Privatizzazioni col trucco
Davide Giacalone – Libero
Parte malissimo, se riparte da Eni ed Enel, il programma governativo delle privatizzazioni. Parte malissimo perché parte con un falso: quelle non sono privatizzazioni, ma vendite. In quelle due società la mano pubblica ancora ha il controllo, con quote che si aggirano sul 30%, il resto è già in portafogli privati che agiscono in Borsa. Quindi nessuna privatizzazione, nessuna apertura di mercato, nessuna sollecitazione alla competizione. Solo e soltanto una vendita. Ed è questa la ragione per cui ancora spero che non abbiano la faccia tosta di spacciare questa operazione per quello che non è, debuttando nel peggiore dei modi.
Vendere un ulteriore 5% di Eni ed Enel dovrebbe portare nelle casse dello Stato una cifra nell’intorno di 5 miliardi. La metà di quanto previsto, per l’anno in corso, da operazioni di questo tipo o da vere e proprie privatizzazioni. Ed è anche il valore dell’operazione a destare i peggiori sospetti: come verranno impiegati i proventi della vendita? E’ un punto fondamentale, perché va benissimo alienare patrimonio per ridurre e possibilmente abbattere il debito, mentre non va affatto bene usarli per compensare il deficit, che, detto in modo diverso, significa usarli per non dovere fare altri debiti. Sono due cose opposte: la prima può non essere esaltante, ma è virtuosa, perché si prende quel che è di tutti e lo si usa per alleggerire tutti dal debito pubblico; la seconda e viziosa, perché si vende quel che è di tutti al fine di finanziare la spesa che porta benefici solo ad alcuni.
Né ci saranno benefici di mercato, visto che si modificano le leggi sul controllo delle società quotate in modo da assicurarne il dominio a chi non ha più i soldi per poterlo acquistare o detenere. Attribuendo il voto plurimo a chi detiene da più tempo le azioni lo Stato legislatore assegna un valore superiore allo Stato azionista, sicché questo modo di procedere è l’opposto di quel che caratterizzerebbe delle vere privatizzazioni. Senza contare che nel caso di Eni ed Enel ci sono paletti statutari che escludono la perdita di controllo. Immorale della favola: attenzione, perché così ci si ritrova meno ricchi, sempre pazzescamente indebitati e con lo Stato che continua ad amministrare il feudo.
Queste non sono privatizzazioni, né basterebbe lo fossero per considerarle automaticamente buone. Si guardi a RaiWay, la società pubblica degli impianti Rai: vogliono quotarla, quindi privatizzarla, al solo scopo di avere i soldi per coprire i buchi che la Rai continua a fare, il tutto mantenendo ampiamente il controllo statale della società. Soldi presi al mercato per poi buttarli nella fornace clientelare, lasciando che nel mercato agiscano strutture da socialismo non reale, ma letale.
O si guardi al collettivismo municipale, che come tutti i collettivismi genera privilegi per una ristretta minoranza di buropolitici: anziché accorpare e vendere si pensa di quotare sempre di più, allargando lo zoo di animali misti, nei quali la parte municipale domina e quella di mercato soccombe a logiche che la avvelenano.
Privatizzazione, invece, sarebbe la vendita di Poste Italiane, perché totalmente in mano pubblica. Come lo sarebbe quella della Rai. La prima è in programma, alla seconda non pensano proprio, per continuare a sognare verdi pascoli. Solo che quando metti mano alla privatizzazione di Poste scopri che non puoi quotare società il cui bilancio ancora si compone di aiuti pubblici e sovvenzioni di servizi altrimenti in perdita. Perché privatizzare non significa consentire a privati di fare i soci di minoranza (o senza poteri) dello Stato, ma far scemare la presenza dello Stato nel mercato, rendendolo più libero e più aperto alla concorrenza, nonché coerente con le regole della competizione fra eguali. Significa cambiare le società, non solo la composizione della proprietà. Scopri, allora, l’evidente: non puoi portare nel mercato un dinosauro dello statalismo. Allora si deve cambiarlo, il che, però, fatalmente allontana la privatizzazione.
Poco male, in condizioni normali: ci vorrà più tempo, ma ne verrà fuori un risultato migliore. Non siamo, però, in condizioni normali. Abbiamo confermato che chiuderemo il bilancio senza venir meno agli impegni presi, ma i tagli alla spesa non ci sono. Semmai ci sono i suoi aumenti. Ecco, allora, che per far quadrare i conti si vende. Travestendo, per giunta, la vendita da privatizzazione. Spero che al ministero dell’Economia prevalga la serietà e il rispetto di sé, non prestandosi a raggiri che umiliano. Senza neanche risolvere i problemi.