È la pioggia che va
Enrico Cisnetto – Il Foglio
Scorrono cicliche le stagioni e come ogni autunno ci ritroviamo a piangere sul latte versato della pioggia che cade, dei fiumi che esondano, delle città che si allagano. Nonostante la moderna ossessione del “rischio zero” abbia creato neologismi terrorizzanti e prodotto allarmismi preventivi dal sapore paternalista – come ha testimoniato con efficacia Piero Vietti su queste colonne – perdura comunque immutata la totale assenza di concrete azioni a tutela del nostro territorio. Il che significa assoluta mancanza di investimenti che, oltre a mettere in sicurezza il territorio, alimenterebbero crescita e occupazione.
Nella lotta al dissesto idrogeologico il governo ha annunciato di aver già sbloccato dai patti di stabilità degli enti locali 2,3 miliardi, a cui si aggiungono i 5 che il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti ha promesso di stanziare entro il 2020. Bene, ma rischiano di non essere sufficienti. Per tre ordini di ragioni. Primo, perché è necessario superare la logica spot-emergenziale e gli interventi a macchia di leopardo. Secondo, anche quando i soldi ci sono, non è detto che siano usati, come testimonia il caso del Bisagno a Genova, per il quale i lavori di risistemazione della parte interrata sono stati bloccati, more solito, dai ricorsi giudiziari delle aziende che perdono i bandi di gara. O come dimostrano i 50 milioni di euro fermi nelle casse del Comune di Olbia nonostante i 18 morti del 2013 siano ancora freschi. Terzo, la spesa pubblica italiana è subordinata agli stretti margini di bilancio dei vincoli europei, con il rischio che, di fronte alla mancata inversione (probabile) del ciclo economico, i primi tagli saranno proprio alla voce investimenti in conto capitale, come del resto avviene da anni.
Gli effetti del surriscaldamento globale – con le piogge intense aumentate del 900 per cento in due decenni e la temperatura media della Terra cresciuta di 0,84 gradi in 100 anni – sono un fenomeno risolvibile solo nel lungo periodo e con una strategia globale. Soprattutto, mentre le calamità naturali ci sono sempre state nella storia dell’umanità, lo sfruttamento del suolo senza la minima considerazione dell’equilibrio dell’ecosistema negli ultimi decenni ha reso il territorio italiano assai fragile, così che a ogni acquazzone torniamo a parlare di tragedie.
Di fronte a queste condizioni naturali e artificiali e con il 68 per cento delle frane europee che si verifica nel Belpaese, il governo dovrebbe utilizzare le poche settimane che restano del semestre di presidenza europea per fare almeno qualcosa di utile: lanciare una proposta per escludere dai parametri Ue un piano di investimenti continentale che, oltre a salvare vite umane, patrimonio ambientale, centri abitati e zone industriali, stimoli la ripresa della stagnante economia europea. Insomma, un piano federale, in cui coinvolgere i privati con il project financing, che testimonierebbe l’unitarietà dell’Europa, per la prima volta dopo la nascita dell’euro e al di là delle imposizioni del rigore finanziario.
Certo, l’Italia non può certo permettersi di aspettare né il Godot dell’integrazione europea, né anche solo un piano comunitario per la tutela del territorio, visto che nel nostro paese quasi 9 Comuni su 10 sono classificati ad alto rischio e negli ultimi dieci anni lo Stato ha sostenuto spese per 33 miliardi di euro per mettere riparo – spesso malamente – alle conseguenze di eventi naturali. Una somma enorme che, se fosse stata spesa prima, avrebbe evitato danni e vittime. Adesso, però, invece di attendere inermi, perché non dotarsi, come tutti i paesi civili, di un’assicurazione obbligatoria sui rischi catastrofali per le case, che costerebbe ai proprietari in media 1 euro al metro quadro ma che permetterebbe ai contribuenti un risparmio di 3,3 miliardi l’anno?
Al riguardo ha spiegato bene la Consap – società controllata dal ministero dell’Economia che svolge servizi assicurativi pubblici volti alla copertura dei “rischi della collettività” – che tali polizze esistono in Francia, Stati Uniti, Giappone, Messico o Turchia e che, attraverso l’istituzione di un Fondo di garanzia (come quello in ambito Rc Auto) si risparmierebbe a regime almeno 1 miliardo l’anno. Il nostro è uno dei pochi paesi dove a coprire tutti i danni, sia pubblici che privati, e solo lo Stato, mentre altrove esiste spesso un sistema pubblico-privato, con un’assicurazione obbligatoria o semi-obbligatoria contro le calamità. Se le compagnie non dovessero accettare per gli alti rischi, lo Stato potrà dotarsi (come in Francia e Spagna) di una società di riassicurazione pubblica che offre alle compagnie la possibilità di tutelarsi a un tasso fisso, oppure affidarsi alle società di “re-insurance” specializzate in questo tipo di polizze. Tra poco finirà il semestre europeo: tra una “bomba d’acqua” e l’altra, invece di piangere sul latte versato, diamo un segno di vita in Europa, dopo aver fatto i compiti a casa, please.