La recessione e le clausole più favorevoli
Mario Sensini – Corriere della Sera
Ne avrebbero fatto volentieri a meno, ma né Matteo Renzi né Pier Carlo Padoan si strappano i capelli davanti al brutto dato del Pil. Buon viso a cattivo gioco? Può darsi, ma forse c’è anche un’altra spiegazione. Quel meno 0,2% è la conferma che l’Italia è ancora in recessione. E di quelle «circostanze eccezionali», contemplate dai Trattati Ue, che consentono un allentamento del piano di risanamento dei conti pubblici. Il governo Renzi le ha invocate già ad aprile, per giustificare il maggior debito dovuto al pagamento degli arretrati dello Stato, e per spostare il pareggio strutturale di bilancio dal 2015 al 2016. Sono le stesse «circostanze» che restano oggi, e che anzi si aggravano: la crescita, negativa, sempre molto al di sotto del prodotto potenziale, la scarsa liquidità delle imprese, la necessità di varare imponenti riforme strutturali. Se erano motivi validi ad aprile, a maggior ragione lo sono ora. Quella di un ulteriore rinvio del pareggio è una strada percorribile. Il presupposto c’è, mai in base ai nuovi accordi Ue bisognerà rispettare alcune altre condizioni. La prima è quella di mantenersi sempre al di sotto del 3% del deficit. Poi bisogna rispettare la regola della spesa e quella del debito. Sulla prima non dovrebbero esserci problemi, a patto che i tagli previsti si facciano. Per stare a posto anche con il debito, invece, bisognerà fare alcune dismissioni. Nienete di impossibile, comunque, tenuto conto che la stessa crisi dalla quale l’Italia non esce dopo una raffica mostruosa di manovre correttive (solo quelle fatte dal 2011 a oggi pesano sui conti 2014 per 67 miliardi) è di per sé una buona carta da giocare per avere dalla Ue più flessibilità. Resta, tuttavia, un’ultima condizione, la più importante: il gradimento dei mercati, che al di là dei Trattati, può vanificare ogni strategia.