Le buone idee e la zavorra delle (non) riforme
Francesco Daveri – Corriere della Sera
Alla presentazione del programma della presidenza italiana dell’Unione al Parlamento europeo, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha elencato una lista di cose da fare perché l’Europa torni a crescere. Ce n’è un gran bisogno, nel Vecchio Continente: dopo due anni di recessione, gli investimenti nell’Eurozona sono scesi al 17,7% del Pil, il loro minimo di sempre. L’industria e il mercato “battono in testa” anche in Germania, non solo in Italia e in Francia.
Per crescere, dicono a Bruxelles, servono le riforme strutturali: bisogna ridurre i monopoli sui mercati e le rendite di posizione nel settore pubblico. Ma quei cambiamenti si fanno oggi per ottenere risultati solo domani. Così, secondo Padoan, ai Paesi che si impegnano da subito dovrebbe essere garantita una maggiore flessibilità nel rispetto dei vincoli di bilancio. Senza stravolgere le regole attuali. Fuori dal gergo della politica, le parole del ministro vogliono dire che l’Italia non proporrà iniziative contro la norma sul pareggio di bilancio strutturale cara all’Europa che rispetta i vincoli. Nello stesso tempo, però, l’idea di flessibilità all’italiana si traduce nella richiesta di lasciare da parte i commissariamenti della Troika (Bce, Commissione europea e Fondo monetario internazionale) nei confronti dei Paesi che non riescono a rimborsare il loro debito pubblico. Alla Troika in effetti c’è un’alternativa: più coordinamento e più monitoraggio reciproco tra i Paesi europei prima, per evitare tardivi, umilianti e a volte inefficaci aggiustamenti imposti dall’alto poi. Sarebbe un netto cambiamento di rotta rispetto agli anni scorsi.
Sono tutte buone idee. Da quando è iniziato il semestre a guida italiana, da Roma fioccano proposte su come migliorare il funzionamento dell’Unione. Eppure oggi le innovazioni avanzate dall’Italia per stimolare l’Europa a fare di più si scontrano con un macigno: il carniere quasi vuoto delle riforme del governo Renzi nei suoi primi 150 giorni di attività. Senza cambiamenti strutturali, la richiesta di flessibilità di Roma viene percepita a Bruxelles e a Berlino come l’intenzione di aumentare ancora un debito pubblico che è già oltre il 135% del Pil. E l’appello ad abbandonare i commissariamenti dei Paesi a rischio di default può essere visto come il sinistro annuncio di chi in definitiva confida nella Bce per essere tirato fuori dai suoi guai. Senza una chiara accelerazione estiva delle tante riforme annunciate ma non approvate né attuate, il rischio concreto è che anche le migliori proposte della presidenza italiana finiscano nel nulla. Perché alla fine, in Europa come in Italia, tutti sanno che il miglior test per capire se un budino è buono sta sempre nel mangiarlo.