Nelle scorse settimane è toccato al ministro italiano delle Politiche agricole, Maurizio Martina, scendere in campo a difesa della Politica agricola comune (Pac), che forse subirà qualche limitato taglio. Eppure l’economia ha le sue leggi: lineari, ma al tempo stesso capaci di rivelarsi spietate se vengono continuamente ignorate. E questo spiega perché l’interventismo in agricoltura abbia prodotto, negli scorsi decenni, soltanto disastri.
Meccanismi assistenziali a favore del mondo agricolo sono presenti in molti Paesi, per una ragione assai semplice. Ancora un secolo fa, la maggioranza degli europei lavorava nei campi, mentre oggi solo una piccola frazione degli occupati (in quasi tutti i Paesi europei è inferiore al 10%) si colloca in tale settore. Di fronte a un tale esodo la classe politica è intervenuta. Nel Vecchio Continente, in particolare, fino al 1992 sono stati introdotti montanti compensativi associati alle produzioni e successivamente si è provveduto a scoraggiare ogni iniziativa con altri strumenti. Al fine di limitare i costi di questo sistema di sovvenzioni a favore dei “poveri contadini” (tra i primi beneficiari ci sono però le case reali: dai Windsor ai Grimaldi) si sono destinate ingenti risorse anche a chi accettava di non coltivare i propri terreni. Il risultato è che abbiamo visto farmacisti o notai acquistare terreni per fare un investimento, talora proprio contando sulle sovvenzioni destinate a quanti tengono inattivi i terreni. In più sono state introdotti limiti alla produzione.
Com’era prevedile, il meccanismo ha moltiplicato imbrogli ed abusi, come nel caso dello scandalo delle quote latte. E se la situazione europea non è troppo diversa da quella statunitense, è pure vero che le alternative esistono e, quando applicate, producono risultati notevoli: come nel caso della Nuova Zelanda. Un convinto sostenitore dell’esperienza liberista neozelandese (stop degli aiuti pubblici e libertà di produrre) è Giorgio Fidenato, un agronomo friulano che da tempo va conducendo una strenua battaglia contro la Pac – quale segretario dell’associazione Agricoltori Federati – e che egualmente è assertore della necessità di aprire la strada all’innovazione in ambito agricolo: a partire dall’utilizzo degli Ogm. La tesi di Fidenato è difficilmente contestabile: “avere finanziato le aziende agricole europee ha rallentato quei processi di ammodernamento che, specie in Italia, passano dalla fine di un’agricoltura fatta di appezzamenti troppo piccoli. Perché sia possibile uno sfruttamento migliore delle risorse i protagonisti del settore vanno indotti a fare scelte imprenditoriali. Ma il sistema degli aiuti e le logiche dettate dagli ecologisti (a partire da quanti hanno promosso il biologico) hanno impedito tutto ciò. Oggi il mercato ci chiederebbe di aumentare le produzioni, ma in realtà la Pac ci blocca”.
Il bilancio sulla Pac, insomma, è solo negativo: dato il gran numero di vittime che ha prodotto.
In primo luogo hanno subito gravi conseguenze di tale politica i contribuenti, tassati per sostenere tale politica di sprechi. Ma ugualmente danneggiati sono stati i consumatori, dato che la Pac ha tenuto artificiosamente alti taluni prezzi. E per lo stesso motivo sono stati penalizzati gli agricoltori del Terzo Mondo (dove ancora si muove di fame, anche a causa della nostra chiusura commercial), che non possono vendere da noi i loro beni. Per questo se in passato la lotta contro il protezionismo era combattuta per lo più da pochi liberisti, oggi vi sono organizzazioni umanitarie di varia tendenza che avvertono l’urgenza di offrire a quanti vivono nelle aree più povere la possibilità di guadagnarsi onestamente da vivere e di esportare da noi i loro prodotti. D’altra parte, una quota dell’immigrazione clandestina è anche da addebitarsi alla Pac, che impedendo a quanti stanno in Africa di costruirsi un futuro li induce a venire qui. Essi non vogliono vivere alle nostre spalle: ci chiedono solamente di poter venderci quei prodotti che, poiché gravati da dazi altissimi (140% sul burro, 150% sullo zucchero e così via), non possono arrivare nei nostri mercati.
In apparenza, gli agricoltori sono i grandi beneficiari della politica agricola europea: e in qualche caso è così. Però nell’insieme – dopo un periodo di tempo ormai abbastanza lungo – possiamo dire che anche il mondo agricolo ha finito per pagare un prezzo altissimo. In cambio dei finanziamenti gli agricoltori hanno dovuto accettare una crescente limitazione delle produzioni e più in genere un freno al loro sviluppo. Per questo motivo, oggi il settore appare in larga mostra arretrato.
Un vantaggio netto dalla Pac, invece, hanno ricavato i professionisti del sindacalismo agricolo e le burocrazie comunitarie. Come rileva Fidenato, “c’è una tragica alleanza tra le comprensibili paure di tanti agricoltori (consapevoli dei guasti della Pac, ma timorosi di fronte al libero mercato) e gli interessi di chi gestisce il sistema. È questo intreccio che va sciolto, mostrando come gli aiuti ostacolino la libertà d’impresa e quindi finiscano per distruggere il settore”. Il guaio è che una voce come quella di Fidenato, capace di formulare analisi razionali e a lungo termine, sia sommersa dal rivendicazionismo demagogico di chi non vuole