Referendum costituzionale

Blasoni: «Non mi uniformo a Confindustria, io voto No»

Blasoni: «Non mi uniformo a Confindustria, io voto No»

di Antonio Signorini – Il Giornale

Per nulla convinto dal merito delle riforme, sicuro che il governo Renzi abbia sbagliato bersaglio rinunciando a favorire la vera innovazione, quella che si fa con le aziende e nella pubblica amministrazione. Massimo Blasoni è un imprenditore di successo. Al referendum del 4 dicembre voterà No, quindi non seguirà le indicazioni di viale dell’Astronomia. «Non tutti gli imprenditori si uniformano a Confindustria. L’idea che votare Sì rappresenti un momento di innovazione contrasta palesemente con la realtà», spiega al Giornale il presidente del Centro studi ImpresaLavoro.

Eppure secondo il ministro Boschi chi vota No è contro il cambiamento…

«Ci sono due modi diversi di dire No: quello della sinistra più retriva che non vuole cambiare, ma anche quello di chi vuole più innovazione e vuole cambiare o rimuovere tutto ciò che impedisce al Paese di ripartire. Chi vuole dare una risposta al fatto che l’Italia è ancora sotto i livelli di Pil pre crisi, intorno all’uno per cento, contro il 3% di Spagna e Irlanda. La Costituzione va cambiata».

La Carta ha un peso sulla competitività del Paese?

«In negativo, perché risente della presenza nell’Assemblea costituente di un Partito comunista allora rilevantissimo. Va cambiata consentendo più facilmente l’innovazione».

Cosa cambierebbe?

«L’articolo 41».

Perché?

«Al primo comma recita che l’iniziativa privata economica e libera, ma poi si contraddice al terzo comma, stabilendo che l’attività pubblica e privata debba essere finalizzata ai “fini sociali”. Questa pretesa dello Stato di coordinare l’attività economica è un grande freno per l’impresa»›.

Altra obiezione del fronte del Sì: se vince il No, è rischio la stabilità del Paese. Condivide questi timori?

«Il rischio di instabilità nel nostro Paese non si risolve con un Senato di nominati. Pesa semmai la nostra incapacità di fare riforme economiche. La situazione delle pensioni resta grave, così come quella del credito o della giustizia civile. Chi può avere voglia di investire in Italia quando per regolare una qualunque contesa sono necessari anni? A settembre del 2016 il debito è cresciuto di oltre 37 miliardi. Il costo degli interessi è sceso ma la spesa corrente e il debito continuano a crescere. Sono queste le vere cause della instabilità del Paese. La riforma costituzionale è fatta male proprio perché non incide su quei dati strutturali che sono la causa dell’instabilità del Paese».

Nel merito, le riforme del governo la convincono?

«Da cittadino riesco a immaginare con fatica senatori, non eletti ma nominati, che dovranno svolgere il doppio lavoro di rappresentanti in Parlamento ed eletti nei consigli. Le riforme non semplificano il procedimento legislativo come sostiene il governo. Sarebbe stato meglio superare definitivamente il bicameralismo abolendo il Senato».

Che prospettive vede per il dopo voto?

«Io spero che vinca il No, ma ritengo che in ogni caso il Paese abbia bisogno di andare a votare, ha bisogno di una leadership eletta che comprenda fino in fondo i temi dell’economia. Un governo che distribuisca meno bonus e faccia più riforme».

 

Confindustria sbaglia: non sarà questa riforma a farci ripartire

Confindustria sbaglia: non sarà questa riforma a farci ripartire

di Massimo Blasoni – Il Fatto Quotidiano

Confindustria e diverse altre organizzazioni si schierano apertamente per il Sì al referendum, sostenendo che questa riforma sarà in grado di velocizzare il processo normativo e creare le condizioni per una stabile ripresa economica. Sono un imprenditore anch’io – una realtà che occupa 2.000 persone – tuttavia non sono d’accordo e provo a spiegarne le ragioni.

Primo: le leggi non devono essere approvate velocemente ma semmai scritte bene e in maniera chiara affinché la loro applicazione non venga poi vanificata o ritardata da una pletora di ricorsi. D’altra parte il bicameralismo perfetto, che ora si vuole abolire, non ha mai impedito l’approvazione rapidissima di leggi considerate prioritarie (magari perché utili agli stessi partiti): a dettare i tempi in Parlamento è sempre e soltanto la volontà politica. Non hanno senso poi senatori dopolavoristi e non eletti direttamente.

Secondo: l’economia cresce se si consente agli imprenditori di creare ricchezza e dare lavoro. Non voglio fare il benaltrista, ma credo che sarebbe stato molto più utile modificare l’articolo 41 della Costituzione. Al primo comma recita che «L’iniziativa economica privata è libera». Un principio liberale fondamentale che purtroppo viene subito contraddetto al terzo comma: «La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali». È stata proprio l’osservanza a questo principio ideologico dell’indirizzo statalista che prefigura il “coordinamento” pubblico a costruire un eccesso di regole che frenano lo sviluppo delle aziende, trasformando la burocrazia in un micidiale ostacolo alla crescita economica. Già nel 2010 l’allora ministro Tremonti propose di sostituire quel comma con una frase semplice ma rivoluzionaria: «È permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge». Una formulazione che avrebbe introdotto, ad esempio, la totale autocertificazione per le Pmi e le imprese artigiane, spostando ex post il momento dei pur necessari controlli e verifiche dei requisiti richiesti per legge. Non se ne fece nulla allora, non se ne è discusso nemmeno questa volta. Ecco perché, al netto di molte altre ragioni, il 4 dicembre voterò no. Con buona pace di Confindustria.