La burocrazia costa alle imprese 30 miliardi l’anno
Luigi Offeddu – Corriere della Sera
Qui non ci sono grandi misteri: se in Finlandia il 5% delle imprese ha difficoltà nell’ottenere il credito delle banche, se in Germania la percentuale sale al 10%, e se in Italia raddoppia e più toccando il 25%, chi avrà più difficoltà a stare sul mercato? Oppure: se un piccolo o medio imprenditore impegna 269 ore in un anno a mettere insieme la sua cartella delle tasse, a verificarla, e poi a pagarla, sarà o più o meno competitivo di uno che di ore ne impiega la metà, o un terzo? Domanda oziosa. E risposta scontata. Una delle tante risposte, raccolte dagli esperti della Commissione Europea, che spiegano il crollo della produttività italiana: è italiano, infatti, il primo imprenditore preso in esame, e le tasse divorano il 65,8% dei suoi profitti totali; ben più del 41,3% certificato in media per gli altri Paesi europei, dall’organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo.
Ogni anno, dopo l’estate, la Commissione presenta un paio di rapporti sulla competitività dei vari Paesi Ue. Quest’anno li ha illustrati Ferdinando Nelli Feroci, il commissario italiano all’industria e imprenditoria, e da quei numeri è emerso come i segni di una ripresa, per quanto fragile, continuino a manifestarsi qua e là. Ma dietro, ci sono le ombre della recessione. Dal 2007 al 2012 l’industria tedesca ha creato 50mila posti in più, mentre la Francia ne ha perso 350mila e l’Italia circa 550 mila. La nostra potenza manifatturiera è scesa in media del 15% rispetto alla situazione di prima della crisi ,anzi il declino è arrivato al 20% in almeno 14 settori su 22: una slavina. La produzione automobilistica ha battuto anche le peggiori previsioni: meno 40%. Ma del resto, il panorama è ugualmente nero in tutta l’Europa: 3,5 milioni i posti di lavoro persi in tutto nel manifatturiero. E per tornare all’Italia, chi ha provato ad affrontare la crisi chiedendo aiuto là dov’era più logico chiederlo, cioè negli istituti di credito, ha picchiato il naso sul tronco di una quercia: in media, per i nuovi prestiti, sempre secondo i dati della Commissione Europea, i tassi italiani si aggirerebbero intorno al 3,6%, circa 150 punti in più di quanto venga chiesto agli sportelli delle banche tedesche e francesi.
Per quanto riguarda le «pagelle» compilate sull’efficienza dei governi, la Finlandia è salita da una quota indicativa 1,9 (nel 2008) a quota 2,3 (2013); l’Italia da 0,2 a 0,4, ma a tutt’oggi prevale soltanto sulla Grecia, la Bulgaria, la Romania. In compenso, pesano le formalità burocratiche imposte dallo Stato alle piccole e medie imprese: 30,9 miliardi in un anno. Nelle tabelle di Bruxelles, con i dati forniti dal governo italiano, vi sono anche squarci consolanti, come quelli che calcolano in pochi giorni il tempo necessario per avviare un’azienda; ma sono dati «benauguranti», cioè proiettati sulle raffiche di riforme appena fatte o annunciate, e in attesa della verifica del tempo.