatori misurati da GEM ha permesso a Centro Studi “ImpresaLavoro” di elaborare un suo “Indice dell’Imprenditorialità” che analizza lo stato dell’imprenditorialità nei 23 principali paesi dell’Europa a 28. Ne esce purtroppo un quadro a tinte fosche: nel 2013 l’Italia è il fanalino di coda della classifica europea e perde il confronto con tutti i principali competitor: Irlanda (settima), Portogallo (decimo), Gran Bretagna (16esima), Germania (18esima), Spagna (19esima), Grecia (20esima) e Francia (21esima). L’indice misura il dinamismo e la propensione a fare impresa di ogni singolo paese, premiando quei territori in cui gli imprenditori percepiscono migliori possibilità nell’intraprendere e ottengono migliori risultati. Svettano economie in grande crescita come Lettonia, Lituania o Polonia ma fanno segnare ottime performance anche paesi con economie mature quali Olanda, Portogallo o Irlanda.
Ecco di seguito la situazione italiana nel contesto europeo misurata sulla base di alcuni dei 19 indicatori misurati da GEM.
PERCENTUALE NUOVI IMPRENDITORI
Questo indicatore misura la percentuale dei soggetti dai 18 ai 64 anni che sono nuovi imprenditori, vale a dire che sono coinvolti nella fondazione di un nuove imprese dei quali saranno proprietari o co-proprietari; i titolari di queste imprese non pagano salari, stipendi o altre forme di retribuzione da più di tre mesi. Nel 2013 il nostro Paese si è collocato al 23esimo della classifica europea col 2,4%, perdendo il confronto con tutti i principali competitor: Irlanda (al 10esimo posto col 5,5%), Portogallo (al 14esimo posto col 4,2%), Gran Bretagna (al 16esimo posto col 3,6%), Grecia (al 17esimo posto col 3,3%), Germania (al 19esimo posto col 3,1%), Spagna (al 20esimo posto col 3,1%) e Francia (al 22esimo posto col 2,7%).
INTENZIONE DI FARE IMPRESA
Questo indicatore misura la percentuale dei soggetti dai 18 ai 64 anni (esclusi gli individui coinvolti in qualsiasi fase di un’attività imprenditoriale) che intendono avviare un’impresa nei prossimi tre anni. Nel 2013 il nostro Paese si è collocato al 15esimo posto della classifica europea col 9,8%, vincendo il confronto con diversi principali competitor: Grecia (al 18esimo posto coll’8,8%), Spagna (al 19esimo posto coll’8,4%), Gran Bretagna (al 22esimo posto col 7,2%) e Germania (al 23esimo posto col 6,8%). Meglio dell’Italia sono riusciti a fare solo Portogallo (all’11esimo posto con 13,2%) nonché Francia e Irlanda (entrambe al 12esimo posto col 12,6%).
OPPORTUNITA’ PERCEPITE
Questo indicatore misura la percentuale dei soggetti dai 18 ai 64 anni che vedono buone opportunità di avviamento di un’impresa nell’area nella quale vivono. Nel 2013 il nostro Paese si è collocato al 19esimo posto della classifica europea col 17%, perdendo il confronto con quasi tutti i principali competitor: Gran Bretagna (al quinto posto col 36%), Germania (al nono posto col 31%), Irlanda (al 12esimo posto col 28%) e Francia (al 15esimo posto col 23%) e Portogallo (al 16esimo posto col 20%). Peggio dell’Italia sono riusciti a fare solo Spagna (al 22esimo posto col 16%) e Grecia (al 23esimo posto col 14%).
ASPETTATIVE DI CRESCITA
Questo indicatore misura la percentuale delle nuove attività imprenditoriali che si aspettano di assumere almeno 5 impiegati nei prossimo 5 anni. Nel 2013 il nostro Paese si colloca al 22esimo posto della classifica europea col 12%, perdendo il confronto con quasi tutti i principali competitor: Irlanda (al quinto posto col 35%), Portogallo (al 12esimo posto col 27%), Gran Bretagna (al 13esimo posto col 24%), Germania (al 14esimo posto col 22%), Francia (al 17esimo posto col 21%) e Spagna (al 20esimo posto col 15%). Peggio dell’Italia fa solo la Grecia, collocandosi al 23esimo posto coll’8%.
TASSO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE
Questo indicatore misura la percentuale delle nuove attività imprenditoriali che dichiarano che almeno il 25% dei clienti viene da un Paese estero. Nel 2013 il nostro Paese si è collocato, a pari merito con la Gran Bretagna, al 15esimo posto della classifica europea col 17%, vincendo il confronto con diversi principali competitor: Germania (al 18esimo posto col 15%), Grecia (al 21esimo posto col 13%) e Spagna (al 23esimo posto col 9%). Meglio dell’Italia sono riusciti a fare solo Portogallo (al quinto posto col 30%) e Francia (al 14esimo posto col 19%).
«L’elaborazione degli indicatori relativi allo stato dell’imprenditoria in Italia ci consegnano un quadro abbastanza chiaro» osserva Massimo Blasoni, presidente di “ImpresaLavoro”. «Nonostante gli italiani abbiano, più o meno, la stessa voglia di intraprendere dei colleghi delle principali economie avanzate europee, difficilmente riescono a dar seguito ad iniziative di successo. L’ambiente in cui sono chiamati a muoversi è infatti particolarmente penalizzante rispetto a quello dei competitor europei in tema di tasse, regole, burocrazia. Concretamente questo si traduce in un bassissimo tasso di nuove imprese (siamo ultimi in Europa) e in un dato preoccupante sul fronte occupazionale: solo la Grecia fa peggio di noi in quanto a imprese che hanno intenzione di ampliare la propria base occupazionale nei prossimi cinque anni. In queste settimane – conclude Blasoni – si è a lungo parlato di lavoro: il tema delle regole è certamente importante ma dobbiamo affrontare anche il tema della produzione di posti di lavoro da parte delle imprese. Se non nascono nuove imprese e se quelle esistenti non si sviluppano, rischia di rivelarsi inutile anche un’eventuale semplificazione delle regole: questo indice ci dice con chiarezza che per rimettere in moto il paese occorre rimettere in moto il nostro tessuto imprenditoriale».