Italia ultima per libertà fiscale, siamo massacrati dalle tasse
Gian Maria De Francesco – Il Giornale
Nel campionato europeo delle tasse l’Italia occupa l’ultima posizione. La classifica è stata stilata dal Centro studi ImpresaLavoro che ha pubblicato la seconda edizione dell’Indice della libertà fiscale, un monitor che consente di paragonare tra loro i 28 Paesi dell’Unione europea più la Svizzera quanto a invadenza dello stato nelle attività economiche dei cittadini e delle imprese attraverso la leva del fisco.
L’indice è stato elaborato sulla base dei dati Eurostat e del rapporto Doing Business della Banca mondiale e analizza sette diversi indicatori, ciascuno dei quali comporta l’assegnazione di un punteggio. La somma delle valutazioni ricevute in ogni categoria restituisce la classifica finale che vede l’Italia tristemente ultima con 39 punti. Nell’area dei Paesi fiscalmente oppressi – con un punteggio inferiore a 50 – si ritrovano anche Danimarca (49), Grecia (48), Austria (45), Francia (44) e Belgio (41). La prima impressione che se ne ricava, dunque, è che i Paesi nell’area euro, indipendentemente dalla loro collocazione tra i «buoni» o i «cattivi» siano più in difficoltà rispetto al resto del Vecchio Continente. Prova ne è che anche Germania (52), Spagna (54) e Olanda (56) non stiano messi molto meglio. In cima alla classifica, infatti, troneggiano economie sviluppate che non hanno perso la propria sovranità monetaria. Svizzera (75), Regno Unito (65) e Svezia (60) figurano tra le nazioni fiscalmente più libere. Le eccezioni dell’area euro sono, invece, rappresentate da Paesi che hanno una fiscalità meno esosa proprio per attrarre imprese e, soprattutto, patrimoni, come Irlanda (74) e Lussemburgo (68).
Resta da chiedersi, comunque, il perché di questo specifico tutto italiano. La particolarità dell’analisi effettuata dal Centro studi ImpresaLavoro è, infatti, nel non essere basata su luoghi comuni (ricreati ad arte tramite statistiche) né su eccessi di idealismo. Non si vagheggia un sistema fiscale perfetto ma si individuano, appunto, sette parametri o benchmark. Se ben sette Stati tra i quali Svizzera, Lussemburgo, Croazia e Irlanda riescono a tenere la tassazione delle imprese sotto il 30%, allora questo obiettivo non è irrealizzabile. E se non è irrealizzabile, è lecito chiedersi perché l’Italia continui a vessare gli imprenditori con un tax rate del 64,8% che non invoglia certo a fare business. E soprattutto viene da chiedersi perché l’Italia sia ultima per costi degli adempimenti burocratici per pagare le tasse (7.559 euro) staccando pure la Germania (7mila euro circa) e il Belgio (6.295 euro). A questi costi si aggiunge la perdita di tempo (e di danaro) per pagare le tasse (269 ore annue): solo in Europa dell’Est le procedure sono più farraginose delle nostre. E se si mettono questi risultati assieme alla pressione fiscale complessiva sul Pil (43,6% nel 2014) si osserva come solo la Francia e il Belgio siano messi peggio. L’insieme di questi dati finora osservati non è solo un termometro dell’invasività fiscale, ma una spia della perdita di competitività generale del nostro Paese. Un’Italia che dal 2000 al 2014 ha visto l’incidenza delle tasse sul prodotto interno lordo aumentare di 3,6 punti percentuali regalando agli altri partner europei un vantaggio di cui hanno saputo approfittare. Con buona pace di Renzi.
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