Ma nessuno tocchi le tasse sull’eredità
Francesco Forte – Il Giornale
Matteo Renzi sembra stia pensando a una nuova nefandezza fiscale, cioè l’aumento dell’imposta di successione. Si ridurrebbe la attuale franchigia di un milione di euro, portandola a 300mila euro. L’aliquota fra parenti in linea retta del 4% salirebbe al 6%, quella del 6% sui parenti meno stretti andrebbe all’8% e l’aliquota ordinaria attuale, dello 8%, passerebbe al 10%. Il gettito, attualmente di mezzo miliardo, cosi raddoppierebbe.
Dato lo schema della proposta, il gravame andrebbe soprattutto sui ceti medi e modesti, sui parenti del defunto e sulle piccole aziende non strutturate. La tesi che viene avanzata per questa nuova vessazione tributaria è che si tratta di spostare le imposte dai redditi ai patrimoni. Tesi, comunque, priva di senso in un Paese con un debito pubblico che supera il 130% del Pil, in cui una buona ricchezza privata è garanzia del debito collettivo. Occorrerebbe un maggiore investimento, per accrescere la nostra produttività e competitività onde aumentare il Pil e rafforzare la bilancia con l’estero.
Silvio Berlusconi, sulla base di queste considerazioni, rilevanti anche allora, seppure un po’ meno pressanti aveva abolito l’imposta di successione. Io avevo fatto notare che essa aveva un gettito miserevole, incoerente con il valore annuo dei lasciti ereditari, che si può calcolare dividendo il presunto patrimonio annuo nazionale per 33 che è l’intervallo medio fra le generazioni. Quel calcolo vale anche ora. Se il patrimonio nazionale privato è 9.000 miliardi (evidente sottostima), il 33% è 300 miliardi. Se l’aliquota effettiva è il 4% (media prudenziale fra le aliquote del 4/6/8% attuali e gli esoneri vigenti), il gettito annuo dovrebbe essere 12 miliardi, non mezzo.
Chiaramente i ricchi e i furbi non pagano il tributo di successione anche ora che è al massimo dello 8%, cifra comunque consistente. Ricchi e furbi in parte hanno il controllo dei loro beni all’estero, tramite holding a catena e altre «scatole cinesi» con varie intestazioni e in parte detengono titoli e gioielli in cassette di sicurezza e casseforti. E inoltre con la partecipazione di figli e altri eredi alle varie società e alle scatole cinesi, sono in grado di generare passaggi di proprietà non tassabili. Il tributo successorio lo pagano i familiari del colonnello in pensione che oltre alla prima casa lascia due alloggi: uno che affittava e l’altro che usava come seconda casa. Lo pagano gli eredi del professionista che lascia l’ufficio, dell’artigiano e del negoziante che lasciano i loro piccoli capitali produttivi e l’avviamento.
L’esonero faceva perdere un gettito minimo, liberava gli uffici fiscali da pratiche complicate. Ma ciò che fa Berlusconi è considerato dal Pd, a priori, iniquo, anche se in realtà è ragionevole e liberale. Così Prodi, con un coro di sì dei giustizialisti, aveva reintrodotto il tributo successorio. Qualcuno ha voluto persino sostenere che l’imposta di successione era propugnata da Einaudi, dimenticando che questi, però, sosteneva l’esonero del reddito mandato a risparmio dall’imposta sul reddito, che egli voleva molto moderata. Einaudi non voleva l’imposta di registro. E non voleva che si tassassero i redditi distribuiti dalle società ove già tassati. Invece ora il tributo personale sul reddito arriva al 45% e non esonera il risparmio, salvo quando è tassato con l’elevata cedolare sulle rendite finanziarie. Le società sopportano un carico fiscale che può arrivare al 65%, mentre gli utili distribuiti sono tassati. Sugli immobili gravano sia l’Imu che l’imposta di registro del 9% per i trasferimenti a titolo oneroso. Per le successioni essa è comunque del 3% (però si chiama imposta ipotecaria e catastale) e si aggiunge al tributo di successione.