Italia inferno fiscale
Carlo Lottieri – Il Giornale
Che l’Italia non fosse un paradiso fiscale era chiaro a tutti da tempo. Ora, una ricerca del centro studi ImpresaLavoro (un think tank di recente costituzione presieduto da Massimo Blasoni) giunge addirittura alla conclusione che il nostro Paese sarebbe la maglia nera in Europa: un autentico inferno fiscale che disincentiva a risparmiare, lavorare, investire.
Frutto dell’elaborazione di indagini appositamente condotte da studiosi (o gruppi di studiosi) di dieci Paesi, la ricerca ha esaminato il sistema tributario del Vecchio continente valutando quattro distinti parametri: la tassazione complessiva; la struttura dell’imposizione così come è descritta dall’Itr in rapporto al reddito tassabile da lavoro, capitale e consumi; la complessità amministrativa delle procedure burocratiche necessarie agli adempimenti tributari; il livello di decentramento e concorrenza tra i governi locali. Il risultato è inequivocabile e colloca al primo posto la Svizzera e, in fondo alla classifica, oltre a noi, anche i cugini francesi.
Nel «pesare» i diversi elementi che definiscono l’indice finale, un rilievo inferiore è stato attribuito alla concorrenza tra ordinamenti fiscali, dal momento che si tratta di un dato che condiziona l’imposizione (dove c’è più competizione territoriale, il prelievo tende a essere minore) e non già di un elemento che descrive l’imposizione stessa. Ma è fuori di dubbio che mettere in concorrenza le amministrazioni locali, come avviene in Svizzera, aiuta a contenere il prelievo. Lasciando da parte il caso elvetico, davvero assai peculiare e comunque esterno all’Unione, lo studio evidenzia come situazioni in qualche misura avvantaggiate siano quelle dei Paesi ex-comunisti: Lituania e Repubblica Ceca, ma perfino Bulgaria e Romania. In vari casi lì si è avuto il coraggio di operare scelte radicali che non disincentivassero le attività economiche (la flat tax , ad esempio) e favorissero una semplificazione del prelievo. Ora i risultati si vedono.
Dallo studio esce anche ridimensionato il luogo comune che tradizionalmente identificava l’Europa settentrionale con i regimi più rapaci. Le vecchie socialdemocrazie scandinave, infatti, hanno ancora un prelievo fiscale elevato, ma hanno saputo fare qualche passo nella giusta direzione. Così la Svezia di oggi è un po’ diversa da quella che obbligava registi e tennisti ad andarsene a Montecarlo e, anche se resta nel gruppo dei Paesi ad alta tassazione, per certi aspetti la sua esperienza può addirittura insegnare come si possa riformare nella giusta direzione una società altamente statizzata. Al di là di questo o quel caso specifico, nell’insieme lo studio mostra come l’Europa intera sia in una grave crisi proprio perché la quota di risorse prelevate dall’apparato pubblico ha raggiunto livelli troppo elevati. In questo senso, l’Italia è all’avanguardia di un processo che, però, sembra davvero risparmiare ben pochi.
Oltre a ciò, lo studio mostra come la crescita dell’Unione (accompagnata per giunta da un processo di espansione verso Est) abbia finito per creare nuovi meccanismi di estrazione e redistribuzione delle risorse. Il lavoro di Petar Ganev evidenzia che oggi il bilancio pubblico di un Paese come la Bulgaria si regga in parte su risorse provenienti da fuori e indirizzate lì da Bruxelles. In altri termini, alla redistribuzione interna si è progressivamente sovrapposta una redistribuzione di marca continentale.
L’esame delle economie europee sembra pure suggerire una solida correlazione tra oneri burocratici ed entità del prelievo. I Paesi a più alta tassazione sono anche quelli in cui la regolazione è particolarmente minuziosa e pervasiva, mentre – ed è comprensibile – le società più liberali tassano meno e regolano meno. Questo però induce a pensare che una larga parte del sistema burocratico (i famosi «lacci e lacciuoli» di cui parlava Guido Carli) sia impossibile da eliminare senza un ridimensionamento di imposte e spesa pubblica. In tal senso, sebbene sia interamente focalizzata sul lato delle entrate, l’indagine del centro studi di Udine aiuta a comprendere come la volontà degli europei di non riformare i propri sistemi di Welfare (costosi e pesanti, oltre che molto inefficienti) ne metta a rischio il futuro. O l’Europa lo comprende alla svelta, o continuerà a declinare.