Se aumenta le tasse lo Stato fa autogol
Francesco Forte – Il Giornale
Il pastore che tosa le pecore rovinandone il vello ottiene meno lana di quello che si comporta con moderazione. Questa antica massima, riguardante gli effetti negativi di imposte con aliquote troppo elevate ha una triste conferma nel gettito delle imposte in Italia nei primi otto mesi del 2014, in confronto ai primi otto del 2013, che registra una flessione dello 0,4 per cento nonostante gli aumenti a raffica attuati dai governi Letta e Renzi.
Mi scuso per i numeri aridi. Ma valgono molto più delle parole retoriche che spesso si leggono in materia fiscale. Non si può attribuire questa diminuzione alla riduzione del nostro prodotto nazionale, che per il 2014 è ora calcolata dagli esperti del nostro ministero dell’Economia nel meno 0,3 per cento per il semplice fatto che nei primi sette mesi non c’è stata complessivamente alcun diminuzione, ma un andamento di crescita zero, che considerando il piccolo aumento dei prezzi che si è verificato, implica una piccola crescita del Pil in moneta corrente.
La diminuzione delle entrate si spiega con il fatto che il pastore del Pd, sia esso impersonato da Letta con Saccomanni ministro dell’Economia o da Renzi con Padoan nel ministero in questione strappa la pelle al contribuente con aliquote eccessive. La diminuzione dello 0,4 per cento del gettito delle imposte è avvenuta per somma algebrica dell’aumento dell’Iva del 3,8 per cento pari a un miliardo che deriva dall’aumento dell’aliquota ordinaria dal 21 al 22, decretata dal governo Letta e iniziata nel quarto trimestre dello scorso anno e quindi non operativa nei primi sette mesi del 2013 e la riduzione del 19% dell’Ires, l’imposta sulle società, che ha fatto perdere 2 miliardi a cui si aggiungono i 900 milioni in meno nell’imposta sul reddito personale l’Irpef, che ha registrato una diminuzione dello 0,8% e una vistosa diminuzione della cedolare secca sulle rendite finanziarie che arriva al 26 per cento per il risparmio gestito e al 11% per gli altri tipi di redditi di risparmi diversi dal debito pubblico.
Questa imposta è stata aumentata dal governo Renzi dal 20 al 26 per cento e chiaramente molti risparmiatori si sono disamorati di questo investimento, con grave danno per il mondo delle imprese che usano questi soldi per le loro attività produttive. Si dirà che l’aumento è entrato in vigore dal luglio del 2014. Ma il programma di Renzi di aumento di questa tassa era stato da tempo preannunciato e quindi già all’inizio di quest’anno il risparmiatore si è spaventato, Einaudi scriveva che i risparmiatori sono come le pecore in gregge che tendono a stare ferme, ma che quando si spaventano corrono via veloci. Ci sono tanti modi per portare il gruzzoletto all’estero.
Quanto all’Iva il suo maggior gettito è per il fisco un guadagno illusorio. Infatti aumentandola sono calati i consumi e le imprese hanno venduto di meno e ciò ha fatto scendere i loro utili e fatto scendere l’imposta sulle società e quella personale sul reddito e il minor consumo ha anche generato una erosione dell’imponibile Iva perché è aumentata l’economia in nero. Così le nuove elevate aliquote di Letta e Renzi (che oltre all’Iva ha aumentato la Tasi) in aggiunta agli altri aumenti di aliquote a cura del governo Monti (incubatore dei successivi governi Pd) con l’Imu e con l’aumento della cedolare sulle rendite finanziarie dal 12,5 al 20% ha fatto scappare una parte delle pecore, Altre sono dimagrite, altre hanno perso una parte del pelo (bilanci in rosso, fallimenti e chiusure di attività).
Non giova concedere esoneri ai bassi redditi tosando a dismisura coloro che ne hanno un po’ di più. È illusorio ridurre la diseguaglianza sociale creando e accentuando la diseguaglianza fiscale. E così l’operazione 80 euro in busta paga ai bassi redditi accompagnata dalla raffica dei rialzi di aliquote sui piccoli e medi borghesi è stata un’operazione a somma negativa: per tutti perché tutti stanno peggio, come mostrano i dati sulla crisi delle imprese.