Tartassati e ripudiati
Lorenzo Baffo – Effe
È tempo di bilanci. Per l’investitore-risparmiatore quello degli ultimi anni anni è stato comunque negativo, al di là delle performance registrate in termini di operatività. A determinare il segno meno ha contribuito infatti il peso del fisco, con un incremento di prelievi dell’ordine del 130% nel periodo 2011 2015. Sì, proprio del 130%, una stangata meditata, voluta e adottata dagli ultimi tre Governi, convinti che il risparmio sia un limone da spremere. Gli italiani ancora una volta hanno sopportato, proprio mentre poco o nulla si faceva per colpire evasori e corrotti. La scelta di centrare i portafogli era facile poiché essendo detenuti da intermediari professionali le possibilità di sottrarsi al pagamento di imposte e prelevamenti risultavano quasi nulle. E lo si è fatto con l’accetta, attuando un incremento delle riscossioni da ben 9 miliardi di euro. Lo dimostra una documentata e analitica indagine del centro studi di ImpresaLavoro, iniziativa di ispirazione liberale nata su idea dell’imprenditore friulano Blasoni. Pochi “media” hanno dedicato attenzione alla ricerca, perché affrontare il tema del rapporto fra fisco e risparmio appare oggi inopportuno, in un approccio servile nei confronti di chi governa. “F Risparmio & Investimenti”, grazie alla sua totale indipendenza, vuole mettere in evidenza i risultati del lavoro, per avviare un approfondimento e un dialogo con i propri lettori.
Da dove si parte
Chiunque disponga di risparmi sa cosa è successo. Vale però la pena riassumere l’evoluzione delle aliquote fiscali sui redditi di natura finanziaria per capire come sia stato possibile strappare dalle tasche degli italiani 9 miliardi di euro in più. Il grafico alla pagina successiva potrebbe anche tradire, nel senso che non evidenzia totalmente il peso della stangata, apparentemente relativa solo all’operatività con azioni e obbligazioni. Occorre evidenziare invece come, in un periodo di forte crisi della finanza, molti piccoli e medi investitori-risparmiatori si siano concentrati sulle offerte bancarie, con conto deposito e bond degli stessi istituti, tutti ormai gravati dell’aliquota al 26%. Effetto pesante anche per fondi e polizze, cosi come per le forme pensionistiche, sulle quali è solo iniziato un lavoro di penalizzazione fiscale che probabilmente proseguirà nei prossimi anni. La tosatura è poi proseguita con l’imposta di bollo sui conti correnti e sui depositi titoli, nonché con l’entrata in vigore di Tobin Tax e aggravi sulle gestioni previdenziali. Chi detiene un patrimonio, piccolo o grande che sia, sa bene quanto abbia inciso tutto questo sui suoi risparmi, fra l’altro nel dileggio di premier, ministri, politici e sindacalisti vari, soddisfatti di aver colpito il risparmio degli italiani, equiparandoli a speculatori ed evasori fiscali, quelli magari con capitali all’estero. Tutto questo è noto, ma molto meno lo è l’insieme di storture che la tassazione adottata comporta, senza che nessuno ne approfondisca gli aspetti.
Ecco cosa non funziona
Lo studio di ImpresaLavoro evidenzia, oltre agli aspetti punitivi delle politiche fiscali adottate dagli ultimi tre Governi, con le stangate maggiori decise da Monti e Renzi, nei confronti del risparmio, anche altri punti non adeguatamente presi in considerazione, che aggravano il peso sopportato dagli investitori. Uno, più volte messo in evidenza da “F Risparmio & Investimenti”, riguarda l’aspetto della doppia tassazione, che assume connotati ampi. La ricerca ne mette in luce una parte. È quella relativa agli utili riutilizzati dalle società di capitali, tassati una prima volta a titolo di imposta sui redditi delle società (Ires) e una seconda volta quando gli stessi vengono distribuiti ai detentori delle quote. Il problema interessa sia le partecipazioni cosiddette rilevanti cioè chi detiene quote consistenti sia il piccolo risparmiatore, che viene a pagare una doppia imposizione, perché per lui la seconda parte si manifesta con il prelievo del 25% sulle rendite finanziarie. Non solo: i dividendi come tutti i redditi di capitale non sono compensabili nel regime del risparmio amministrato e pertanto soggetti a tassazione anche in presenza di perdite precedenti. Le norme non lo prevedono nemmeno se ci sono minusvalenze realizzate sui medesimi titoli da cui deriva il provento, anomalia che i tanti consulenti (perfino cosiddetti finanzieri!) dell’attuale e dei precedenti Presidenti del Consiglio non hanno evidenziato agli estensori delle normative. Un altro aspetto discutibile, che evidenziamo noi, è quello della doppia tassazione sui dividendi riferiti ad azioni straniere. Quelli distribuiti da società non residenti in Italia sono comunemente assoggettati a ritenute fiscali nel Paese di quotazione della società che li assegna (consiste nella ritenuta alla fonte); sull’ammontare netto è poi applicata la “ritenuta Italia”, salvo in alcuni casi, riguardanti soprattutto specifici titoli Usa. In realtà sulla ritenuta alla fonte interverrebbero per specifici accordi delle limitazioni sulle aliquote. Sulla parte eccedente bisognerebbe quindi chiedere un rimborso, con procedure però complesse, che pochi risparmiatori attuano. Su quest`aspetto assai specialistico nessuno è intervenuto a difesa dell’investitore italiano, che si vede costretto a versare più di quanto non dovrebbe. C`è chi osserva come questa stortura sia voluta per favorire il posizionamento sulle azioni italiane, poiché sottoposte al solo prelievo del 26%. Se cosi fosse la scelta sarebbe grottesca, trattandosi di un’ulteriore stortura nei confronti di un libero mercato realizzato solo a parole.
Meccanismo distorto
Un sistema normativo altrettanto contorto e punitivo riguarda le compensazioni da perdite pregresse, possibili soltanto per i cosiddetti redditi diversi, con limiti temporali (i quattro anni, al cui rispetto provvedono gli intermediari, senza nessuna possibilità di errore) e quantitativi, poiché “minus” realizzate prima del 2012 sono utilizzabili solo al 48,07% del loro ammontare e al 76,92% per quelle riferite dal 1 gennaio 2012 al 30 giugno 214. di eventuali guadagni futuri. Lo studio di ImpresaLavoro ricorda il caso più significativo di tale distorsione, riguardante i fondi. Rappresentando un reddito da capitale, se si realizza un utile anche modesto proveniente dalla vendita di questa tipologia di strumenti finanziari si deve comunque pagare la relativa tassazione e non si può compensarlo con eventuali perdite relative per esempio alla cessione di un’azione o di un’obbligazione. Un caso altrettanto assurdo riguarda proprio i bond: le cedole sono comunque tassate anche se il titolo cui si riferiscono viene per esempio rimborsato per un importo interiore a quello riferito all’investimento, il che avviene se lo si è pagato sopra il prezzo di emissione. La “minus” derivante verrà portata a compensazione esclusivamente di eventuali guadagno futuri. Che il legislatore abbia una visione travisata delle cose lo dimostra anche il vantaggio di aliquota fiscale previsto per i titoli di Stato, altra anomalia che potrebbe portare a complesse vicende legali. Non si vede infatti per quale motivo la tassazione su un Btp debba essere al 12,5% e quella su un’obbligazione per esempio di un’azienda di Stato lo sia al 26%. Certo si vuole così agevolare il risparmio incanalandolo verso il debito pubblico, ma allo stesso tempo si penalizza quello indirizzato verso le aziende e le banche con un’altra assurda deformazione delle regole di mercato. Ha senso per esempio che chi fa trading con i Btp sia sottoposto a un’aliquota inferiore di oltre la metà rispetto a quella cui è soggetto chi mette i propri risparmi a lungo termine su bond Enel o Eni? Ciascuno si dia la sua risposta.
L’altro fronte
A tutto questo si aggiunge l’aggravio di fiscalità sui beni immobili, che sta progressivamente penalizzando il mercato, con gli stranieri in particolare sempre meno interessati ad acquistare case in Italia, preferendo alternative molto più concorrenziali, quali Grecia, Spagna e Portogallo. Se l’investitore finanziario dal 2011 a oggi ha visto aumentare la tassazione del 130%, quello posizionato sul mattone ha sofferto una grandinata di aumenti da far paura. Nello stesso periodo il secondo ha pagato sugli immobili, diversi da abitazione principale, qualcosa come un +236% sulle seconde case locate a canone concordato, un 150% sulle seconde case affittate a canone libero, un +144% sugli uffici, un +140% sui negozi, un +115% sulle seconde case sfitte, un +108% sui laboratori artigianali e un +96% per strutture alberghiere e capannoni. In questo caso i dati sono stati forniti dall’ufficio studi della Cgia di Mestre, molto arriva nel seguire il comparto immobiliare. La ricerca annota che tuttavia per alcuni settori si sono registrate agevolazioni fiscali: per esempio la Tasi è stata resti totalmente deducibile dal reddito di impresa. Il motivo di incrementi così rilevanti dipende dalla scelta di molti sindaci di alleggerire il carico sulle prime case e di spostarlo su immobili a uso produttivo e su abitazioni diverse da quella principale. Anche in questo caso si è pertanto pensato che chi possiede qualcosa sia un facoltoso speculatore da colpire in ogni modo.
Puniti, anzi strapuniti
Il criterio, con cui la problematica della tassazione sui patrimoni è stata affrontata in Italia dimostra un approccio punitivo che si traduce in immobilismo per chi ha capitali da investire, piccoli, medi o grandi che siano. In un quadro generalizzato di crisi e di sfiducia, il “gruzzolo” diventa sempre più tale e si tende a difenderlo in maniera conservativa, non reimmettendolo nel sistema produttivo attraverso l’acquisto di azioni, obbligazioni e case. Proprio le stangate fiscali hanno un impatto nefasto da questo punto di vista. Si traducono in immediato flusso in entrata per le casse dello Stato, ma rallentano la crescita. Il problema è che per i politici tutti impegnati in visioni di breve termine, soprattutto in Italia quella di tappare la voragine è l’unica soluzione possibile. Ecco perché i risparmi finiscono per essere tartassati e ripudiati, una terra di conquista in cui far pascolare le mandrie affamate e assetate dei burocrati legislativi, capaci di incrementare le aliquote ma non di risolvere lo carenze normative, spesso vistose. Finora i Governi dei grandi tassatori sono durati poco. Cosa faranno il prossimo e poi il successivo? Staremo a vedere.