Nei labirinti del 5 per mille si perde anche la Corte dei Conti
Valentina Melis – Il Sole 24 Ore
Il cinque per mille ha portato in dote al mondo del non profit tre miliardi e mezzo di euro, dal 2006 a oggi. Sulla destinazione dei fondi, però, la Corte dei conti adesso vuole vederci chiaro. I beneficiari, ormai, sono quasi 50mila, dagli enti di ricerca alle associazioni sportive dilettantistiche, e si contendono le firme degli italiani sulla dichiarazione dei redditi a colpi di pubblicità, newsletter e altre iniziative.
Ma le scelte dei contribuenti sono veramente “libere”, come prevedono le regole? Perché non tutti gli enti rendono pubblica la gestione degli incassi? E non sarebbe forse il caso di selezionare in maniera più rigorosa i potenziali beneficiari? Se lo chiedono anche i magistrati contabili, che hanno preso carta e penna e hanno scritto a sette ministeri, alle Entrate, al Coni, agli Ordini dei commercialisti e dei consulenti del lavoro e alla Consulta dei Caf, per chiedere quali iniziative metteranno in campo per una maggiore trasparenza.
La Corte dei conti dice che sì, semplificare le farraginose procedure del cinque per mille sarebbe opportuno, ma anche imporre alle organizzazioni l’obbligo di pubblicare i bilanci, usando «schemi chiari, trasparenti e di facile comprensione». E qui sta il primo nodo. Accanto a grandi organizzazioni, come l’Airc, Emergency, l’Associazione italiana contro le leucemie (solo per citarne alcune), che sul proprio sito spiegano come hanno speso i soldi assegnati dai contribuenti, ce ne sono altre, anche nelle prime posizioni della classifica, che non pubblicano un numero.
In effetti, mettere in rete il rendiconto non è obbligatorio: il documento deve essere mandato ai ministeri che erogano il contributo solo dagli enti che incassano più di 20mila euro. Ma questo passaggio rischia di essere solo formale, senza alcuna informazione chiara per i contribuenti che hanno premiato un’organizzazione con la propria firma.
La scelta, poi, dovrebbe essere libera, ma secondo la Corte dei conti non sempre lo è. Nella sua lettera ai ministeri, la Corte sottolinea che «risulterebbe assai utile un’attività di audit dell’agenzia delle Entrate sul comportamento degli intermediari, allo scopo di individuare eventuali scorrettezze».La Corte evidenzia inoltre il «potenziale conflitto di interesse con gli optanti» da parte di quelle realtà che gestiscono direttamente una rete di Caf (come le Acli e il Movimento cristiano dei lavoratori) o di quelle associazioni «che possono fruire dei Caf dei sindacati di cui sono emanazione». E qui i magistrati contabili citano gli esempi della Cgil (Auser e Federconsumatori) e della Cisl (Adiconsum e Iscos). Alcuni di questi soggetti si piazzano da sempre in ottime posizioni della classifica per fondi ricevuti, ma questo ovviamente non dimostra niente di illecito: piuttosto, è la prova che le regole attuali tendono a favorire i soggetti più grandi (per numero di uffici, risorse da investire in pubblicità e così via).
Ma ci sono altri casi che balzano agli occhi. La Federazione nazionale agricoltura, in una comunicazione ufficiale inviata dal segretario generale Cosimo Nesci ai dirigenti del sindacato, ai responsabili del patronato Epas – presieduto dal figlio Denis Nesci – e ai responsabili dei centri di raccolta Caf Italia Srl (legati alla stessa Fna), garantisce che riconoscerà un euro in più di rimborso per ciascun modello 730 «riportante l’adesione volontaria del contribuente del 5 per mille a favore della Assipromos». Quest’ultima è un’associazione di promozione sociale che ha come unica fonte di finanziamento il cinque per mille, ed è nata nel 2007, l’anno successivo all’introduzione del contributo. L’Assipromos ha visto crescere continuamente i fondi assegnati dai contribuenti, passando da 154mila euro del 2007 a 1,5 milioni del 2012.
Tra le migliaia di organizzazioni del “volontariato” presenti negli elenchi, si piazza al quindicesimo posto. In tutto, contando anche la tranche 2012 (non ancora versata, ma attribuita dall’agenzia delle Entrate), l’Assipromos ha ottenuto 4,4 milioni. Ma come è stato speso questo robusto finanziamento? Sul sito dell’associazione, alla pagina «iniziative», ci sono solo due progetti: il bando «Crea il tuo futuro», uno stage di sei mesi per 50 ragazzi presso la stessa associazione (con un rimborso spese di 400 euro al mese), che si è concluso pochi giorni fa, e un corso di italiano per stranieri.
Dai rendiconti inviati al ministero del Lavoro, risulta che l’Assipromos ha acquistato un immobile a Roma, in via Falcognana, per 1.350.000 euro, con l’obiettivo di creare una «casa di riposo a prevalente accoglienza alberghiera». Obiettivo però non raggiunto, perché, secondo il Comune di Roma, l’immobile non è adatto a questo utilizzo. L’Assipromos ha dunque sottoscritto un preliminare d’acquisto per un altro immobile, sempre a Roma, in via Omboni, con lo scopo di creare una piscina per persone disabili e uno studio medico riservato a pazienti che si trovino in disagio economico. «Vorrei sottolineare – precisa la presidente di Assipromos Maria Mamone (subentrata nel ruolo a settembre 2013 allo stesso Cosimo Nesci) – che neanche un euro è stato utilizzato per versare un’indennità al presidente o ai consiglieri dell’associazione, e che tutti i fondi del cinque per mille sono impiegati per progetti sociali».
Passando all’elenco degli enti di ricerca scientifica, non mancano altre sorprese. L’Università telematica «Pegaso» di Napoli si piazza all’undicesimo posto, sorpassando tutti gli atenei pubblici e privati d’Italia, escluso il Politecnico di Milano. Per il 2012, grazie alla scelta di 224mila contribuenti, la Pegaso incasserà 421.895 euro, il 380% in più rispetto all’anno prima, quando il contributo era stato di 108.435 euro. Qual è il segreto di un simile balzo in avanti?
Un aiuto potrebbe essere arrivato da decine di convenzioni sottoscritte dall’Università Pegaso con Ordini professionali e con i sindacati sul territorio, anche se – precisa il direttore generale dell’ateneo online Elio Pariota – queste convenzioni nulla hanno a che vedere con il cinque per mille, ma solo con la formazione».
Nella sua lettera, la Corte dei conti cita esplicitamente un altro esempio: l’intesa tra il centro di ricerca Biogem di Ariano Irpino e l’Ordine dei dottori commercialisti di Avellino. Il presidente di Biogem, Ortensio Zecchino, ha dichiarato (come riporta la stessa Corte): «Ci rivolgiamo ai commercialisti perché hanno una grande forza di orientamento». Con buona pace della libertà di scelta.