Una doccia gelata l’Iva dovuta sugli aiuti
Giangiacomo Schiavi – Corriere della Sera
Questa è una storia di lutti, di solidarietà, di rinascita. E anche di una doccia gelata. Una storia che coinvolge persone, legami, speranze. E si svolge attorno a una scuola: un investimento sul futuro. Cavezzo, Emilia: il paese più colpito dal terremoto di due anni fa. Qui la ricostruzione di un polo scolastico è diventata un atto di fiducia nel quale si è ritrovata una comunità. C’è voluto un po’ di tempo, ma la buona volontà e il sostegno convinto della Regione Emilia-Romagna, del Comune, dei sindaci, degli insegnanti e dei genitori dei 600 bambini, ha vinto su tutto: burocrazia, divisioni politiche, ostacoli tecnici. Grazie alla sottoscrizione dei lettori del Corriere e del Tg La7 sono state realizzate aule, laboratori, palestra, sala riunioni, un learning garden, l’orto didattico e un piccolo parco, perché con gli alberi si cresce e si educa all’ambiente.
L’avventura della ricostruzione è stata una lezione di tenacia e di umanità. Fra qualche giorno verrà consegnato alla comunità locale un complesso educativo, civile e sociale realizzato grazie a un’innovativa alleanza tra privati e amministrazione pubblica nel paese che nella terribile primavera del 2012 divenne uno dei simboli del cratere sismico: quattro morti, decine di feriti, settemila sfollati, ottocento abitazioni inagibili, un quadro di rovine e disperazione.Il giardino della conoscenza
Per arrivare a questo, per cucire assieme i precedenti interventi di Regione e Comunità delle Giudicarie e trasformare un campo di mais al confine del paese in un «giardino della conoscenza», sono stati impiegati i quasi tre milioni di euro raccolti da «Un aiuto subito» la sottoscrizione del Corriere e del Tg La7. Ci hanno dato una grossa mano Renzo Piano e gli architetti della sua fondazione: sono stati a Cavezzo, hanno offerto consulenze e progetti, cercando di integrare con le nuove costruzioni quel che era stato fatto nell’emergenza per garantire le lezioni ai bambini. Il progetto, affidato allo studio Carlo Ratti di Torino, utilizza le migliori tecniche di edificabilità e sostenibilità ambientale. Ci piacerebbe farlo diventare la seconda piazza del paese: un luogo di studio, di sport e di civiltà.
Il «prezzo»della beneficienza
È giusto ringraziare tutti, tutti meno lo Stato, la cui presenza si è materializzata solo sotto forma di esoso esattore. Ciò che resta dei fondi se li prende lui. Per aver realizzato un polo scolastico con i soldi dei lettori, dobbiamo pagare una tassa. Una tassa sulla generosità prevista con l’Iva: trecentomila euro. Mentre si prepara la riforma del non profit, nessuno pensa a rimuovere un balzello che pesa sulla beneficienza: oggi in Italia lo deve pagare l’azienda che decide di ristrutturare a sue spese un padiglione d’ospedale e l’associazione che regala un’ambulanza al pronto soccorso. Un’assurdità. Accade ai Rotary, ai Lyons, alle associazioni e alle fondazioni che decidono di farsi carico di opere o lavori destinati alla pubblica utilità. Si paga l’Iva per la biblioteca restaurata dopo l’alluvione di Aulla, per la Casa del volontariato di Milano, per realizzare il centro sportivo di Scampia gestito gratuitamente dai volontari. Si paga l’Iva su tutto, calamità (ovviamente) comprese.
I paradossi del fisco
L’Iva, per chi compra o vende, è un obbligo di legge. L’imposta sul valore aggiunto si paga al 22 per cento, ma quando si realizzano opere di valore sociale come le scuole si ottiene uno sconto fino al 10 per cento. In sede di bilancio non è un problema: si tratta di una partita di giro. Chi la carica sulla merce acquistata può scaricarla su quella venduta. Per noi (e certamente per altri benefattori) invece è un extra: non abbiamo partite di giro, si paga e basta. Sono i paradossi della nostra disciplina fiscale: invece di essere agevolato, chi fa del bene viene spesso ostacolato. Non serve una doccia gelata qui: basterebbe un emendamento del governo o del parlamento per annullare un’assurda gabella, restituendola ai terremotati di Cavezzo, ai sindaci impegnati nella ricostruzione, alle insegnanti e ai bambini del polo scolastico. Sarebbe un atto di buon senso e l’inizio di una fattiva collaborazione tra privati e istituzioni, in caso di disastri e calamità. Ma nessuno ci ha pensato.
Le giuste distinzioni
Si dirà che la questione è poca cosa rispetto ai guai che stiamo attraversando. Ma l’insieme di tante piccole cose che non vanno sta diventando un intralcio alle tante spinte positive che ci sono nella società. Perché lo Stato invece di favorire il cittadino o l’azienda che gli fa risparmiare milioni di euro pretende da questi una tassa? In un Paese dove abusi e illegalità devastano l’economia pubblica con ruberie di ogni sorta, perché non si fa qualche distinzione sulla disciplina dell’Iva per chi fa del bene? Non sarebbe un incentivo per tante aziende a investire nella solidarietà? Si obietterà: l’Iva si paga perché lo prevede una normativa comunitaria. Ma l’Iva non è uniforme e la normativa europea stabilisce solo limiti e criteri, dando facoltà poi agli Stati di definire esattamente il quadro giuridico. Qual è la risposta di questo governo?
La fiducia che alimenta la democrazia
Chi fa beneficenza non può essere trattato come il gestore di una slot machine , anzi peggio (i gestori hanno avuto uno sconto milionario sugli arretrati da pagare allo Stato). Noi vorremmo che una ricostruzione nata dal cuore con un gruppo di lavoro straordinario, diventasse un valore condiviso anche dallo Stato, in cui vogliamo avere fiducia. È la fiducia, è l’affidamento nelle lealtà delle istituzioni, che dà benzina alla democrazia, ha scritto Michele Ainis. Ma se lo Stato agisce come un esoso mercante, che fiducia si può avere? Uno Stato che non si pone il problema del bene comune suscita disaffezione, fastidio. E anche ostilità. Sentimenti che, davanti a quanto di buono ogni giorno viene fatto in Italia, tutti noi vorremmo non provare.
(PS: la tassa di trecentomila euro rischia di ridimensionare il progetto per Cavezzo. Ma noi non vogliamo lasciare il lavoro interrotto: andremo avanti comunque. Chiederemo un piccolo aiuto a chi può darlo. E uno più grande a chi ha una maggiore disponibilità. Sul conto «Un aiuto subito» presso Intesa San Paolo abbiamo lasciato per mesi 2.975.076 euro a un modesto tasso di interesse. Fosse lo stesso che ci chiede oggi lo Stato, saremmo a posto. La generosità di Intesa San Paolo ha spesso sostenuto avventurose imprese di Stato con milioni di euro, bruciati inutilmente in pochi mesi. A Cavezzo non ci sono capitani coraggiosi del capitalismo, ma cittadini e studenti. Per la banca dovrebbero essere un valore su cui investire; per lo Stato un’occasione per riflettere: questa storia riguarda tutti, non solo noi).